
di ANDREA FILLORAMO
Don Carlo (nome di fantasia) è un prete non più giovane mio vecchio amico, che più volte ho contattato per il rilascio di un’intervista sulla situazione della diocesi prima e dopo le dimissioni di Mons. Calogero La Piana. Egli più volte ha promesso, masolo recentemente, date le mie insistenze, ha accettato, alla condizione, però, di renderla totalmente anonima. Egli è andato, così, contro un mio esplicito desiderio di dare un nome a chi si rendeva disponibile adiscutere sulle problematiche passate e presenti vissute dalla Chiesa messinese; io ho rispettato la sua decisione, tenendo conto del suo carattere schivo e riservato. A me è rimasto il compito non solo di porre le domande ma anche quello di dare organicità all’interno di uno schema prestabilito delle risposte date e di calibrare il linguaggio nel rispetto sempre di quanto dichiarato.
Innanzitutto ti ringrazio della disponibilità dimostrata nell’accettare il mioripetuto invito. Ritengo necessario far sentire la voce che proviene dall’interno del presbiterio messinese, che sta vivendo un momento molto difficile, dovuto alle dimissioni dell’arcivescovo La Piana e che da un anno attende la nomina del suo successore.
Le improvvise dimissioni dell’arcivescovo e l’inaspettata attesa così lunga del suo successore hanno sicuramente e fortemente turbato quanti hanno a cuore il destino della nostra diocesi, che attualmente, come sai, è retta da un Amministratore Apostolico, che, in quanto tale e pur con la sua buona volontà, non può incidere più di tanto nella sua vita. Pur tuttavia, come facilmente si può osservare, con l’aiuto di Dio, i sacerdoti continuano a svolgere le loro attività ministeriali, dimostrando che anche “sine episcopo” possano fare molto per il popolo di Dio.
Sì, questo è vero ma il vescovo, come tu mi insegni, è il cuore pulsante di una diocesi e se il cuore si ferma… c’è la morte.
Cerchiamo di non esagerare. La morte, se c’è, è solo apparente. Gesù ha detto: “Sarò con voi fino alla consumazione dei secoli”. Abbiamo quindi la certezza che Gesù non ci abbandona. Quando dico che “sine episcopo” possiamo portare avanti l’attività ministerialenon ho voluto sminuire l’importanza anzi l’essenzialità del vescovo nella diocesi. So chiaramente che senza il vescovo non c’è chiesa, ma calandomi nella realtà della nostra diocesi, ho voluto sottolineare il fatto che i sacerdoti anche senza un vescovo ordinario continuano ad operare giacché sono abituati a vivere come se il vescovo non ci fosse.
Questa volta mi sembra che esageri tu.
Non esagero…Conosci bene l’arcidiocesi di Messina e conosci le difficoltà pastorali. In un territorio immenso, disomogeneo, frammentato in tante parrocchie, alcune piccolissime, vi sono deisacerdoti, alcuni anche anziani o di colore, che quotidianamente affrontano enormi difficoltà d’ordine anche ambientale, economico, esistenziale, mentre altri sono, chiamiamoli così“stanziali”, le cui difficoltà sono di altro genere. Questa disomogeneità rende problematici i trasferimenti dei preti da una parrocchia all’altra, anche perché ovviamente vi sono quelli retrivi ad accettare la mobilità che talvolta si rende necessaria e che il vescovo deve necessariamente operare. Sono tanti preti, però, che non vogliono vedere il vescovo, in assenza di oggettivi criteri per individuare competenzee preparazione per la destinazione in un determinato servizio alla diocesi, ridursia datore di lavoro, ad ispettore che minaccia persino l’intervento della forza pubblica per indurre al trasferimento, a inerte controllore che sostanzialmente non controlla nulla e nessuno. Essi non accettano, inoltre, l’idea che il vescovo diventi un distributore di benefici di tipo feudale che concede a chi si dimostra amico,e nega a chi egli ritiene nemico solo perché utilizza quell’intelligenza critica che non deve mancare anche a chi nell’ordinazione presbiterale ha promesso al vescovo riverenza e ubbidienza. Proprio in ciò credo che particolarmente si gioca o si è giocato nel passato tutto il ruolo riconosciuto dai preti al loro vescovo e la sua stessa credibilità. A proposito ancora della frammentarietà del territorio, occorre far osservare che i preti, col tempo o per l’isolamento al quale sono stati destinati, rischiano di diventare autoreferenti se il vescovo non sta vicino a loro. Purtroppo però spesso il vescovo è diventato solo il “vescovo liturgico”, quello dei solenni pontificali e delle visite pastorali, quello cioè accolto con pompa magna, triste e ipocrita scenografia per nascondere spesso o talvolta il nulla.
