Si amplia il divario dell’aspettativa di vita tra anziani a reddito elevato e quelli con reddito basso, che muoiono fino a 9 anni prima dei più abbienti. È quanto emerge da un’analisi dello scorso ottobre condotta dal National Council on Aging (NCOA) degli Stati Uniti e dal LeadingAge long-term services and supports (LTSS) Center dell’Università del Massachusetts a Boston, che ha valutato l’impatto delle condizioni socio-economiche negative sugli over 60 statunitensi coinvolti nell’Health and Retirement Study, lo studio nazionale degli Usa su salute e pensione. Il rapporto ha rilevato che la maggior parte degli anziani non dispone di risorse sufficienti per far fronte a una assistenza sanitaria a lungo termine o a problemi di salute, con una maggiore incidenza della mortalità che arriva a ridurre la longevità di quasi un decennio (https://www.ncoa.org/article/addressing-the-nations-retirement-crisis-the-80-percent-financially-struggling/).
“Secondo l’analisi condotta negli Stati Uniti, gli anziani che appartengono al 20% più povero della popolazione, con un reddito medio inferiore ai 20.000 dollari l’anno, muoiono con una frequenza quasi doppia rispetto ai loro coetanei con un reddito annuo pari o superiore ai 120.000 dollari – sottolinea Dario Leosco, presidente SIGG e professore Ordinario di Geriatria, Università degli Studi di Napoli Federico II –. Nel periodo compreso tra il 2018 e il 2022, infatti, il tasso di mortalità degli over 60 economicamente più svantaggiati ha raggiunto il 21%, mentre tra i più benestanti si è fermato intorno al 10,7%. È proprio questa differenza di quasi dieci punti percentuali che traduce in termini concreti l’impatto della povertà sulla vita: in media, gli anziani con meno risorse muoiono circa nove anni prima di quelli più abbienti – spiega –. Ma non si tratta soltanto di avere meno mezzi: lo svantaggio socioeconomico, espresso in termini di reddito, istruzione, alloggio, si “fa strada” anche nell’organismo, provocando in misura inversamente proporzionale al reddito, una condizione di stress cronico che può portare a un’infiammazione sistemica di tutti i tessuti. Questa rappresenta terreno fertile per il prosperare di malattie neurodegenerative, cardiovascolari e oncologiche, a cui si aggiunge l’effetto antagonista nei confronti del sistema immunitario, con la conseguente perdita progressiva delle capacità dell’organismo di difendersi da agenti esterni – evidenzia –. La scarsità economica si trasforma quindi anche in un fattore di rischio biologico che accorcia l’esistenza e riduce gli anni vissuti in buona salute”.
“Questi risultati, in linea con anni di ricerca, fanno però emergere che, oggi, il problema è più grave di quanto fosse in passato per l’aumento delle disuguaglianze di reddito, con una povertà assoluta crescente soprattutto tra gli anziani, che in Italia interessa circa 1 milione di over65, secondo i più recenti dati ISTAT – puntualizza Leosco -. Infatti, un precedente grande studio internazionale pubblicato nel 2017 sul British Medical Journal, nell’ambito del progetto europeo LifePath, che ha coinvolto anche l’Italia, aveva dimostrato una riduzione più contenuta dell’aspettativa di vita delle persone più anziane, dai 4 ai 7 anni, associata a una posizione socio-economico svantaggiata, con un impatto negativo paragonabile a quello provocato da altri noti fattori di rischio, come sedentarietà, diabete e fumo”.
L’Italia è ancora tra i Paesi più longevi al mondo, ma i dati statunitensi sono un segnale preoccupante. “L’universalismo del nostro Sistema Sanitario, unito alla prevenzione e alla medicina di base, ha contribuito fino ad oggi in modo significativo alla riduzione della mortalità e all’allungamento dell’aspettativa di vita, ma una Sanità pubblica sempre più “ristretta”, a fronte di una privatizzazione che avanza, rischia di creare barriere economiche che minano l’aspettativa di vita – avverte -. Le politiche pubbliche, in particolare quelle economiche e sociali, rappresentano quindi un potente strumento per orientare gli esiti di salute collettivi e garantire un invecchiamento sano. Di conseguenza, ogni decisione politica è anche una decisione sanitaria. Costruire una società più giusta è pertanto la più efficace politica di salute pubblica”, conclude Leosco.
