
In questi giorni ho letto diversi interventi sulla strategia comunicativa dell’attivista conservatore americano Charlie Kirk che andava a parlare nei vari campus universitari per dialogare con gli studenti sui più svariati argomenti. Abbiamo appreso, che lo seguivano in molti convinti dalle sue argomentazioni, che non erano di poco conto a cominciare dal rispetto della vita contro l’aborto, del matrimonio tradizionale rispetto a quello tra lo stesso sesso, la sua critica all’ideologia del Gender. Temi che portano a scontrarsi facilmente con tutto quel marasma di associazionismo esplosivo che va dal transgender ai Black Lives Matter, alle femministe pro-aborto, agli anarcocomunisti, ai transantifa e pro-Pal, tutti più o meno giovinastri che usano la violenza più estrema.
Ricordo che nel 2020 dopo la morte del nero George Floyd, nelle manifestazioni di protesta di questi signori, ci furono 30 morti e 14mila arresti e danni alle proprietà per 2 miliardi. Con questa situazione non è facile poter esprimere le proprie idee magari opposte a tutto questo culturame ben presente per esempio nelle università americane. Ecco perché non c’è da meravigliarsi della notizia inquietante pubblicata il 19 settembre scorso dal blog Ifamnews. (International Family News) di un Rapporto dove rivela che l’88% degli studenti universitari teme di esprimere le proprie vere convinzioni.
Praticamente questi studenti universitari affermano “di aver finto di sostenere idee più progressiste o liberali di quanto non credano realmente, tutto in nome dell’integrazione sociale o per assicurarsi il successo accademico”. I risultati provengono da interviste confidenziali con oltre 1.400 studenti della Northwestern University e dell’Università del Michigan. L’indagine mostra una forte pressione sugli studenti a conformarsi. Circa il 78% degli intervistati afferma di autocensurarsi sull’identità di genere, il 72% sulla politica e il 68% sui valori familiari. La maggior parte degli studenti non è d’accordo con l’idea che l’identità di genere dovrebbe prevalere sul sesso biologico in ambiti come lo sport, l’assistenza sanitaria o i dati pubblici—ma la maggior parte non è disposta a parlare apertamente. Questa riluttanza riflette la paura di ritorsioni sociali o accademiche per questo nascondono le proprie opinioni. Più di un terzo si descrive come “moralmente confuso”, incerto se parlare onestamente valga la potenziale esclusione. E questo comportamento adattivo non si limita alla classe—si estende ad amici e relazioni, dove molti evitano di discutere convinzioni profondamente radicate, tipo religiose.
Lo studio evidenzia una crisi nell’istruzione superiore: invece di promuovere un dibattito robusto, i campus stanno spingendo un’ortodossia predefinita che impone la conformità al partito del politicamente corretto. Ciò mina la libertà accademica, danneggia lo sviluppo morale degli studenti e indebolisce le libertà fondamentali radicate nella verità e nella libertà di parola. Charlie Kirk ha cercato di contrastare questa dittatura culturale. Naturalmente questa tendenza è presente anche nelle nostre università, non solo, nella società, c’è gente che si autocensura per non apparire in un certo modo. Prendiamo il caso dei social, su facebook, ci sono “amici” che si privano di mettere un “mi piace” su un mio intervento, o perché non vogliono compromettersi, allora fanno finta di niente. È probabile che molti condividono le mie posizioni, ma hanno timore di esporsi per non essere etichettati come di destra.
Domenico Bonvegna
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