PERCHè IL REDDITOMETRO NON è LA PANACEA

E’ da sempre che la lotta all’evasione fiscale riempie i discorsi di tutti i politici, ma purtroppo mancano i risultati perché in effetti manca la volontà politica a perseguire seriamente il tristo fenomeno e alla fine ciò che resta sono le promesse al vento e i proclami demagogici ed inutili. La delega fiscale da cui ci si attende un salto di qualità si è impantanata al termine della passata legislatura e frattanto l’A.F. si sta concentrando sul redditometro e si dice convinta che l’uso di questo strumento può dare risultati significativi. Non è così, perché l’impatto che ne è derivato apre scenari assai diversi, anzi preclusivi degli obiettivi che il Fisco intende perseguire. Il redditometro in buona sostanza ha la sua genesi nell’art.38 del DPR n.600/1973 ove è previsto il cosi detto accertamento sintetico che è un metodo di ricerca degli indici di capacità contributiva in ambiti diversi dalle risultanze contabili. Sul punto già nel 2008 si è pronunciata la Cassazione, affermando per esempio che l’acquisto di un’autovettura non può costituire indice di capacità contributiva maggiore rispetto a quanto dichiarato dal contribuente. E’ pure intervenuta la Corte dei Conti che invita il Fisco a non usare in modo disinvolto le informazioni raccolte, e di recente una ordinanza,sia pure di giudice monocratico,ma non priva di pregnante motivazione, censura un accertamento costruito con metodo sintetico ritenendolo invasivo della privacy del cittadino-contribuente e ne sospende gli effetti, ordinando la distruzione di tutti gli atti preparatori e conseguenti. Ed infine è scesa in campo anche l’ADUSBEF secondo cui il redditometro presenta profili di incostituzionalità laddove pone a carico del contribuente l’onere della prova, e si contesta pure che a un accertamento fiscale siano applicate le stime ISTAT che secondo l’ADUSBEF sono estranee alla materia tributaria. Sarebbe sterile esercizio ripercorrere il pacchetto normativo su cui si fonda il redditometro,quanto invece giova riflettere sulle ragioni per le quali sia la magistratura ordinaria che quella contabile bocciano tale metodo di accertamento. Si ritiene cioè in sede giurisdizionale che il criterio sintetico da solo non ha la forza per sostenere un accertamento di capacità e/o di maggiore capacità contributiva. In altri termini il redditometro può essere soltanto uno strumento ausiliario dell’accertamento,e questo lo si capisce anche senza l’intervento della magistratura la cui censura di violazione della privacy appare magari eccessiva considerato che in altri Paesi non si fanno sconti e gli evasori fiscale finiscono in galera. E’ però evidente che serve da parte dell’A.F. un radicale cambio di mentalità. Un tempo il rapporto Fisco/contribuente era regolato dal famoso concordato che componeva bonariamente le vertenze, ma pure allora cresceva a dismisura il contenzioso, spesso legato alla mentalità litigiosa tipica dell’italica gente. I tempi sono però cambiati e l’evasione fiscale si annida in un diverso tessuto socio-economico nel quale si muovono menti raffinate di operatori economici ed abili professionisti. Ecco perché non si può pensare di recuperare l’evasione fiscale affidandosi ad accertamenti improbabili,spesso costruiti su presunzioni neppure gravi,precise e concordanti,senza incorrere nel vizio insanabile del ”praesumptum de praesumpto”. Se quindi l’A.F. continua a non capire che insistendo con tale modus operandi va a sbattere contro una terna di invincibili, che sono il contribuente, il suo consulente, e gli Organi giurisdizionali, e non può che uscirne perdente. L’A.F. sa bene che i controlli documentali sono utili, ma non sufficienti,e sono invece efficaci le verifiche con accesso perché è nell’azienda che si può conoscere la posizione del contribuente.
