
di Andrea Filloramo
Papa Francesco e Papa Leone XIV, pur con stili e linguaggi differenti, condividono una visione comune che attraversa il cuore del Vangelo: una Chiesa povera per i poveri. Cosa significa, però, oggi questa espressione? Come si declina nel pensiero e nella prassi di due pontefici, così diversi per formazione e temperamento?
Papa Francesco ha messo al centro del suo pontificato l’opzione preferenziale per i poveri, già nel suo primo documento programmatico “Evangelii Gaudium”, cioè “La gioia del Vangelo. Per lui, la Chiesa deve “uscire” dalle sacrestie e farsi casa accogliente per gli esclusi e deve rifiutare ogni forma di clericalismo e autoreferenzialità. I poveri sono i “destinatari privilegiati del Vangelo”. In questa prospettiva, il volto della Chiesa si trasforma: da istituzione difensiva si fa comunità in uscita, pellegrina tra le ferite del mondo.
Papa Leone XIV eredita e conferma questa opzione, ma la riformula in chiave più strutturale: parlare di poveri, per lui, significa parlare di giustizia, di scuola, di sanità, di accesso al lavoro. Non assistenza, ma partecipazione. Non slogan, ma ponti. Nei suoi interventi – già da cardinale e missionario – ha insistito sul fatto che “i poveri non sono un problema da risolvere, ma persone da ascoltare, da includere e da accompagnare”.
Francesco scuote le coscienze con parole forti e gesti simbolici. È il papa che abbraccia i migranti a Lampedusa, che chiama il denaro “sterco del diavolo” e che denuncia le disuguaglianze globali come radici della guerra. I suoi viaggi nelle periferie del mondo – dal Sud Sudan alla Colombia – sono segni visibili di una Chiesa che cammina con gli ultimi, che si sporca le mani e che non teme di entrare nel conflitto della storia.
Leone XIV, di formazione agostiniana e missionario in Perù, preferisce toni sobri, dialoganti. Il suo approccio è più pastorale che profetico, ma non meno radicale nella sostanza: la povertà non è solo un problema sociale, ma una ferita teologica e umana che interpella la struttura stessa della Chiesa. Nei suoi primi discorsi da papa, ha parlato di una “Chiesa che si inginocchia davanti ai poveri per imparare da loro la speranza”.
Il grande merito di Papa Francesco è stato quello di riaprire i cantieri della riforma: sinodalità, ecologia integrale, riforma della Curia. Ma ha spesso lasciato irrisolte tensioni all’interno del corpo ecclesiale, a causa della rapidità e della forza con cui ha spinto per il cambiamento e delle opposizioni che ha avuto all’interno della Chiesa. Alcuni settori hanno vissuto il suo pontificato come una scossa salutare; altri, invece, come un trauma, che per alcuni è diventata inimicizia.
Papa Leone XIV sembra volersi muovere in queste riforme con maggiore equilibrio, cercando di armonizzare carisma e istituzione. La sua visione è meno polarizzante, più orientata al consenso e alla maturazione spirituale delle comunità locali. Non è un ritorno indietro rispetto a Francesco, ma un passaggio da una fase profetica a una fase costituente, in cui si consolidano strutture e processi avviati.
Entrambi i papi condividono una concezione della povertà che non si riduce all’elemosina. Per Francesco, è centrale l’idea dell’ecologia integrale, che mette in relazione degrado ambientale, crisi economica e disuguaglianze sociali. Per Leone XIV, l’attenzione si dovrebbe concentrare maggiormente sulla redistribuzione delle risorse, sulla funzione educativa delle comunità cristiane e sulla creazione di un’etica pubblica che difenda i beni comuni.
Entrambi i papi credono che i poveri non siano solo oggetto di carità, ma soggetti attivi della vita ecclesiale. In Francesco prevale l’urgenza profetica; in Leone XIV emerge il respiro lungo della giustizia. Due cammini diversi, ma complementari, per una Chiesa che vuole tornare a essere Vangelo vissuto nei margini del mondo.
La Chiesa dei poveri non è un’opzione politica, ma una scelta spirituale. Una conversione del cuore e delle strutture. E, oggi più che mai, una necessità evangelica. La sfida, per entrambi, è la stessa: costruire una comunità credibile, dove l’ascolto dei poveri sia la misura della fedeltà al Vangelo.
Entrambi i papi credono che i poveri non siano solo oggetto di carità, ma soggetti attivi della vita ecclesiale. In Francesco prevale l’urgenza profetica; in Leone XIV emerge il respiro lungo della giustizia. Due cammini diversi, ma complementari, per una Chiesa che vuole tornare a essere Vangelo vissuto nei margini del mondo.
La Chiesa dei poveri non è un’opzione politica ma una scelta spirituale. E’ una conversione del cuore e delle strutture. Oggi più che mai, è una necessità evangelica.