
A 100 anni dalla nascita, Il Domenicale del 26 maggio 2007 fa un ritratto dell’attore che meglio di altri ha incarnato il mito del buon conservatore. John Wayne, il Duca, il Grinta, il duro, il soldato, il cowboy, fu giudicato un reazionario ma nei suoi modi si esaltavano i valori che hanno fatto grande gli Usa e l’Occidente. Anticomunista, presbiteriano e massone, morì cattolico. Stalin ne chiese la testa, lui appoggio Nixon, fu amico di Reagan, rifiutò la Casa Bianca.
Un ritratto proposto da Luisa Cotta Ramosino e Marco Respinti, di com’era quell’uomo buono, semplice, insomma osiamo dire occidentale. Un mito che il giornale rilancia volentieri. Probabilmente avrebbe avuto qualcosa da dire vedendo l’ultimo bellissimo film di Clint Eastwood dedicato alla battaglia di Jwo Jima. Wayne aveva dedicato alla sanguinosa battaglia un film con cui sfiorò l’Oscar (Jwo Jima deserto di fuoco, del 1949), una pellicola che trasudava quel patriottismo senza sfumature né cedimenti che gli ha guadagnati applausi e onori da un lato e impietose accuse dall’altro. Del resto, Wayne, a differenza di altri attori di Hollywood non aveva mai vestito la divisa.
Leggendo le sue affermazioni emerge un chiaro rispetto per il pubblico, decisamente superiore a quello di tante star snob dei nostri giorni. Deciso a fare film che non avrebbe avuto imbarazzo a mostrare alla figlia, non aveva problemi a dichiarare i suoi principi e le sue convinzioni. Fu tra i fondatori della Motion Picture Alliance for the Preservation of American Ideals, di cui divenne presidente. Accusato di essere reazionario (ma Wayne diceva di considerarsi progressista, di aver scoperto di essere estremista di Destra dalle dichiarazioni dei nuovi Liberal) Certo Wayne appoggiò Nixon e il suo operato per quanto riguarda il Vietnam. Del resto, Wayne fu protagonista in “Berretti Verdi” (del 1968, hit al box office e massacrato dalla critica) o come per “La battaglia di Alamo” del 1960 e universalmente additato come esempio di inaccettabile propaganda, il nostro da sincero anticomunista continuò fino all’ultimo a professare la sua convinzione della bontà dell’intervento americano nel Sud-Est asiatico in nome della libertà e della democrazia. Sono gli stessi valori che Wayne sentiva incarnati nei suoi film. Wayne detiene un record non solo per il numero di film interpretati, ma per essere stato nella maggior parte di essi il protagonista. Ramosino elenca alcuni film famosi del nostro eroe: Ombre Rosse; I Falchi di Rangoon, I Sacrificati. E poi quelli diretti dall’amato regista Ford.
Tuttavia, per la curatrice i due film ideali dell’attore americano non sarebbero né i western, né quelli di guerra, ma l’”Uomo tranquillo” (1951) e poi “Sentieri selvaggi” (1956) Per quanto riguarda la sua visione politica, Marco Respinti lo definisce nella sua breve scheda come un seguace di “Dio, Patria e Famiglia”, of course e ci ricorda che marciava con gli “Young American for Freedom” di BucKeley, Evans e Mrs. Kirk. Dai documenti dissotterrati nel 2003 dagli Archivi sovietici pare che Stalin avesse ordinato l’assassinio di John Wayne. Ma anche Kruscev. Wayne, scrive Respinti suscitava odio e amore, ma soprattutto era il campione di un modo di essere schietto, deciso e senza compromessi che comunemente viene definito “di Destra”. Ma lui ci ha messo molto del suo, per esempio da due braccialetti che portava al polso. Come quello dotato di immenso valore simbolico con il nome inciso POW/MIA, un “prigioniero di guerra”, o con un “disperso in azione”. Si restava in contatto con i suoi familiari, ebbene Wayne ne indossò uno con il nome del capitano Stephan P. Hanson. Il secondo braccialetto se lo guadagnò durante un tour di supporto alle truppe Usa in Vietnam (mentre Jane Fonda, si faceva fotografare con i comunisti vietkong) glielo regalarono i Montagnard, volontari vietnamiti anticomunisti. In Berretti Verdi, fu davvero fuori dal coro apologetico del Vietnam: prendeva per mano un bambino vietnamita, orfano e camminava lungo la spiaggia: “A te, ora penserò io”. Fece imbestialire i liberals americani e i pacifisti europei.
Questo potrebbe bastare e avanzare per fare di Wayne un campione dei conservatori americani. Senza dimenticare che il nostro, sia nella vita che nello schermo, incarnò sempre l’ideale “Dio, Patria e Famiglia”. Tanti politici conservatori americani da Barry M. Goldwater a Ronald Reagan lo ricordano come testimonial ai raduni anticomunisti e patriottici cui pochi attori di Hollywood osavano partecipare. Le sinistre facevano di tutto per odiarlo. Fu un conservatore sul serio scrive Marco Respinti perché ebbe la capacità di rappresentare un popolo intero. Diede l’esempio perché seppe calarsi nelle vene l’amore per la storia patria. Wayne fu l’unico capace di riconciliare un Paese diviso fra indiani e yankee, sudisti e nordisti, bianchi e neri, liberal e destrorsi.
DOMENICO BONVEGNA
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