
di Andrea Filloramo
La Chiesa cattolica non nega che possano avvenire dei miracoli, anzi li accoglie, se li ritiene veri, come segni della presenza e dell’azione di Dio nel mondo, ma si oppone a un loro uso distorto, al cosiddetto miracolismo, che è un fenomeno presente da secoli, che trasforma la religione in una continua ricerca di segni prodigiosi, che si concentra sulla dimensione sensazionale e visibile delle guarigioni, delle visioni e trascura la riflessione sul Vangelo, dando, così, una visione superstiziosa della fede.
E’ indubbio: il miracolismo, che a tutti gli effetti, è una perversione della fede, è un virus che infetta da secoli la religiosità cattolica e continua a prosperare indisturbato nei santuari, nei gruppi di preghiera, nelle Parrocchie, nelle messe affollate “per grazia ricevuta”.
E’ l’espressione di devozione malata, che trasforma Dio in un distributore automatico di soluzioni, la Madonna in una segretaria celeste a cui inoltrare richieste urgenti e i santi in impiegati del sovrannaturale, da premiare con ex voto ma solo se “funzionano”.
Basta dare un’occhiata a certe Chiese trasformate in mercati del sacro, tra candele, altari ricchi e sontuosi con immagini miracolose “efficaci” da portare annualmente in processione, in cui si promettono prodigi in cambio di tre preghiere recitate per nove giorni, rintracciabili anche nelle cosiddette “catene di preghiera” che ci giungono mediaticamente da ogni parte, in cui leggiamo: “Se la inoltri a 10 amici, riceverai una grazia entro tre giorni”.
Questo non è il Dio dei Vangeli; è una caricatura, costruita sulle paure e sulle scorciatoie di chi non vuole affrontare la vita con maturità di fede, un feticcio che corrisponde al bisogno profondo di padroneggiare l’angoscia di fronte alle malattie, alla morte o alle difficoltà incontrate nel corso della vita, alle quali non si è riusciti a dare un’adeguata soluzione.
E spesso, dietro queste pratiche, si annida anche il business del sacro, che lucra sulla fragilità di chi soffre. Viviamo nell’era del “tutto e subito”, e anche la religione si adatta: vogliamo miracoli rapidi, tangibili, risolutivi. Non importa convertirsi, non importa cambiare vita. Basta che Dio faccia quello che chiediamo. È la spiritualità on demand, in cui la preghiera è un ordine a domicilio, non un atto di comunione.
Il miracolismo prospera anche grazie a una diffusa ignoranza teologica, coltivata da decenni di catechesi superficiale e predicazioni accomodanti. Si è smesso da tanto tempo di parlare del mistero, del silenzio di Dio, della forza della fede che non ottiene nulla ma continua a credere. Si preferisce intrattenere il popolo con l’ennesima storia edificante di guarigione “inspiegabile”.
Ma non servono affatto le testimonianze miracolose: serve la testimonianza evangelica, che è quella dei credenti che vivono nella malattia senza perdere la speranza, che pregano senza pretendere, che accettano di non capire tutto e continuano tuttavia a fidarsi.
Da dire e da predicare con chiarezza che Dio non è il genio della lampada e il cristianesimo non è né può essere la religione dei miracoli, ma della fede nella Risurrezione, che non sempre toglie la sofferenza, ma la trasfigura. Chi cerca solo il miracolo ha già perso la fede, perché ha smesso di cercare Dio per se stesso.
Forse è ora di riscoprire una preghiera più adulta, che dica non solo “dammi”, ma anche “trasformami”. Forse nel silenzio di una fede che non chiede nulla, ma si offre totalmente, potremo finalmente riconoscere il più grande miracolo: una vita cambiata.
I miracoli, secondo la dottrina cattolica, possono esserci ma sono da considerare doni dati da Dio, magari per intercessione della Madonna o dei Santi, con cui egli invita a viverli come segni che rimandano alla realtà più profonda che è Cristo.
Così la pensavano i Padri della Chiesa e molti teologi, come Agostino e Tommaso d’Aquino, che insistevano sul fatto che i miracoli sono strumenti per orientare al Mistero e alla Verità, non per scatenare curiosità e fanatismo.
Il Concilio di Trento e, più tardi, il Concilio Vaticano II, hanno messo in guardia dal miracolismo e hanno richiamato ad una devozione basata sulla Parola, evitando forme di pietismo, ricordando che la centralità della fede è nel Mistero Pasquale.
I Papi: a partire da Leone XIII a Benedetto XVI, hanno più volte richiamato ad una religione basata sulla conversione e sulla carità e hanno richiesto alle Commissioni vaticane e ai vescovi ad analizzare e discernere con rigore scientifico e teologico la veridicità dei fatti ritenuti miracolosi, utili ma non indispensabili, alla canonizzazione dei Santi, per evitare fenomeni di manipolazione.
Papa Francesco, in diversi interventi, ha messo in guardia dal trasformare la fede in una “religione dei miracoli facili”, insistendo sulla conversione del cuore, senza la quale essa diventa superstizione.