Legge elettorale: posizioni lontane anche dopo appello di Napolitano

L’appello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (‘La legge elettorale non è più rinviabile’) con un messaggio inviato ai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, trova il consenso di tutti i partiti. Ma il problema è che le posizioni restano lontane, malgrado da mesi Pdl, Pd e Udc tentino l’accordo nelle riunioni dei propri ‘saggi’ che si occupano della questione. Napolitano punta l’indice su una contraddizione ormai evidente: ‘Stanno purtroppo trascorrendo le settimane senza che si concretizzi la presentazione alle Camere da parte dei partiti che hanno da tempo annunciato di voler raggiungere in proposito un’intesa tra loro di un progetto di legge’. Il tempo passa e c’è il rischio concreto che nella primavera del 2013 si torni a votare con il cosiddetto ‘porcellum’, anche perchè finora il governo ha evitato di invadere il campo della riforma della legge elettorale non ritenendolo di propria competenza.
Le prime reazioni alla proposta di Napolitano danno conto della distanza tra le forze politiche. Il Pdl rilancia la proposta del doppio turno di collegio, collegandola pero’ all’ipotesi dell’elezione diretta del capo dello Stato. Nel discutere nei giorni scorsi nell’Aula del Senato la bozza di riforma costituzionale, su cui pure si era raggiunto un accordo (riduzione del numero dei parlamentari, fine del bicameralismo perfetto), il voto a favore del cosiddetto ‘Senato federale’ – dove si è riformata la maggioranza Lega e Pdl – ne ha fatto arenare l’iter. Pure in quell’occasione è intervenuto Napolitano per sottolineare che essendo ormai difficile in questo scorcio di legislatura procedere a riforme costituzionali sarebbe stato meglio concentrarsi sulla legge elettorale. Il Pd, lo ha detto ieri il segretario Pier Luigi Bersani, opta per collegi uninominali con doppio turno elettorale. Ma il Pdl ritiene questo modello impraticabile senza l’aggiunta dell’elezione diretta del capo dello Stato, anche perche’ in tale modello – come dimostrerebbero i ballottaggi nell’elezione dei sindaci – il centrodestra parte sfavorito: difficilmente il proprio elettorato torna a votare in un secondo turno dopo quindici giorni dal primo.
A dividere e’ anche la questione della reintroduzione delle preferenze. Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pdl, le esclude perche’ possono favorire il malaffare nella lotta tra candidati. Non la pensa cosi’ il Pdl. Anche Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, e’ favorevole almeno a una preferenza e sottolinea che nei collegi uninominali che piacciono al Pd, senza l’obbligo delle primarie per legge, sarebbero sempre i partiti a scegliere gli eletti non dando potere agli elettori. Proprio Casini, qualche giorno fa, aveva dato l’ultimatum con un messaggio su twitter: ‘La gente e’ stanca e vuole scegliere i parlamentari, basta meline. Andiamo subito in Parlamento e votiamo alla luce del sole. Ciascuno si assuma la responsabilita’ delle proprie scelte’. Una indicazione di metodo che invita a portare in Parlamento il dibattito sulle norme elettorali che finora e’ restato sotto traccia in incontri informali tra i rappresentanti dei partiti di maggioranza. Ad aggiungere scetticismo a scetticismo sul buon esito della riforma ci pensano i calendari dei lavori parlamentari. Il governo deve far approvare prima della pausa estiva da Camera e Senato ben 13 decreti. Le due Camere lavoreranno fino alla prima settimana di agosto. Di legge elettorale si potrebbe iniziare a riparlare a iniziare dalla seconda settimana di settembre. Le elezioni per la prossima legislatura potrebbero essere fissate a marzo o ad aprile. Nel messaggio di Napolitano c’e’ un passaggio importante: ‘Debbo ricordare che su questa materia (e piu’ in generale su quella di possibili modifiche istituzionali) consultai nel gennaio scorso i rappresentanti di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, ricevendone indicazioni largamente convergenti anche se non del tutto coincidenti a favore di una nuova legge elettorale’. Il riferimento e’ a quando sembrava a portata di mano una riforma elettorale che ricalcasse il modello tedesco (prevalenza di proporzionale, quorum al 5% per accedere in Parlamento) con qualche aggiunta di modello spagnolo per dare rappresentanza alle forze radicate in poche circoscrizioni (Lega Nord). A quest’ultima ipotesi avevano lavorato intensamente Luciano Violante (Pd), Gaetano Quagliariello (Pdl) e Ferdinando Adornato (Udc) parlando di ‘fine del bipolarismo di coalizione’ che andava sostituito da un ‘bipolarismo tra partiti’. Ma ad arenare questo progetto di riforma ci hanno pensato sia le reazioni negative all’interno di Pdl e Pd (non e’ piaciuto l’abbandono dell’indicazione del premier e della maggioranza chiamata a governare in caso di vittoria), sia soprattutto l’esito delle recenti elezioni amministrative con l’exploit del Movimento 5 stelle. Da qui il ritorno all’idea di un premio di maggioranza per il partito o la coalizione vincente in modo da evitare l’ingovernabilità. Il dissenso verte su chi debba poter godere del premio di maggioranza. Se il partito vincente (come piace al Pd) o la coalizione vittoriosa (come piace al Pdl). Altro punto di divisione riguarda le preferenze. Si tenta la convergenza sulla soluzione di un mix di eletti nei collegi e di eletti nelle liste di partito. Le forze politiche, nonostante le dichiarazioni ufficiali, non sono favorevoli ad abbandonare del tutto le liste bloccate senza preferenze previste dalla legge in vigore che permettono di eleggere senza rischi chi viene collocato dai leader nei primi posti delle stesse liste. E’ auspicabile, come ha scritto Napolitano, che il dibattito sulla riforma elettorale diventi finalmente pubblico nella commissione Affari costituzionali del Senato o della Camera.