Incipit…
Siamo esseri umani e chi è senza peccato scagli la prima pietra. Da chi ci governa però è giusto pretendere disciplina. In questo senso sarebbe auspicabile che una persona sia eticamente compatibile con le cose che amministra. Ma se uno ha dei vizi, dei precedenti sfortunati, alla fine ci si abitua al potere e diventa sempre più difficile resistere alle tentazioni. E così questi politici siciliani dovrebbero tenere presente ciò che sosteneva Steve Jobs: “Ricordarsi che si muore presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per prendere le grandi scelte della vita… Siete già nudi. Non c’è bisogno per non seguire il vostro cuore”.

Neanche Jobs era immortale, anche lui è morto!
Politico siciliano, immagina un cittadino siciliano che si sveglia con un dolore al petto.
Va al pronto soccorso: otto ore di attesa. Prova a fare un emocromo, ma il ticket è più caro del privato. Va dal privato, paga di tasca sua, e scopre che la clinica è convenzionata: riceve rimborsi pubblici. Intanto, la Regione taglia fondi agli ospedali, esternalizza le pulizie, chiude consultori e ambulatori. I debiti? Spalmati su di lui, con tasse locali e IRAP. I profitti? A chi gestisce appalti, convenzioni, nomine. Il cittadino paga due volte: come paziente e come contribuente.
È il modello italiano del “socialismo per i ricchi, capitalismo per i poveri”: debiti pubblici, profitti privatizzati, costi scaricati sui cittadini. E finché non si rompe questo schema, con controlli veri, ricentralizzazione dei LEA, stop alle esternalizzazioni speculative, la sanità resterà una filiera del privilegio per pochi e un calvario per tutti gli altri.
Il debito è pubblico, il profitto è privato, il costo è dei cittadini. E finché non si rovescia questo impianto, la Sicilia resterà ostaggio di un meccanismo che non amministra: distribuisce. Non cura: seleziona. Non riforma: perpetua.
I siciliani meritano di più. Non compassione: giustizia. Non promesse: diritti.

Sicilia, sanità in frantumi: il prezzo di un federalismo senza risorse
La sanità siciliana è il paradigma di un’Italia a due velocità. Un sistema pubblico svuotato, un privato che prospera con fondi pubblici, e cittadini che pagano, in tasse, in ticket, in rinunce. Dietro le cronache giudiziarie, c’è un disastro strutturale che affonda le radici in scelte politiche miopi, austerità imposte e un federalismo asimmetrico che ha moltiplicato le disuguaglianze.
La sanità siciliana come “granaio” di potere: scandali, disavanzi e liste d’attesa.
Con 5 milioni di abitanti e 10 miliardi di spesa sanitaria annua, la Sicilia è in Piano di Rientro dal 2007 (commissariamento imposto per contenere il disavanzo cronico, cioè il costante squilibrio tra spesa sanitaria e risorse disponibili, che ammonta a circa 2 miliardi l’anno – fonte: Corte dei Conti). I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA, cioè le prestazioni sanitarie che lo Stato garantisce a tutti i cittadini gratuitamente o con ticket) sono sotto soglia (149/225 punti nel 2022), carente in prevenzione, assistenza domiciliare e cure palliative. Il 9% dei siciliani rinuncia alle cure, le liste d’attesa arrivano fino a 12 mesi, i pronto soccorso sono al collasso.
La mobilità passiva (cioè il fenomeno per cui i pazienti siciliani si spostano in altre regioni per ricevere cure, generando un saldo negativo per la Sicilia) costa tra i 300 e i 400 milioni l’anno. Il personale manca (20-30% dei posti vacanti), gli stipendi sono inferiori del 25% rispetto alla media UE, e il Piano Sanitario Regionale è fermo dal 2019. La spesa pro-capite è tra le più basse d’Italia (1.900 € contro 2.100 fonte Gimbe 2023), mentre i trasferimenti statali per la sanità, tramite il Fondo Sanitario Nazionale (FSN), sono insufficienti: la Sicilia riceve circa 9 miliardi, ma ne spende oltre 10.

Il trionfo del privato: tappabuchi necessario, ma bersaglio facile per la politica
In Sicilia, il privato accreditato è diventato un pilastro del sistema sanitario. Non per colpa sua, ma per necessità: senza cliniche, laboratori e strutture convenzionate, le liste d’attesa sarebbero ancora più lunghe e molti cittadini resterebbero senza cure. Il privato fa il suo lavoro, spesso con efficienza e professionalità. Il problema è che la politica si fionda sul privato come su una riserva di consenso facile: più permeabile, più condizionabile, più utile per distribuire favori e appalti, più utile per distribuire consenso. Le convenzioni crescono, le esternalizzazioni si moltiplicano, e i costi lievitano: spesso 2-3 volte superiori rispetto alla gestione interna. Non è il privato il nemico, ma il sistema che lo usa come scorciatoia per evitare riforme vere.
