La pubblicazione di un post su Facebook dove si presenta un libro sull’esperienza politica del socialista Salvador Allende in Cile, poi soppressa dal Golpe militare del generale Augusto Ugarte Pinochet, mi ha spinto a riprendere l’argomento che andava per la maggiore negli anni ’70. Gli anni di governo del socialista Allende sono stati studiati da Alleanza Cattolica, perché quell’esperienza politica (“la via cilena al socialismo”), si voleva realizzare nel nostro Paese.
L’associazione cattolica in quegli anni ha pubblicato con la sua casa editrice Cristianità, due pamphlet, “Frei il Kerenski cileno” di Fabio Vidigal Xavier da Silveira e “Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico” di Plinio Corre de Oliveira. Mentre il libro a cui fa riferimento il post di Francesco Malvetani, è “La dictadura comunista de Salvador Allende”, di Nicolas Marques, Union Ediciones (2022) In quest’opera, Nicolás Márquez esamina e mette in discussione la glorificazione, sia in Cile che all’estero, della figura di Salvador Allende, le cui vere azioni politiche sono state occultate o falsificate. Allende, che governò il Cile tra il 1970 e il 1973, che, sotto la protezione e i sussidi del totalitarismo sovietico e con la costante assistenza di gruppi terroristici locali e cubani, impose un dispotismo criminale in Cile. Con la costante supervisione del tiranno Fidel Castro, Allende approvò e/o promosse sistematicamente crimini politici. Perseguitò la libera stampa.
Imprigionò gli oppositori. Istituì il furto di massa e la confisca di aziende, fattorie e proprietà. Promosse l’indottrinamento marxista nell’educazione dei bambini. Alla fine, il suo sistema politico diffuse la più nera carestia in tutto il Paese. In questo libro, il lettore non troverà in Allende l’affabile benefattore proclamato dalla sinistra, ma piuttosto ciò che egli era veramente: un dittatore che, con metodi criminali, portò il Cile all’ostracismo e alla prostrazione e che, quando il malcontento popolare e le avversità si fecero sentire, invece di affrontare la situazione con coraggio, pose fine alla sua vita sparandosi, sfuggendo a se stesso e all’enorme responsabilità politica e morale per i terribili danni inflitti al suo Paese.
Pertanto, in Cile, non ci fu nessuna “democrazia interrotta”, come hanno sostenuto e sostengono i sinistri di tutto il mondo, ma una dittatura comunista che il popolo cileno, con le sue Forze Armate come braccio esecutivo, abbatté per sopravvivenza. Salvador Allende non fu un democratico caduto vittima di un golpe fascista, scrive Malvetani. Fu, al contrario, l’uomo che instaurò in Cile, una dittatura comunista perfettamente consapevole, deliberata e fallimentare. Arrivò al potere in modo formalmente legale, ma con appena il 36,3 % dei voti. Non ebbe mai la maggioranza popolare. Fu la Democrazia Cristiana di Eduardo Frei Montalva – che Márquez definisce senza giri di parole “il Kerensky cileno”, ovvero l’utile idiota che spianò la strada al comunismo – a consegnargli il Congresso, per paura di apparire “di destra” e per quella tipica ingenuità del centro benpensante. Una volta insediato, Allende smise immediatamente di rispettare qualsiasi regola repubblicana. Governò per decreti d’urgenza (riservati a tempi di guerra). La Corte Suprema gli scrisse più volte, disperata: «Lei sta impedendo l’esecuzione della giustizia». Lui rispose pubblicamente: «Non applicheremo alcuna sentenza che non coincida con lo spirito della rivoluzione comunista».
Espropriò migliaia di aziende, fattorie, negozi, case. Non con leggi, ma con la forza bruta: bande armate prendevano le proprietà, le dichiaravano “intervenute” e le gestivano per conto dell’Unità Popolare. Chi protestava veniva picchiato, arrestato o ucciso. Il Cile si riempì di agenti stranieri: almeno 20.000 cubani, sovietici, nordcoreani, cecoslovacchi, bulgari. Fidel Castro rimase in Cile un intero mese nel 1971, girando il paese come un viceré, incontrando guerriglieri, dando ordini, umiliando pubblicamente Allende (che apparve spesso come un semplice esecutore).
L’economia collassò in modo catastrofico. Inflazione ufficiale al 600-800 %, reale oltre il 2.000 % (come stimato da Università). Code di giorni per un chilo di pane o un tubetto di dentifricio. Mercato nero ovunque. Sette cambi ufficiali diversi, dollaro a 2.800 escudo al nero. Le riserve internazionali scesero a tre milioni di dollari (bastavano per due giorni di importazioni alimentari). Il Cile, che era uno dei paesi più prosperi del continente, si ridusse nel 1973 al livello economico di Haiti. La violenza politica fu quotidiana. Márquez documenta 6.198 vittime di attentati terroristici in soli tre anni. La scorta personale di Allende (il GAP) era composta da cubani e membri del MIR. Quando i minatori del rame o i camioneros scioperavano (e lo fecero in modo massiccio), il regime mandava gruppi paramilitari a sparare sugli operai. Sì: il “governo del popolo” ammazzava gli operai che osavano protestare contro la fame.
Le donne cilene uscivano ogni sera a battere sulle casseruole dalle finestre: un rombo assordante che durava ore, il simbolo più potente di resistenza civile che si ricordi in America Latina. Nell’agosto del 1973 le istituzioni cilene, stufe, dichiararono formalmente che il governo Allende era illegittimo, incostituzionale e fuori dalla legge: la Corte Suprema, la Contraloría General de la República, la Camera dei Deputati (e poi il Senato) ordinarono esplicitamente alle Forze Armate di intervenire. L’11 settembre 1973 le Forze Armate si sollevarono.