Infatti le verifiche di questo tipo fanno emergere ogni anomalia preordinata all’evasione e le magagne che poi la realizzano. Il pregio di tali interventi sta però nel fatto che una volta dichiarate inattendibili le scritture contabili con circostanziata motivazione, ecco che è possibile costruire validi accertamenti,magari corroborati da ogni altro elemento extracontabile. Così operando emerge quindi la materia imponibile e non ci si affida a sterili accertamenti infarciti in prevalenza di pesanti sanzioni pecuniarie che spesso vengono cancellate dalle Commissioni tributarie. Va pure ricordato che l’accesso in azienda permette di rilevare la consistenza del magazzino in termini di quantità e di valori e quindi è possibile risalire nel tempo e confrontare i dati raccolti con quelli esposti nelle dichiarazioni fiscali prodotte dal contribuente spesso aduso a manipolare la consistenza fisica e contabile delle giacenze di guisa che questo dato, che è il risultato finale del conto di gestione, diventa invece il presupposto per rendere dichiarazioni fiscali, formalmente corrette,ma sostanzialmente infedeli.
C’è un punto però sul quale val bene riflettere. L’A.F. è sicuramente dotata di ottimi funzionari, ma non tanti quanti ne occorrono e non tutti di specifica formazione culturale, laddove per contrastare l’evasione fiscale servono proprio competenze specifiche,serve alta qualificazione professionale da aggiornare periodicamente attraverso corsi di formazione e cenacoli di studio. Su questo versante l’A.F. è quasi inadempiente,senza dire che il funzionario che volesse dotarsi di libri e riviste specializzate deve farlo a sue spese. C’è poi un’altra criticità dovuta al fatto che la legislazione fiscale è pesantemente condizionata da opportunismi politici per cui dal Parlamento spesso escono norme che quanto meno creano notevoli difficoltà a coloro che sono chiamati ad applicarle, tanta è la loro farraginosa composizione,per non dire delle tante leggi di condono che oltre a premiare i furbi e offendere gli onesti sono anche causa di aggravio del contenzioso. Non è più possibile che la mano fiscale sia guidata da quella politica. E’ facile riparare il guasto,basta che il legislatore prima di porre mano ad una norma fiscale indica apposite conferenze di servizio con gli addetti ai lavori,cioè coloro che sono in grado di fornire utile supporto all’attività legislativa perché stando sul campo possono prevedere l’impatto che una norma può avere sul lavoro quotidiano. Da ultimo va detto con assoluta chiarezza che il contrasto all’evasione fiscale richiede in parallelo una dura lotta alla corruzione, fenomeno anche questo diffuso e dilagante nella vita pubblica. Corrotti e corruttori, concussi e concussori, evasori ed elusori fiscali non possono più rimanere impuniti o cavarsela alla meno peggio. Ci si può difendere da questa gente ma servono norme che abbiano la forza di paralizzare ogni azione delittuosa,prima punendola nelle forme dovute e poi infliggendo la sanzione della interdizione perpetua dalla vita pubblica e per i pubblici dipendenti l’espulsione dalla P.A.
Nel suo attuale assetto l’Agenzia delle Entrate,pur investita di un potere immenso, appare tuttavia ingessata su posizioni che si stanno rivelando inadeguate e per certi versi anche perdenti. Non risponde a criteri di funzionalità e di corretta gestione del personale una megastruttura che cumula in sé l’accertamento dei tributi diretti e indiretti e la difficilissima gestione del catasto e dei servizi tecnici erariali, né può protrarsi il contenzioso con la giustizia amministrativa, ordinaria e contabile. In tale periglioso contesto, ora aggravato anche dal difficilissimo momento politico, non c’è spazio per l’abusato ”che fare”, vuoto interrogativo da sostituire subito con l’imperativo categorico del dover fare.
Spetta ai vertici dell’Agenzia delle Entrate rassegnarsi all’idea che il solo redditometro non può arginare l’evasione fiscale e quindi chiedere misure drastiche e al tempo stesso inoppugnabili. Non ci sarà un giudice che possa contrastare l’introduzione della deducibilità dei costi da parte del consumatore finale del bene o del servizio; non ci sarà un giudice che si opporrà alla eliminazione dell’uso del contante; non ci sarà un giudice che contesterà il ripristino del reato di falso in bilancio. Contro un esercito di gente che aggredisce la società civile, minacciando di distruggerla, serve una macchina da guerra armata con leggi incisive. I provvedimenti annacquati o semplicemente fumosi non servono, anzi sono destinati a peggiorare le cose.

Pietro Paolo Boiano