
Il 70% dei bambini di dieci anni possiede già uno smartphone e i ragazzi di quindici anni trascorrono tra le 30 e le 60 ore settimanali davanti agli schermi. Oggi la domanda non è più se i bambini cresceranno immersi nella tecnologia, ma come questa immersione plasmerà il loro sviluppo, il loro benessere e il loro futuro. Il rapporto Ocse “How’s Life for Children in the Digital Age?” offre la prima panoramica sistematica e comparativa internazionale su questo fenomeno, delineando un quadro complesso dove opportunità straordinarie si intrecciano con rischi emergenti e disuguaglianze digitali che si manifestano fin dalla prima infanzia.
Basato sui dati più recenti disponibili a livello internazionale, il report comprende un ricco set di indicatori relativi all’accesso e all’uso delle tecnologie digitali da parte dei bambini, alle interazioni sociali online, alle esperienze negative e alle pratiche che aumentano o riducono i rischi, fotografando una generazione che sta crescendo in un territorio inesplorato, dove le regole del gioco vengono riscritte giorno dopo giorno e gli adulti faticano a tenere il passo.
Nel 2021 circa il 93% dei bambini di dieci anni aveva già accesso a Internet
Nel 2021, secondo i dati delle ricerche internazionali PIRLS[1], circa il 93% dei bambini di dieci anni aveva accesso a Internet, rispetto all’85% di dieci anni prima. Ma è l’età di accesso ai dispositivi personali a segnare una vera rivoluzione generazionale: il 70% dei decenni possiede già un proprio smartphone, mentre tra i quindicenni l’accesso è praticamente universale, con il 96% che dispone di computer, laptop o tablet a casa e il 98% che ha uno smartphone con connessione Internet. Questa diffusione capillare ha trasformato radicalmente le modalità di socializzazione, apprendimento e intrattenimento dei più giovani. I bambini di oggi non “usano” la tecnologia come facevano le generazioni precedenti, ma ci “vivono dentro”, sviluppando competenze digitali intuitive che spesso superano quelle degli adulti di riferimento. Tuttavia, questa naturalezza nell’uso non si traduce automaticamente in consapevolezza dei rischi o in capacità di autoregolazione. Il rapporto evidenzia come solo il 51% degli studenti quindicenni nei paesi Ocse riferisca di essere in grado di regolare facilmente le impostazioni digitali per proteggere la propria privacy, mentre il 27,6% ammette di condividere intenzionalmente informazioni false sui social network in risposta alle pressioni sociali e alla preoccupazione per la privacy e il 17% manifesta sintomi di ansia da disconnessione, riferendo disagio o nervosismo quando è lontano dai propri dispositivi digitali. Questi dati confermano un paradosso della vita digitale giovanile: alta familiarità con la tecnologia accompagnata da limitata consapevolezza delle implicazioni e poca capacità di gestione.
La tecnologia rappresenta un canale privilegiato per l’espressione di sé, in particolare per ragazze e giovani con background migratorio
Nonostante i rischi evidenti, il report riconosce le opportunità straordinarie che la tecnologia digitale offre ai bambini. Gli strumenti digitali aprono porte all’apprendimento personalizzato, alla creatività, all’accesso a informazioni globali e alla possibilità di costruire reti sociali che vanno oltre i confini geografici e culturali. Per alcune categorie di bambini, in particolare ragazze e giovani con background migratorio, la tecnologia rappresenta spesso un canale privilegiato per l’espressione di sé e la costruzione di connessioni significative. Le piattaforme digitali possono fungere da spazi di supporto emotivo e di condivisione di esperienze, particolarmente preziosi per bambini che si sentono isolati o diversi nel loro contesto fisico più prossimo. La possibilità di accedere a comunità online basate su interessi comuni, di partecipare a progetti collaborativi globali o di sviluppare competenze attraverso tutorial e corsi online rappresenta un ampliamento senza precedenti delle opportunità educative e sociali. Inoltre, per bambini con disabilità o con esigenze educative speciali, la tecnologia può offrire strumenti di compensazione e di potenziamento che aprono possibilità di partecipazione precedentemente impensabili. Le tecnologie assistive, i software di apprendimento adattivo e le piattaforme di comunicazione aumentativa rappresentano spesso la differenza tra inclusione ed esclusione sociale ed educativa.