Tutto però dipende da come il vescovo interpreta la sua funzione.
Certamente! Ma vedi…anche se stiamo parlando della diocesi di Messina, vorrei rimanere nel generico, anche se per me è molto difficile. Non vorrei parlare di un vescovo che ormai non c’è più e del quale molto si è parlato, prima e dopo le dimissioni. Tornare al passato non giova a nessuno. Sono certo che l’arcivescovo che verrà, presa visione della situazione preesistente ed esistente, farà il vero pastore.
Cosa vuol dire per te fare il vero pastore, tenendo conto della situazione preesistente ed esistente?
Te lo dico subito. Il nuovo arcivescovo, che speriamo sia un pastore con esperienza pastorale, preso possesso della diocesi, non potrà non tener conto della sua storiae delle criticità della diocesi che gli verrà affidata. Eserciterà, quindi, il suo mandato, chiamando a collaborare persone “sperimentate”, veriuomini di Dio, facendoli venire, se necessario, come tu stessohai scritto in un articolo, da fuori diocesi e non di “pivellini” usciti da poco dal seminario; rispetterà i preti vecchi e ammalati e non li farà sentire mai soli.Egli, inoltre, assegnerà gli incarichi dopo aver sentito gli interessati; non farà il superiore che minaccia o impone; ricorderà quanto diceva S. Filippo Neri: “Si prendono più mosche con una goccia di miele e non con un barile d’aceto”;farà diventare la sua casa una casa di vetro, trasparente, dove chiunque può vedere e accedere in qualunque momento. Infine: se i preti non andranno da lui, sarà lui stesso a raggiungerli;non accetterà regalie ed eredità. Sto accennando soltanto all’essenziale ma ci sarebbero molte altre cose da aggiungere.
Continua, per favore.
Aggiungo, che, essendo il responsabile dell’amministrazione dei beni della diocesi, egli eserciterà il suo compito di un buon padre di famiglia, rendiconterà in modo trasparente il bilancio diocesano, assegnerà, i lavori da svolgere previa gara pubblica.
Le tue sono osservazioni o meglio i tuoi suggerimenti sono saggi. Essi sicuramente nascono dai bisogni da te rilevati nella diocesi e dalle tue esperienze, ma ritieni che tutti i tuoi confratelli le condividano?
E’ difficile per un prete parlare di altri preti, quindi non so se le condividano oppure no. Anche qui dovrei fare dei discorsi generici, quasi da manuale. Anzi che dico? Trascrivo quel che dici nel tuo libro che ho qui davanti: “Ogni prete, per la sua formazione, per gli anni passati in seminario, per la sua esperienza, per la ripetibilità dei suoi atti, rischia di diventare col passare del tempo una “monade”, quindi impossibilitato a vedere le cose in modo diverso da come le vede lui.
Grazie della citazione. “Monade” nel senso leibniziano, “senza porte e senza finestre” cioè un mondo in cui il prete pensa che ci sia “tutto il mondo”, ma non è così.
Hai detto bene. I preti rischiano spesso di veder tutto con il colore dei propri occhiali. I miei confratelli, parlando fra di loro, con la miopia che spesso li caratterizza, forse mi accuseranno persino di aver rilasciato questa intervista, sostenendo che “i panni sporchi si lavano in famiglia” ma dove è la “famiglia” dei preti? Onestamente non lo so; dovrebbe essere il “presbiterio”: lo cerco ma non lo trovo. Sono sicuro che una volta che essi si toglieranno gli occhiali, vedranno che la realtà della diocesi messinese, è stata portata allo sfascio anche per la negligenza di ciascuno di noi.
Ti ringrazio, penso che possa bastare.