REDDITOMETRO. IL RIMEDIO PEGGIORE DEL MALE?

di Pietro Paolo Boiano

Il Fisco accelera sul redditometro e nel pieno della calura estiva l’AGENZIA DELLE ENTRATE ha diffuso la Circolare n.24/E del 31.7.2013 con la quale illustra le modalità di funzionamento del redditometro. Non è una novità siffatto sistema di accertamento del reddito, lo stesso essendo già previsto dal DPR 29.9.1973 n.600 art.38-commi dal 4° al 7°- sotto la voce ”accertamento sintetico del reddito complessivo delle persone fisiche” e da ultimo ripreso dal DM 24.12.2012. In tale ambito l’A.F. si propone di verificare il rapporto esistente tra la capacità di spesa dimostrata e il reddito dichiarato e ove emerga una grave sperequazione il Fisco va a presumere che quanto speso nel periodo di imposta in osservazione sia stato finanziato con redditi del periodo medesimo sottratti alla tassazione. E’ data però al contribuente la possibilità di provare in sede di contraddittorio, che il Fisco è obbligato a instaurare prima di procedere all’accertamento sintetico, che non vi è stato occultamento di capacità contributiva. Ulteriore manleva per il contribuente,quale clausola di garanzia, è che lo scostamento tra il reddito dichiarato e quello presuntivamente accertato sia pari al 20%. L’iter procedimentale che l’A.F. intende seguire presenta un primo aspetto di criticità (altri se ne prospettano) laddove viene invertito l’onere della prova, ovvero è il contribuente chiamato a far valere le proprie ragioni. In sostanza, con la obbligatorietà del contraddittorio e con la clausola di salvaguardia l’A.F. abbandona il vecchio metodo dell’accertamento ex cathedra, nell’evidente intento di non esporsi ad un contenzioso ad alto rischio. Giova però ricordare che in subjecta materia la dottrina dominante distingue l’accertamento sintetico in senso stretto dall’accertamento reddito metrico, ritenendo che tra le due modalità impositive esiste un rapporto di “genus” a “species” nel senso che mentre l’accertamento sintetico in senso stretto,come individuato al c. IV dell’art.38/600, legittima l’A.F. a quantificare il reddito complessivo delle persone fisiche sulla base di elementi e circostanze di fatto aventi il requisito della certezza, l’accertamento redditometrico, circoscritto al IV° c.- secondo periodo dell’art.38, va invece ad accertare il reddito in via induttiva sulla base dell’accertata disponibilità in capo al contribuente di determinati beni e servizi. Tanto per dire che il terreno sul quale intende muoversi il Fisco appare piuttosto accidentato. Del resto, e non a caso, Cassazione e Corte dei Conti hanno già espresso la loro perplessità con pregnanti argomentazioni giuridiche. La Suprema Corte articola il proprio orientamento su un duplice filone, in alcune sentenze ritenendo che l’accertamento redditometrico si fondi su presunzioni relative, nel senso che, di fronte a elementi indicatori di capacità contributiva ascrivibile al contribuente, l’onere della prova verrebbe invertito e ricadrebbe quindi tout court su quest’ultimo(cfr.Cass.19.4.2001 n.5794), ma è prevalso poi l’orientamento, suffragato anche da autorevole dottrina, che si è in presenza di presunzioni semplici,ossia di mera valenza indiziaria. A tanto si rifà la sentenza n. 23554/2012 che adombra la invasività dell’accertamento redditometrico e dichiara essere il Fisco tenuto a provare i così detti “fatti indice” sul motivo che si verte in tema non di presunzione legale, ma semplice. La Corte dei Conti, che per sua natura vigila sull’andamento contabile dell’Erario, rincara la dose e ritiene non utile il redditometro e addirittura controproducente lo spesometro che può solo determinare la ulteriore contrazione dei consumi. L’evasione fiscale è sicuramente una piaga sociale e fa il cumulo con l’altro tristo fenomeno della corruzione, diffusa a ogni livello della vita pubblica. Pensare ora di poter contrastare tali devastanti criticità con improbabili placebo sarebbe una puerilità se non trasparisse l’assenza di volontà politica a fare le cose sul serio. E’ illusorio quindi affidarsi allo spesometro, che può anche funzionare per i beni mobili registrati se il reddito dichiarato non giustifica acquisti di beni ad alto valore economico, come è intollerabile che si aspetti l’intervento della magistratura per snidare i corrotti. Non è allora difficile capire che tanti altri acquisti di beni costosissimi sono incontrollabili perché va a coincidere il comune interesse del compratore e del venditore di rimanere nell’ombra. Per di più il Garante della privacy vuole vederci chiaro sul nuovo redditometro e sembra che a breve l’Organo di controllo farà conoscere le proprie determinazioni, ma è già noto che sono sotto osservazione la costruzione dei profili dei contribuenti e l’attribuzione delle spese, come pure è nel mirino la qualità dei dati presenti nell’Anagrafe Tributaria, la cui Commissione di vigilanza, nella passata legislatura presieduta dall’esperto Maurizio Leo, ex alto dirigente del Ministero delle Finanze, aveva messo in evidenza l’assoluta mancanza di standard omogenei di raccolta e classificazione. In definitiva, al di là del responso che darà il Garante, l’A.F. farà bene a rivedere i suoi piani per convincersi che è impossibile scoprire che un rosticciere ha speso in un anno 10mila euro in abbigliamento,avendo dichiarato un reddito di pari importo. Di contro, se a quel soggetto viene fatto il conto della produzione,attraverso un controllo capillare, non interessa più sapere quante e quali sono state le spese da lui effettuate. Ecco, il Fisco se vuole essere efficiente deve avere il controllo del territorio, deve far sentire la propria presenza continua. Ma è anche da rivedere la tracciabilità dei pagamenti, riducendo al lumicino la circolazione del contante, specialmente in quei settori ritenuti a rischio. Le terapie sbagliate o insufficienti non curano le malattie gravi, anzi le peggiorano.