Dani Karavan, artista ebreo-israeliano in lotta per i Palestinesi

A Calenzano-Fi, all’ingresso dell’autostrada A1, nel 2009 è stata installata una grande ruota di ferro poggiata su un letto d’acqua, un’opera di Dani Karavan, artista nato a Tel Aviv nel 1930 e qui morto nel 2021. La scultura si intitola Tempo, e fa riferimento alle due culture presenti nell’area metropolitana: l’antica vocazione agricola e il recente insediamento industriale. Quello dell’incontro tra culture è tema ricorrente nell’opera di Karavan, artista e architetto paesaggista che ha dedicato molte opere a temi di memoria, pace e convivenza, con un forte impegno simbolico per la fratellanza tra ebrei e palestinesi.

Tra le sue opere più significative in questo ambito c’è la Way of Peace (1996-2000), un percorso di tre chilometri lungo il confine tra Israele ed Egitto, concepito come un simbolo di convivenza e pace tra popoli in conflitto.

Karavan ha continuato a sviluppare la sua arte come meditazione tra natura, memoria storica e rapporti umani, cercando di creare spazi di riflessione e riconciliazione. La sua opera si basa su valori di multiculturalismo e comunitarismo appresi sin da giovane, con radici profonde nel vivere in un kibbutz e nello studio dell’arte legata a ideali di pace.

Questo impegno artistico si è tradotto in opere monumentali simbolo di fratellanza e speranza di pace, non solo tra ebrei e palestinesi ma più in generale in contesti di conflitto. L’impegno artistico di Karavan è stato anche un impegno politico per l’integrazione di ogni cittadino nello Stato di Israele a prescindere dal credo religioso e dall’appartenenza etnica.

Nel dicembre del 1993, Dani Karavan ha partecipato all’incontro internazionale Peace, the day after, organizzato dall’UNESCO a Granada, in Spagna, che vedeva per la prima volta la riunione di un grandissimo numero di intellettuali e artisti Israeliani e Palestinesi. Per l’occasione, Karavan progettò una scultura ambientale, intitolata Piazza della Tolleranza-Omaggio a Yitzak Rabin, con un olivo circondato da erba, terra, sabbia, acqua, reperti archeologici, un muro di cemento con il preambolo della Costituzione dell’UNESCO, come simbolo dell’alba del processo di pace tra Israeliani e Palestinesi.

Nel 2019, insieme ad altri 40 israeliani insigniti con l’Israel Prize, la più alta onorificenza assegnata dallo Stato israeliano, ha firmato una petizione alla Corte Suprema contro la legge che stabilisce che Israele è lo stato nazione del popolo ebraico.

La petizione chiedeva che Israele, lo stato del popolo ebraico dal punto di vista nazionale, fosse anche lo stato – dal punto di vista civile e giuridico – dei suoi cittadini arabi, drusi, beduini e altri. Più di due milioni di cittadini dello stato non sono “ospiti” dello stato-nazione del popolo ebraico: lo Stato di Israele appartiene anche a loro e anche loro appartengono a esso.

Sarebbe bene non dimenticare la lezione che inalberare la bandiera di una sola parte fomenta la guerra e non porta alla pace.

 

Gian Luigi Corinto, docente di Geografia e Marketing agroalimentare Università di Macerata, collaboratore Aduc