Per i prof il bonus di 80 euro del Governo è una polpetta avvelenata

Per la maggior parte del personale che lavora nella scuola italiana, in particolare per gli insegnanti, gli 80 euro di aumento previsti dal Governo si stanno rivelando una polpetta avvelenata. Non solo al 60% dei docenti, che ha oltre 50 anni e uno stipendio medio lordo superiore al “tetto” dei 26mila euro indicati nell’art. 1 del D.L. 66 del 24 aprile 2014 sulla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, non andrà nulla: ora si scopre, attraverso una comunicazione odierna del Ministero dell’Economia, che l’aumento corrisposto con le buste paga del mese di maggio è solo ipotetico, perche il credito è stato determinato sul reddito presunto e non effettivo. A fine anno, in fase di conguaglio, sarà poi determinata l’effettiva spettanza in base al reddito complessivo reale e ai giorni lavorati.

Per migliaia di insegnanti che percepiscono redditi al limite della soglia prevista dal beneficio fiscale, si sta quindi profilando la concreta possibilità che i benefici acquisiti in busta paga nei prossimi otto mesi vengono poi restituiti a fine 2014. Tanto è vero, comunica il Mef, che “sul portale NoiPA sarà disponibile a breve un’apposita funzione self service che consentirà agli amministrati di comunicare direttamente al sistema la rinuncia all’attribuzione del credito”.

Vale la pena ricordare che solo per l’anno 2014, l’articolo 1 del D.L. 66/2014 riconosce – ai titolari di reddito di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati (quindi anche le indennità e la tredicesima), la cui imposta lorda sia superiore alle detrazioni da lavoro loro spettanti – un credito così articolato: per i possessori di reddito complessivo non superiore a 24mila euro, il bonus è pari a 640 euro; in caso di superamento del limite di 24mila euro, il credito decresce fino ad azzerarsi al raggiungimento di un livello di reddito complessivo pari a 26mila euro. Poiché un questa fascia si collocano tantissimi insegnanti, viene da sé che per loro la detrazione sarà inferiore ai tanto decantati 80 euro.

L’azzeramento è invece praticamente scontato per il 60% degli insegnanti. Al di sotto della soglia dei 1.500 euro netti di stipendio si collocano gli assistenti amministrativi e tecnici, oltre che i collaboratori scolastici. Stiamo parlando orientativamente di 200mila unità di personale. A beneficiare del bonus saranno infatti all’incirca la metà dei 330mila maestri d’infanzia e dei docenti della scuola primaria. E poco più del 30% degli insegnanti della secondaria di primo grado (170 mila) e di secondo grado (235 mila). Su 935mila docenti in servizio quest’anno nella scuola pubblica, percepiranno il bonus quindi mezzo milione di dipendenti. Tra i prof solo 300mila su 735mila totali: quindi, complessivamente, solo quattro su dieci.

Ma la beffa non finisce qui. Perché ai docenti che lavorano come supplenti, riporta la rivista on line Orizzonte Scuola, , l’aumento sarà “commisurato al periodo di effettiva prestazione lavorativa”. Così, “saranno penalizzati proprio quei precari che lavorano fino al 30 giugno, che percepiranno, rispetto ai più ‘fortunati’ colleghi con contratto al 31 agosto, circa 160 euro in meno, che significa 480 euro invece di 640. Insomma, a prendere di meno saranno i più deboli”. Ora, siccome tanti di loro “non percepiscono lo stipendio da Febbraio e sono costretti a chiedere prestiti a famiglie e conoscenti per potersi recare a lavoro” un gruppo “dei precari salernitani, ATA e docenti, hanno deciso di consegnare simbolicamente (dato che di stipendio non c’è l’ombra) gli 80 euro promessi da Renzi”. La morale, conclude la rivista specializzata, è che “la vicenda del bonus ai dipendenti che non finisce di regalare sorprese al mondo della scuola”.

“È la riprova – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – che alla scuola si è cercato di dare davvero un ‘contentino’. Mentre per adeguare lo stipendio agli altri Paesi, visto che i nostri insegnanti percepiscono buste paga superate di 4 punti dall’inflazione e vengono collocati in pensione con circa 8mila euro in più l’anno dei colleghi Ocde, occorrono soldi veri emessi con le Finanziarie: solo così sarà possibile sovvertire un trend già segnato, con l’indennità di vacanza contrattuale bloccata fino al 2017 ai valori del costo della vita di cinque anni fa”.