Il 42% dei fondi PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) spesi per la sanità in Sicilia non ha migliorato ospedali, ambulatori pubblici né ha portato nuove assunzioni sanitarie o amministrative. È servito solo a digitalizzare il nulla: software, piattaforme, e promesse di “efficienza” che non hanno toccato la realtà dei pazienti.
Le radici del disastro: il Titolo V e l’austerità
La beffa, cui seguì il danno, parte dalla riforma del Titolo V della Costituzione (Legge Costituzionale n.3 del 18 ottobre 2001), modificando gli articoli 117 e 118 della Costituzione, trasferendo alle Regioni materie come la tutela della salute e l’istruzione. Approvata dal governo Amato su impulso del centrosinistra (Prodi, D’Alema), fu una mossa tattica, un “regalo” alla Lega per far fuori Berlusconi e permettere al PD di governare. “Fu un errore strategico” dichiaro”, dichiarò Gianni Cuperlo, a misfatto compiuto. L’idea era quella di un “federalismo solidale”: più autonomia per adattare i servizi ai territori, ma con garanzie di equità e fondi adeguati dallo Stato, dando alle Regioni la gestione esclusiva dell’organizzazione, programmazione e spesa (tramite Aziende Sanitarie Locali e Provinciali – ASP), ma con lo Stato che definisce i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA, primo DPCM nel 2001). Il risultato? 21 sistemi sanitari frammentati, con il Sud in default. Il FSN sceso dal 6,8% del PIL (2001) al 5,9% (2025), con 37 miliardi (fonte Gimbe/Rapporti SVIMEZ), di tagli cumulativi tra il 2010 e 2019, a cui si aggiunge il rigore di bilancio (austerità), imposto dalla EU post-2008 che ha prodotto 46,5 miliardi in meno sulla spesa pubblica e 18 miliardi di tasse in più, in un periodo compreso tra il 2009 e il 2015.

Il definanziamento silenzioso della Sanità pubblica
Il finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN), noto anche come Fondo Sanitario Nazionale (FSN), rappresenta le risorse che lo Stato assegna ogni anno alla sanità pubblica, principalmente tramite la legge di Bilancio. Questi fondi vengono poi distribuiti alle Regioni per garantire il funzionamento di ospedali, ambulatori e servizi territoriali. Ma attenzione: il finanziamento non coincide con la spesa sanitaria, che comprende anche risorse regionali e altri programmi. In pratica, lo Stato stabilisce la base, ma la tenuta del sistema dipende da quanto, e come, si spende davvero. Tra il 2025 e il 2027, il FSN crescerà del 2,3% annuo, mentre il PIL salirà del 2,8%. In proporzione, la sanità riceverà meno risorse. È un definanziamento mascherato da aumento: la sanità perde peso nel bilancio dello Stato, diventa meno prioritaria. E le conseguenze sono chiare: meno fondi, meno personale, meno investimenti. Il pubblico si ritira, il privato avanza. Per dare un’idea concreta, in dieci anni, l’Italia investirà 300 miliardi nelle armi e appena 136 nella sanità. Un Paese che spende cinque volte di più per la guerra che per la cura ha già scelto da che parte stare. E non è quella del cittadino.
In Sicilia, il PNRR avrebbe potuto invertire la rotta. Ma solo il 42% dei fondi destinati alla sanità è stato speso, e quasi esclusivamente per digitale e territorio: case di comunità, assistenza domiciliare, fascicolo sanitario elettronico. Tutto utile, certo. Ma nessun impatto reale su ospedali, reparti o assunzioni. Nessuna riforma strutturale. Il risultato? Una sanità più connessa, ma non più curata. Un diritto sulla carta, sempre più lontano nella realtà.

Il caso Sicilia: tra clientelismo e debiti “regalati”
Nel 2015, la Regione Siciliana, guidata da Rosario Crocetta (centrosinistra, governo Renzi), firmò un accordo con lo Stato (DL 78/2015) rinunciando a circa 6 miliardi di crediti sanitari storici. In cambio, ottenne la possibilità di spalmare il disavanzo su 30 anni. In teoria, lo Stato avrebbe dovuto aumentare la sua quota di finanziamento al Fondo Sanitario Nazionale per la Sicilia, passando dal 42,5% al 49,11%. Ma il vincolo al pareggio di bilancio ha vanificato tutto: la Regione non può spendere più di quanto incassa. Il risultato? Per anni, un buco di 900 milioni l’anno ha pesato come un macigno sulla sanità pubblica.
