Marcello D’Agata, la speranza torni in carcere. Affinché altri non commettano i miei stessi errori (terza puntata)

“Anche il Signore» è carcerato dai nostri egoismi e sistemi, dalle tante ingiustizie che sono facili per punire i più deboli mentre i pesci grandi nuotano… Occorre una giustizia di riconciliazione, ma anche una giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti, questa non è una utopia si può fare, non è facile perché le nostre debolezze ci sono dappertutto, il diavolo è dappertutto, le tentazioni, ma si deve tentare…”.

Papa Francesco 

Delinquere non è un diritto, né una prerogativa concedibile a determinate categorie di persone che agiscono perché necessitati da altri bisogni: commettere un delitto è una offesa grave che si consuma a danni di altri che di quel gesto sono le vittime, perché dietro ogni reato, delitto, c’è una vittima.  Occorre educare, rieducare per essere chiari chi ha violato le regole. “Un genitore severo ma giusto nell’insegnamento mai sarà compreso subito, ma sempre dopo, nel tempo, quando crescendo il giovane capirà le ragioni del genitore e i suoi errori, lo stesso deve essere il carcere per i minori. Se qualcuno, quando ebbi a fare la mia prima esperienza carceraria mi avesse insegnato o solo fatto capire, che i delitti si pagano, oggi non vivrei la terribile realtà in cui mi trovo e lo ringrazierei sempre”. Così continua nella sua riflessione sul Sistema Carcere l’ex esponente di primo piano di Cosa Nostra, Marcello D’Agata, legato alla famiglia catanese di Nitto Santapaola. D’Agata per circa dieci anni è stato al 41 bis (il regime di carcere duro riservato alla criminalità organizzata) e oggi è detenuto in Alta sicurezza nel carcere alle porte di Milano.

Oggi lui è un’altra persona in parole semplici è un uomo che ha compreso, sulla sua pelle, che abbracciare la mafia è una sciagura ambulante, alla ricerca di un posto dove accadere. La criminalità organizzata arruola le persone ai margini della società: i tanti che entrati nel cerchio, spesso infernale, delle carceri, che prima o poi si troveranno a vivere in condizioni disumane e degradanti, uomini che hanno navigato nel mare in tempesta della vita e a un certo punto sono andati alla deriva, preferendo il male. Ma al di là dei loro errori, delle loro colpe, dei loro reati sono esseri umani. Quello che uno Stato civile dovrebbe loro riconoscere: dare quella dignità di uomini che Papa Francesco continua a sottolineare nei suoi interventi in tema di giustizia. Partendo da un punto di vista laico ed evitando pietismi, buonismi e qualsiasi deriva ideologica.

E lo stesso D’Agata ci ricorda che il carcere ha a che fare con la sicurezza sociale. E la sicurezza è un bene collettivo, un bene di cui tutti ci dobbiamo occupare e preoccupare. Senza intenti forcaioli, ma con tutta lumanità possibile. Facendo prevalere la forza della ragione sulla ragione della forza e tenendo sempre a mente che la persona non è – sempre, e comunque – il reato che ha commesso.

La mafia cresce in tutte quelle aree del nostro Paese dove lo Stato non riesce a dare una “giusta” sicurezza ai cittadini, ma soprattutto perché sono zone poco sviluppate e molto povere. Aree disagiate, prive di reali sostegni economici, dove il malcontento e il bisogno sociale si avverte di più rispetto ad altre zone del Paese.

Capita che queste organizzazioni criminali siano così radicate nel territorio che addirittura riescono a controllare, in modo diffuso e dettagliato, i bisogni dei cittadini: quello che, per intenderci, sarebbe stato un loro diritto avere dallo Stato. I cittadini che si rivolgono alla mafia per ottenere un giusto diritto che le Istituzioni negano, però presto scopriranno che la mafia non aiuta, specie le attività economiche, bensì le soffoca. Vedi il caso delle aziende che si rivolgono al mafioso per risolvere delle problematiche: il rapporto tra le due entità non sarà mai bilanciato, giacché le finalità e il sistema che mantiene in vita la mafia non offre un futuro all’imprenditore.

Pertanto, per D’Agata, per ridurre di molto la macro criminalità, sarà essenziale dare la massima attenzione e recupero dei detenuti comuni, non soltanto con la detenzione effettiva (pena certa), ma con l’insegnamento reale che delinquere non conviene. Soprattutto saranno determinanti le occasioni di lavoro e la lezione che l’Istituzione carcere dovrà, nell’insieme, saper offrire all’interno delle sue strutture a tutti i detenuti. Contestualmente per combattere la mafia sarà necessario ridurre alcune attività che la sostengono come: le estorsioni e il traffico di droga. Insomma, cambiare marcia è possibile. Le soluzioni non mancano, come vedremo nella prossima puntata.

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