La privazione del sonno emerge come una delle conseguenze più pervasive dell’uso intensivo della tecnologia
L’altro volto della medaglia digitale desta tuttavia preoccupazioni concrete e crescenti. Il cyberbullismo è in aumento in tutti i paesi Ocse e, una quota non trascurabile di bambini e adolescenti riferisce un uso problematico dei social media accompagnato da esperienze negative come l’accesso a contenuti inappropriati o discriminatori, la ricezione di messaggi offensivi, e la condivisione di informazioni personali senza il proprio consenso; tutte problematiche spesso amplificate nei gruppi più vulnerabili come le ragazze, i giovani provenienti da famiglie monoparentali o i bambini di contesti socio-economici svantaggiati. La privazione del sonno emerge come una delle conseguenze più pervasive dell’uso intensivo della tecnologia. La luce blu degli schermi, l’attivazione cognitiva ed emotiva causata dai contenuti digitali e la difficoltà a “staccare” dai dispositivi contribuiscono a una crisi del sonno infantile che ha ripercussioni dirette su sviluppo cognitivo, rendimento scolastico e benessere emotivo. Gli algoritmi progettati per massimizzare il tempo di utilizzo si scontrano con i ritmi biologici naturali dei bambini, creando un conflitto tra business model delle piattaforme e salute dei minori. Il cyberbullismo presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente insidioso rispetto al bullismo tradizionale: la possibilità di anonimato, la persistenza dei contenuti digitali, l’amplificazione tramite condivisioni e la difficoltà di controllo da parte degli adulti creano un ambiente in cui le molestie possono raggiungere livelli di intensità e durata precedentemente impossibili. Le vittime si trovano a subire attacchi che li seguono ovunque, senza possibilità di rifugio neanche nella propria casa.
Il 27% dei quindicenni maschi spende almeno tre ore al giorno sui videogiochi e il 66% delle ragazze ne passa altrettante sui Social media
Dal report emergono alcune differenze di genere nei comportamenti digitali con dinamiche e rischi distinti, ma egualmente preoccupanti: le ragazze, in media, risultano più esposte ai rischi legati all’uso dei Social media – pressione sociale, ansia da prestazione, idealizzazione dell’immagine corporea e cyberbullismo – spesso all’interno di ambienti digitali che amplificano insicurezze già presenti nella fase adolescenziale; i ragazzi, per contro, manifestano più frequentemente comportamenti di gioco intensivo o problematico, con un coinvolgimento prolungato in ambienti virtuali competitivi e talvolta isolanti. In un tipico giorno feriale circa il 27% dei quindicenni maschi spende almeno tre ore al giorno sui videogiochi e il 66% delle ragazze ne passa altrettante sui Social media. Queste differenze non riflettono semplici preferenze individuali, ma rivelano come la struttura stessa delle piattaforme digitali, le loro dinamiche di ricompensa, visibilità e interazione, possano contribuire a rafforzare stereotipi e vulnerabilità legati al genere.
Intercorre un nesso fra benessere digitale dei bambini e condizioni di vita offline e l’effetto è amplificato quando si combinano più fragilità
Una delle acquisizioni più solide e preoccupanti emerse dal rapporto è il nesso che intercorre fra benessere digitale dei bambini e condizioni di vita offline. L’analisi mostra che i rischi legati all’uso problematico delle tecnologie digitali – come l’ansia, la perdita di sonno, il ritiro sociale o l’esposizione a contenuti dannosi – non si distribuiscono in modo uniforme tra gli adolescenti, ma colpiscono più frequentemente quei ragazzi che già sperimentano fragilità nelle loro condizioni di vita offline. Questo legame è bidirezionale: da un lato, uno stile di vita caratterizzato da scarsa attività fisica, rapporti familiari conflittuali o isolamento sociale può incentivare una maggiore immersione nel mondo digitale, vissuto come rifugio o via di fuga; dall’altro, un uso eccessivo e non regolato dei media digitali può aggravare questi stessi fattori, portando a un ulteriore deterioramento delle relazioni sociali, dell’autostima e della salute mentale. Per esempio, il report documenta che tra gli adolescenti che manifestano sintomi di uso problematico dei Social media o dei videogiochi, una quota rilevante riporta anche insoddisfazione scolastica, stress familiare e assenza di relazioni di fiducia con adulti di riferimento. In particolare, l’effetto è amplificato quando si combinano più fragilità: ragazzi che dormono poco, non praticano sport e non parlano regolarmente con i genitori mostrano una probabilità doppia di sviluppare una dipendenza da contenuti digitali rispetto ai coetanei con stili di vita più equilibrati. Il mondo digitale non è dunque una realtà separata, ma un’estensione del quotidiano. Intervenire solo sul sintomo – il tempo trascorso online o il tipo di contenuto fruito – senza considerare le cause profonde che spingono i ragazzi a rifugiarsi nei dispositivi, rischia di produrre soluzioni inefficaci o persino controproducenti.
