
di Andrea Filloramo
“L’elezione di Leone XIV, primo pontefice nato negli Stati Uniti, ha acceso i riflettori su un possibile suo rapporto con il Presidente U.SA Donald Trump”. E’ questo un post che è apparso su Facebook che fa nascere in molti la speranza di un incontro fra chi detiene il potere religioso e chi quello economico – politico, che possa aiutare a cercare la pace.
Sappiamo che i media conservatori statunitensi, definiti “trumpiani”, hanno accolto con entusiasmo l’elezione del Cardinale Prevost al soglio di Pietro. Le loro reazioni sono state caratterizzate da un misto di orgoglio nazionale e aspettative politiche.
Il presidente Donald Trump ha celebrato l’evento come un “grande onore” per gli Stati Uniti.
Questa reazione è stata condivisa da altri leader conservatori, che hanno visto nell’elezione del Papa un segno di influenza crescente della Chiesa cattolica americana, che ha 53 milioni di fedeli, cioè il 20% degli adulti, che, pur rappresentando una minoranza, è la chiesa cristiana più grande dell’America.
Da osservare, però, che avere le stesse le origini non significa automaticamente condividere un terreno d’incontro. La comune origine statunitense di Papa Leone e di Trump, quindi, non è affatto e di per sé, un terreno di contatto, in quanto fra loro c’è una complessa e profonda divergenza non facilmente e teoricamente superabile.
Di questa divergenza Leone XIV ne è pienamente consapevole e, perciò, a scanso di equivoci, ha sottolineato, fin dai primi giorni di pontificato, di non voler essere “il Papa degli Stati Uniti”, bensì il Vescovo di Roma e un pastore universale.
Il Pontefice è, quindi, sì, un americano di nascita, ma non vuole che il suo pontificato venga confinato a una lettura nazionale, in quanto ritiene che le sue origini non debbano definire affatto il suo ruolo né le sue scelte. Egli sa che da Papa deve guardare e andare oltre i confini degli Stati Uniti ed avere una prospettiva universale.
La sua identità americana deve essere considerata solo un dato biografico e non una lente interpretativa del suo pontificato, che si propone come spazio di dialogo e testimonianza per tutta la Chiesa.
Queste affermazioni sono cruciali e servono a smarcare il Papa dal rischio di essere percepito come un’estensione spirituale dell’influenza americana.
In un contesto politico fortemente polarizzato come quello degli USA, ogni sua parola potrebbe essere interpretata come un endorsement o una condanna. La prudenza per lui è, dunque, più che necessaria.
Da considerare che il nodo più critico e la distanza più marcata nel rapporto Leone- Trump, è nell’immigrazione e nella giustizia sociale. L’esperienza missionaria in Perù ha reso il Papa particolarmente sensibile al tema della migrazione e alla dignità dei poveri. Non sorprende, perciò, che la sua visione pastorale richiami il tema dell’accoglienza e della solidarietà, in contrapposizione con la retorica trumpiana del muro e della chiusura dei confini.
Per il Papa, la questione migratoria non è innanzitutto un problema di sicurezza, ma di umanità.
Sul piano comunicativo, inoltre, il contrasto fra le due personalità è altrettanto netto e si rilevano due stili che sembrano o sono inconciliabili. Mentre, infatti, Leone XIV predilige toni sobri, inclusivi, pastorali; Trump, al contrario, costruisce consenso su un linguaggio conflittuale. È il divario tra una retorica dell’unità e una retorica della divisione.
In parole povere nel rapporto fra Leone XIV e Trump si verifica uno scontro fra l’universalismo papale contro nazionalismo trumpiano.
Mentre, infatti, il papato, per sua natura, ha un respiro e l’orizzonte di Leone XIV è universale e globale, rivolto alla pace, alla giustizia e al bene comune delle nazioni, quello di Trump rimane invece fedele al paradigma “America First”.
Come si può facilmente evincere, quindi, il rapporto tra i due non va letto come un dialogo tra due alleati naturali, ma come un incontro tra figure che condividono un’origine geografica, ma incarnano visioni del mondo radicalmente diverse.
In questo, la loro relazione è indubbiamente un banco di prova non solo per la diplomazia vaticana, ma anche per la capacità della Chiesa di custodire la sua autonomia morale di fronte alla tentazione del potere politico.
In ogni caso, si auspica che il Papa concretizzi un incontro con Trump e passi dai suoi messaggi per il raggiungimento della pace in Ucraina e nella Striscia di Gaza, a concrete iniziative non simboliche ma collaborative, combinando assieme, fin dove è possibile, la morale e il pragmatismo tipicamente americano che appartiene ad ambedue.
Il dialogo auspicato può prevedere strategie di comunicazione condivisa, volte a rafforzare il messaggio di pace globale, in cui vengono enfatizzati risultati tangibili: vite salvate, scuole riaperte, comunità sostenute.
Attraverso questa collaborazione, Papa Leone XIV mirerà a dimostrare che la leadership spirituale e quella politica possono convergere in progetti reali e misurabili, superando le divisioni e promuovendo la stabilità internazionale.
L’eventuale incontro potrà diventare non solo un simbolo di collaborazione ma un modello pratico per la diplomazia della pace, dove i valori universali e l’azione concreta si potranno intrecciare e offrire un esempio replicabile in altri scenari di conflitto nel mondo