Un pannello solare che sembra un origami rivoluzionerà il fotovoltaico

Energie rinnovabili, pensieri ispirati alla green economy, visioni che puntano al miglioramento della qualità della vita, nella società delle frenesie virtuali, gli scenziati hanno voglia di puntare su soluzioni che offrano il massimo dell’efficienza e delle applicazioni alla realtà quotidiana, ma che abbiano a cuore il rispetto per l’ambiente.
Il campo delle energie rinnovabili è sempre più articolato, le aziende che operano nel settore energetico investono maggiormente nel rinnovabile, rispondendo all’esigenza dei consumatori. Sembra che gli italiani abbiano molta più curiosità, rispetto al passato, “verso il mondo green”; ad esempio, pensando in anticipo quando devono richiedere una fornitura elettrica al fatto che questa provenga anche da fonti rinnovabili. Sono disposti a spendere un po’ di più per avere qualcosa di meglio. Gli interventi “eco-friendly” di quest’ultimo periodo, hanno visto la crescita degli investimenti da parte di aziende e privati nell’installazione dei “moduli fotovoltaici” sui tetti delle abitazioni o delle imprese; questo consente nel tempo, di ammortizzare i costi dell’investimento iniziale e di produrre nuovo valore energetico, pagando meno in bolletta e facendo del bene all’ambiente e a noi stessi.
Ed è in questo settore che è giunta una nuova innovazione: il pannello fotovoltaico che si piega come un origami giapponese. La Nasa l’ha messo a punto in collaborazione con la Brigham Young University per impiegarlo in applicazioni nel settore spaziale, che potrebbero essere usate anche per la Terra.
Tra gli ideatori del pannello, c’è Brian Trease, il quale durante un soggiorno di studio in Giappone, ha avuto un’illuminazione, imparando l’arte di piegare la carta, gli origami. In seguito, prendendo come spunto un progetto a cui stavano lavorando gli scienziati della Brigham Young University, il ricecatore ha poi realizzato con la collaborazione del suo team, il prototipo del pannello solare pieghevole. L’oggetto che è uscito fuori ha la grandezza di appena un centimetro ma se viene dispiegato raggiunge un diametro “compreso tra i 2,7 e i 25 metri”. Dato che le applicazioni iniziali erano dirette all’uso in ambito spaziale, si è cercato di ridurre al minimo gli spazi, testando materiali leggeri e resistenti ma poi si è andati oltre, pensando ad un impiego terrestre, tra cui quello di costruire una centrale orbitante attorno al pianeta e che con l’uso delle mocroonde, invierebbe verso la Terra l’energia. I costi dell’operazione sarebbero inferiori a quelli di altre operazioni spaziali e i pannelli potrebbero essere inviati in orbita con un razzo, senza ausilio di astronauti perchè una volta “in posizione” si aprirebbero da soli.
Gli scenziati stanno ora sperimentando l’uso di un materiale che sia facile da piegare e di grande resistenza ma è difficile riuscire a trovarne uno tanto simile da essere modellato come la carta, e con la resistenza giusta per essere inviato nello spazio.
Gli esperimenti continuano mentre noi “comuni mortali” ci interroghiamo sull’abbattimento dei confini tradizionali, sulla rimodulazione delle geografie esistenti, in cui cielo e terra sembrano essere meno netti nella separazione, ma dove la necessità di un mondo non solo a “misura d’uomo”, ma a “misura di natura” nella sua complessità, è tra le sfide più importanti per questa umanità.

Lisa Bachis