In sostanza, l’accordo fu politicamente vantaggioso per Roma, che si liberava di un contenzioso miliardario, e rischioso per Palermo, che si legava le mani da sola. Una rinuncia alle risorse future in cambio di un po’ di ossigeno contabile nel presente, e della garanzia, per Crocetta, di poter portare a termine il mandato.
A distanza di sette anni, il copione si ripete. Cambiano i nomi, non la logica. Nel dicembre 2022, il presidente Renato Schifani (centrodestra, governo Meloni) ha firmato un nuovo accordo con il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze), guidato da Giancarlo Giorgetti (Lega). L’obiettivo? Ristrutturare parte del debito regionale. L’accordo prevede:
866 milioni di debito spalmati su 10 anni, con rate annuali da circa 86 milioni.
2 miliardi rimborsati tramite la Cassa Depositi e Prestiti: in pratica, la CDP ha fornito liquidità per estinguere vecchi prestiti, sostituendoli con nuovi a condizioni più favorevoli. Ma la compartecipazione al FSN, con l’accordo Schifani-Giorgetti, è tornata al 42%. Questa percentuale è cruciale: determina quanta autonomia finanziaria ha la Regione e quanto pesa il vincolo del pareggio di bilancio. Se la Regione non riesce a raccogliere abbastanza risorse proprie, non può comunque sforare — anche se lo Stato aumenta la sua quota.
Ma non è tutto. Nell’accordo è stata inserita anche la rinuncia ai residui attivi: crediti che la Regione vantava verso lo Stato e che, secondo stime interne, ammontavano a diversi miliardi di euro (la Regione non ha mai pubblicato un dettaglio analitico del loro ammontare, si parla di cifre comprese tra i 3 e 6 miliardi di euro ma senza conferme ufficiali), azzerati formalmente. Il motivo? Chiudere il contenzioso con lo Stato, ottenere la possibilità di ristrutturare il debito e uscire dal piano di rientro. Il tutto presentato come una vittoria politica e di buona amministrazione. Questa scelta ha un costo: meno risorse disponibili per la sanità e per gli investimenti, e un debito totale salito a quasi 8 miliardi di euro. In pratica, l’accordo non ha risolto nulla: ha solo rimandato il problema, vincolando la Sicilia a nuovi tagli e a una gestione sempre più condizionata da Roma.

Epilogo: la filiera del privilegio
La riforma del Titolo V del 2001, nata per ragioni tattiche e ammessa come errore da Cuperlo e Letta, ha prodotto disuguaglianze strutturali e letali. Ha frammentato il Servizio Sanitario Nazionale, trasformandolo in un mosaico di sistemi regionali diseguali, dove il diritto alla salute dipende dal CAP di residenza. In Sicilia, questo disegno è degenerato in un modello clientelare: pubblico depotenziato, privati arricchiti, malati abbandonati. Il risultato è una sanità a due velocità: universale per pochi, privatizzata per chi può pagare.
A peggiorare tutto, Il pareggio di bilancio. Inserito nella Costituzione nel 2012 su impulso del governo Monti, è il simbolo di una resa. Una resa politica, sociale, culturale. Fu votato da quasi tutto l’arco parlamentare: PD, PDL, UDC, FLI, API, Lega Nord, con l’unica opposizione di IDV e Lega (in Senato).
Una modifica costituzionale approvata in fretta, senza dibattito pubblico, nel pieno della crisi del debito. Ma non fu solo un errore: fu un atto di sottomissione. Da allora, lo Stato italiano ha smesso di essere sovrano. Senza più una banca centrale nazionale, senza controllo sulla moneta, senza margini di spesa, ogni governo è diventato un esecutore contabile. E ogni Regione, un terminale periferico di un sistema che impone tagli, vincoli, sacrifici — anche quando la realtà grida l’opposto. La Sicilia, più di ogni altra, ha pagato il prezzo di questa architettura. Ha rinunciato a miliardi di crediti, ha firmato patti capestro, ha accettato di essere commissariata nei fatti. In cambio? Nulla. Solo la possibilità di dire che “i conti sono in ordine”, mentre ospedali chiudono, medici scappano, e i cittadini si rassegnano.