Divario digitale: le famiglie con maggiori risorse economiche e culturali sono in grado di fornire ai propri figli modelli di utilizzo più consapevoli
Nel mondo del digitale non mancano poi gli squilibri tra paesi e, soprattutto, tra bambini all’interno dello stesso paese, rendendo evidente una nuova forma di disuguaglianza che si manifesta fin dalla prima infanzia. Il divario digitale non riguarda solo la possibilità di accesso ai dispositivi o ad una connessione di qualità, ma abbraccia le competenze nell’utilizzo, il supporto familiare e le opportunità di sviluppo di un rapporto equilibrato con la tecnologia. Le famiglie con maggiori risorse economiche e culturali sono in grado di fornire ai propri figli modelli di utilizzo più consapevoli, controllo genitoriale più efficace e accesso a contenuti educativi di qualità superiore. Al contrario, i bambini provenienti da contesti svantaggiati spesso si trovano a navigare nel mondo digitale con minori competenze, supporto limitato e maggiore esposizione a rischi. Questa stratificazione digitale perpetua e amplifica le disuguaglianze esistenti, creando un circolo vizioso in cui i bambini che partono da posizioni di svantaggio vedono aumentare il proprio gap rispetto ai coetanei privilegiati e le competenze digitali divengono un nuovo fattore di discriminazione sociale.
L’Ocse propone un cambio di paradigma nell’approccio alle politiche per l’infanzia digitale che coinvolga tutti gli attori del sistema
Di fronte a questo scenario complesso, l’Ocse propone un cambio di paradigma nell’approccio alle politiche per l’infanzia digitale. Invece di focalizzarsi sul divieto o sulla limitazione tout court, il rapporto caldeggia un approccio “whole-of-society” che coinvolga tutti gli attori del sistema: fornitori di servizi digitali, professionisti della salute, educatori, esperti, genitori e, cosa fondamentale, gli stessi bambini. Le politiche pubbliche devono fornire un quadro normativo condiviso e standard di sicurezza transnazionali, le aziende tecnologiche devono incorporare la protezione dell’infanzia nei loro modelli di business, gli educatori devono sviluppare nuove competenze per accompagnare i bambini nella loro crescita digitale e i genitori devono essere supportati nell’acquisizione delle conoscenze necessarie per guidare i propri figli. Particolarmente importante è l’inclusione delle voci dei bambini stessi nei processi decisionali che li riguardano. Troppo spesso le politiche per la protezione dell’infanzia vengono sviluppate senza consultare i diretti interessati, perdendo così l’opportunità di comprendere realmente le loro esperienze, i loro bisogni e le loro prospettive. Il rapporto sottolinea la necessità di superare approcci basati sul “panico morale” per investire invece in ricerca rigorosa e monitoraggio sistematico. Molti degli studi attuali sui bambini e la tecnologia soffrono di importanti limitazioni metodologiche: sono troppo correlazionali senza offrire indicazioni chiare sulle relazioni causali, troppo frammentati o troppo superficiali per fornire una base solida alle decisioni politiche. La costruzione di sistemi di monitoraggio più sofisticati, che catturino la complessità dell’esperienza digitale infantile nel tempo e permettano la comparazione dei dati a livello internazionale diviene in questo contesto una priorità assoluta. Solo attraverso dati longitudinali di qualità sarà possibile distinguere tra correlazioni spurie e relazioni causali, identificare i fattori protettivi e sviluppare interventi mirati ed efficaci.
Costruire un futuro digitale centrato sul benessere reale dei bambini
Il rapporto “How’s Life for Children in the Digital Age?” non si limita a offrire una diagnosi accurata del presente, ma si configura come una vera e propria chiamata all’azione per costruire un futuro digitale centrato sul benessere reale dei bambini. L’obiettivo non è demonizzare la tecnologia, ma imparare a governarla con lucidità: coglierne le opportunità senza ignorarne i rischi. Accompagnare i bambini in una crescita sana nell’era digitale non significa semplicemente ridurre il tempo trascorso davanti agli schermi, ma garantire loro tempo, spazio e strumenti adeguati per abitare con consapevolezza quel mondo in cui già vivono. Ciò implica investire in un’educazione digitale che vada oltre le competenze tecniche, integrando pensiero critico, alfabetizzazione emotiva e capacità di autoregolazione; significa progettare tecnologie che rispettino i ritmi e i bisogni dello sviluppo infantile, anziché sfruttarli a fini commerciali e creare ambienti — fisici e virtuali — dove sia possibile esplorare, sbagliare e, imparare in sicurezza senza perdere il contatto con sé stessi e con gli altri.
Mariarosaria Zamboi, ricercatrice dell’Eurispes