Insegnanti: in Italia rimangono precari, senza carriera e con stipendi più bassi dell’inflazione

Domani si celebra la giornata mondiale degli insegnanti, istituita dall’Unesco, nata per attuare una riflessione sul ruolo dei professionisti dalla formazione: quest’anno lo slogan dell’evento, sempre finalizzato ad apprezzare, valutare e migliorare il lavoro degli educatori, sarà Empowering teachers, building sustainable societies. È la stessa Unesco a spiegarne il senso: “gli insegnanti non sono solo un mezzo per attuare obiettivi educativi; essi sono la chiave per la sostenibilità e capacità nazionali nell’attuazione della formazione e creazione di società basate sulla conoscenza, i valori e l’etica. Tuttavia, essi continuano ad affrontare sfide legate alla carenza di personale, scarsa formazione e uno stato sociale basso”, sottolinea l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.

Purtroppo, il monito dell’Unesco non riguarda solo paesi e scuole del terzo mondo. Anche in Italia quella dell’insegnante risulta tra le professioni più in crisi, tra le più usuranti e con scarsa considerazione sociale. È lunga la lista dei motivi del declino della professione. Perché tanti nostri docenti continuano a rimanere precari, senza prospettive di carriera e pagati con stipendi più bassi dell’inflazione. Addirittura l’indennità di vacanza contrattuale, il meccanismo creato per mantenere le buste paga almeno al livello dell’inflazione, dal 2008 è stata bloccata: e con l’ultima Legge di Stabilità, la Legge 190/14, il blocco è stato reiterato sino al 2018. E ciò malgrado la sentenza n. 178 della Consulta sull’inammissibilità del blocco stipendiale del pubblico impiego abbia chiarito che non si può. Ecco perché Anief ha fatto e continua a presentare ricorsi in tribunale: visto che lo Stato è sordo, è l’unico modo per recuperare, in media, 8.500 euro sottratti ad ogni docente.

La realtà è che ai neo immessi in ruolo vincitori di concorso, si prospetta un decennio di stipendi fermi a meno di 1.300 euro. Lo stesso merito è una chimera per pochi. Perché gli aumenti della Buona Scuola, legati al merito professionale, sono ridicoli: appena 200 milioni di euro, a fronte di 9 miliardi di arretrati che lo Stato dovrebbe ridare al personale per adeguare gli stipendi non all’Unione Europea, ma all’inflazione certificata dall’Istat. Anche per gli altri insegnanti, le cose non vanno meglio: un insegnante oggi percepisce lo stipendio più basso di tutta la nostra pubblica amministrazione. E il contratto in arrivo è un bluff: porterà aumenti attesi da sei anni solo ad uno docente su dieci. Peraltro, a discrezione del dirigente scolastico. Così, oggi per un insegnante della scuola italiana non ci sono prospettive di una vera e propria carriera: per effetto della Legge 150/09, voluta dall’ex ministro Renato Brunetta, gli scatti saranno cancellati nel contratto. Oggi chi entra a lavorare nella scuola, avrà il 35% dell’attuale stipendio. In poche parole lavorerà 43 anni per avere la pensione sociale.

Per non parlare degli stipendi conferiti nell’Unione Europea, in media più alti se non il doppio. Come se non bastasse, in Germania si può andare in pensione dopo 24 anni di servizio. Mentre da noi si sta valutando se far lasciare il servizio alle soglie dei 65 anni, ma in cambio del 10% dell’assegno di quiescenza. Così, alla lunga, considerando l’aspettativa di vita media, lo Stato ci guadagnerà pure.

La riforma, tanto acclamata dal Governo Renzi, doveva migliorare le cose. Ma non ha cambiato nulla. Perché in Italia chi è stato formato per insegnare dopo il 2011 rimane confinato nelle graduatorie d’Istituto ed è condannato al precariato, mentre la Buona Scuola si accinge, con la fase C del piano straordinario di assunzioni, ad immettere in ruolo una marea di docenti sull’organico potenziato per coprire materie che non conoscono.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief, “mai come oggi è ora di cambiare, per non lasciare sempre l’ultima parola ai tribunali. Anief ha già vinto i ricorsi per la stabilizzazione, lo sblocco degli scatti stipendiati e il pagamento delle mensilità estive per il personale precario, il riconoscimento del servizio per intero pre-ruolo nella ricostruzione di carriera e la restituzione del Tfr. La riforma Renzi-Giannini sulla Buona Scuola ignora tutto questo. Per un anno e mezzo si sono fatte tante promesse, ma di fatti concreti, con ripercussioni positive sugli insegnanti, se ne sono viste poche”.

“Basti pensare – continua il presidente Anief – alla ‘supplentite’, che il premier aveva detto di voler stroncare: prima della riforma c’erano 120mila precari e anche dopo il piano straordinario di assunzione, per far funzionare la scuola se ne continuano a chiamare 100mila. E questo per le solite esigenze di risparmio, perché in questo modo lo Stato risparmi sulle mensilità estive e gli scatti stipendiali. Esattamente come nel passato. È arrivato il momento di cambiare. Ma stavolta alle parole devono seguire i fatti. Altrimenti la professione non si risolleva e la crisi non può che lievitare”.