La politica ha smesso di rappresentare. Ha scelto di obbedire. Ha barattato il potere di decidere con il privilegio di restare. Ha svenduto il Paese per garantirsi la poltrona. E oggi, mentre i cittadini diventano automi digitalizzati, sorvegliati, spremuti, la democrazia si svuota. Non è più governo del popolo, ma gestione della scarsità. Questo non è progresso. È un sistema che ha smesso di servire l’uomo per servire il debito: un debito indotto, creato dal nulla da entità private che prestano ciò che non possiedono, e pretendono indietro interessi su ciò che non rischiano. Un potere senza volto, senza mandato, senza responsabilità. È il trionfo della finanza speculativa sulla democrazia, della contabilità sulla dignità. E finché non si rovescia questo impianto, ogni riforma sarà solo maquillage. Ogni voto, una firma in bianco. Ogni silenzio, una complicità.
bilgiu
Elenco Link alle Fonti:
La Repubblica (4 novembre 2025): “Politica, sanità e nomine: chiesto l’arresto di Totò Cuffaro e di Saverio Romano”. Dettagli su 18 indagati, appalti truccati e perquisizioni.
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L’Unità (4 novembre 2025): “Appalti truccati nella sanità in Sicilia, chiesto l’arresto dell’ex governatore Totò Cuffaro e del deputato Saverio Romano”. Intercettazioni su “comitato d’affari occulto” e mediazioni appalti.
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Il Fatto Quotidiano (5 novembre 2025): “Inchiesta Cuffaro in Sicilia: le manovre di potere nell’indagine”. Citazioni intercettazioni: “Noi abbiamo Enna, Palermo e Siracusa”; minacce e favori DC.
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Il Post (5 novembre 2025): “La grossa inchiesta in Sicilia in cui è coinvolto Totò Cuffaro”. Ruolo di Cuffaro come “dominus” e mediatori (es. Calogero Zambuto).
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Voce di Sicilia (4 novembre 2025): “Corruzione e appalti truccati nella sanità: sotto accusa il sistema di nomine, chiesti gli arresti per Cuffaro”. Difesa di Cuffaro e revoche manager (es. Alessandro Caltagirone).
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Ministero della Salute – Annuario Statistico SSN (ed. 2023, pubb. marzo 2025): Dati su regionalizzazione, LEA e spesa pro-capite. Conferma +22% reale dal 2001.
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OCSE – Health at a Glance 2023: Europe (agg. 2025): Analisi federalismo sanitario italiano; “deriva regionalista” con disuguaglianze Nord-Sud.
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Gimbe – Rapporto SSN 2025 (ottobre 2025): Tabella FSN % PIL: 2001-2007 6,5-6,8%; 2008-2019 -37 miliardi; 2020-2025 +8,6 miliardi insufficienti.
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Ministero della Salute – Piano di Rientro Sicilia (verifica 2023): Disavanzo cronico 2 miliardi; LEA 7/10; rete ospedaliera -367 posti letto (20212025).
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Regione Siciliana – Report Sanità 2023: Spesa pro-capite 1.433 euro (vs 1.730 Italia); privati accreditati ~1 miliardo annuo SSN; mobilità passiva 300-400 mln.
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Gimbe – Dati Sicilia 2025: Rinunce cure 9%; costi esternalizzazioni (pulizie +100-150%, analisi +50-150%). Tabella servizi consolidata.
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CREA Sanità – Report Esternalizzazioni 2023: Costi gonfiati privati vs interni (+50-100% visite, +100% chirurgia); quota privata 23,9% vs 20,3% nazionale.
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Quotidiano Sanità (varie edizioni 2023-2025): Convenzioni private Sicilia ~1 miliardo annuo; tariffe +50-100% (es. visita 40-60€ pubblica vs 80-120€ convenzionata).
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Annuario SSN 2023 (Ministero Salute): Ospedali pubblici -125 (2011-2021); posti letto -10.560 (2013-2023); privati accreditati 525-995.
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Gimbe – Rapporto 2025: Tagli UE-indotti -37 miliardi (2010-2019); -13,1 miliardi reali (2023-2025).
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I Nuovi Vespri (2021,+ agg. 2025): Accordo Crocetta 2015: rinuncia ~6 miliardi crediti sanitari; buco +900 mln/anno.
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Regione Siciliana – Accordo Bilaterale 2022: Azzera residui ~2 miliardi; spalma 866 mln su 10 anni; compartecipazione 42%; assunzioni +1.200.
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BlogSicilia (2023-2025): Debito totale 7,3 miliardi; +170 mln FSN ma tagli lineari; Pnrr ritardi 42%.
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Pagella Politica (analisi storica 2021, cit. 2025): Riforma Titolo V 2001 come “errore” per contrastare Lega; federalismo asimmetrico.
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OCSE – Realizing the Future of Health 2024 (agg. 2025): Disuguaglianze letali; proposte ricentralizzazione parziale LEA.
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Nota: Fonti verificate al 08/11/2025. Clicca su [Link diretto] per aprire la fonte originale.
