di Michele Santoro
Come sapete, ho scritto con Guido Ruotolo un libro, “Nient’altro che la verità”, in cui Maurizio Avola si autoaccusa della strage di via D’Amelio fornendo una accurata descrizione delle modalità con cui si sarebbe svolta.
“Il Fatto” e “Repubblica”, senza cogliere il vero significato di queste dichiarazioni, si sono precipitati a considerarle inattendibili perché negherebbero il ruolo nelle stragi di apparati deviati o, come sembra affermare Scarpinato, dello Stato tout court. In una recente conferenza stampa il senatore del Movimento 5 stelle ha di nuovo definito Avola come un depistatore, un’accusa della quale non si è trovata alcuna prova, come è stata costretta ad ammettere la stessa Procura di Caltanissetta dopo aver usato contro di noi qualunque mezzo lecito e illecito per scoprire le prove di un inesistente complotto. Inoltre un giudice per le indagini preliminari, fatto veramente straordinario, non ha ancora accolta la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura da ben due anni e, soprattutto, si è rifiutato di giudicare inattendibile Maurizio Avola. Naturalmente sia “il Fatto” che “Repubblica”, come purtroppo fanno spesso, hanno continuato a dare per acquisite le posizioni della Procura praticamente ignorando il lavoro del giudice.
L’affare oggi per loro si complica perché interviene un fatto nuovo e clamoroso: la Procura di Reggio Calabria, che ha indagato sull’assassinio del giudice Scopelliti, a cui proprio Avola ha raccontato di aver partecipato con Matteo Messina Denaro all’inizio della strategia stragista di Cosa Nostra, sembra aver trovato importanti riscontri a quanto detto dal collaboratore di giustizia e meticolosamente riportato nel nostro libro del quale “Il Fatto” e Scarpinato hanno detto tutto il male possibile. La svolta è clamorosa primo perché è difficile considerare attendibile Avola a Reggio Calabria e inattendibile a Caltanissetta, secondo perché verrebbe certificata la partecipazione dei catanesi alle stragi sempre negata dalla procura nissena. Facile dunque comprendere perché l’articolo che ne parla correttamente venga confinato nel sito online del quotidiano. Un comportamento a quanto pare contagioso: Salvo Palazzolo, infatti, su Repubblica firma una pagina sulla pista nera seguita da Falcone sul delitto Mattarella, presidente della Regione Sicilia. Una ipotesi investigativa smentita da Tommaso Buscetta nella maniera più assoluta e della quale non sono mai stati trovati elementi sia pur minimi di prova. Curiosamente lo stesso giornalista è autore lo stesso giorno di un altro articolo in cui la Procura di Caltanissetta, purtroppo per Report è costretta a chiedere l’archiviazione della pista nera sulla strage di Capaci su cui sembra ancora insistere anche Report. Mi auguro che questi colleghi di cui ho una sincera stima smaltiscono la sbornia ideologica su cui personaggi mediocri costruiscono carriere politiche. Perché nel loro modo di raccontare i fatti non è il ruolo dei servizi segreti, che va comunque dimostrato, ad essere sopravvalutato ma quello di Cosa Nostra ad essere completamente svalutato. Se “è stato lo stato” a fare le stragi allora la Mafia non esiste. E torniamo punto e a capo.