Non ci fu nessuna resistenza popolare in difesa di Allende: nessuno scese in piazza per lui. I guerriglieri si nascosero. Allende, abbandonato da tutti, si chiuse nel palazzo de La Moneda con la sua AK-47 regalata da Fidel Castro, si suicidò o l’hanno suicidato con due colpi alla testa (confermato nel 2011 da perizia internazionale richiesta dalla stessa famiglia Allende, che chiuse definitivamente il mito dell’“assassinio da parte dei golpisti”). La storia è stata riscritta dalla sinistra, trasformando un dittatore fallito in un martire. Il libro di Marquez offre un ottimo contributo per scrivere la verità che è stata nascosta per cinquant’anni. Allende non fu vittima di Pinochet. Pinochet fu la conseguenza di Allende.
Ho scritto sopra che Alleanza Cattolica ha studiato il governo di Salvador Allende oltre ai due libri citati, nella sua rivista, ha pubblicato alcuni studi, uno di questi, pubblicato appena qualche settimana dopo l’intervento militare di Pinochet e la tragica scomparsa di Allende: “Un ‘Golpe’ salva il mito della ‘via cilena?’” (Cristianità, n.1, 25.10.1973) “Ci si impone una pausa sulla strada del socialismo”, aveva detto Allende prima di morire. La tesi di questo studio è che i tre anni di governo di Allende rappresentano per la sinistra mondiale una “via” democratica da spendere in altri Paesi, tipo l’Italia. E così è stato fatto. Dopo le elezioni “vinte” da Allende, tutta la stampa incominciò a parlare della “via cilena” come di un nuovo “passaggio a Nord-Ovest” verso terre paradisiache. “E con il nome nuovo e mediamente esotico si coprì una mossa tattica del comunismo internazionale, teso a uscire dal vicolo cieco nel quale ormai da anni è rinchiuso”.
Da anni, infatti, il comunismo non riesciva a “progredire visibilmente nella conquista imperialistica del mondo se non trasformando, come sempre, guerre locali o mondiali in guerre civili; e quindi lega inevitabilmente la propria immagine, nei fatti e nella psicologia collettiva, al carro armato con la stella rossa e al soldato con il berretto di pelo e con il mitra dal caricatore rotondo, versione “aggiornata” dell’unno che nel decimo secolo incuteva terrore all’Europa del tempo”. Un collegamento che “nel subcosciente collettivo provoca però una inconsapevole reazione di rigetto che si esprime in questi termini: dal 1917 il comunismo non è mai andato al potere attraverso elezioni libere e fededegne né, dove è andato al potere, non lo ha mai lasciato; quindi, il comunismo rappresenta un’avventura sempre sanguinosa e irreversibile”.
Una tesi, confermata da episodi tragici come quello ungherese del 1956 e quello cecoslovacco del 1968, per ricordare soltanto i maggiori o i più noti, dal momento che, su di essi, la stampa “indipendente” non ha potuto tacere. Pertanto, al comunismo serviva uscire da questo vicolo cieco, per fare questo occorreva diffondere immagini diverse, tipo quella “democratica” della “via cilena”. Allende ottiene, come abbiamo scritto, una “vittoria da operetta” e la Democrazia Cristiana lo conferma presidente. “L’esultanza del mondo comunista e progressista è grande: per la prima volta nella storia della setta il comunismo arriva al potere attraverso elezioni, legalmente! I capi della setta possono sperare che il mondo non comunista dimentichi la “guardia rossa” e la riconosca sotto il “doppiopetto” di Allende”.
Incomincia il battage pubblicitario che propaganda “la via democratica, la via legale, la via liberale al socialismo “, del Cile di Allende. Ma appare subito chiaro soprattutto al popolo cileno che, se il comunismo ha perso unità formale e divisa unica; se il comunismo ha perfino cambiato metodo di conquista del potere, servendosi del “cavallo di Troia” democristiano e clerico-progressista invece che del carro armato sovietico, tuttavia, il comunismo non ha però cambiato le proprie mete sovversive di ogni ordinamento naturale e cristiano. Anzi, se ha cambiato divisa e mezzi, lo ha fatto proprio per raggiungere più agevolmente il suo fine “intrinsecamente perverso“!. Così la nazione cilena cade rapidamente nel terrore e nella miseria tipici dei paesi socialisti. Ma il popolo cileno resiste. I minatori scoprono presto che cosa si nasconde dietro l’illusione socialista e diventano oppositori del regime prima che quest’ultimo possa trattarli come il governo polacco ha trattato gli operai di Stettino e di Danzica.
I commercianti, i professionisti, gli agricoltori, gli autotrasportatori, spesso contro i loro dirigenti di categoria, scendono reiteratamente in sciopero, e le massaie “capiscono” prima degli “intellettuali”! La situazione si fa sempre più tragica e insostenibile e la “via cilena” corre il rischio di fallire, e per l’ennesima volta, si verifica che un popolo può piegarsi al terrore, alla paura e all’ingiustizia soltanto sotto la pressione della violenza. Allende è al governo ma non ha conquistato tutto il potere, chiede aiuto al generale, “fratello” Carlos Prats – massone come lui e che da “guardia bianca” diventa “guardia rossa” -, ma il MIR incombe e il colpo di Stato rosso è preannunciato da una sommossa della marina. Non tutti capiscono che non è il Cile comunista da salvare, ma il mito della “via cilena”. Non tutti sono addentro alle “segrete cose”, e quindi non tutti capiscono che per salvare l’immagine della “via cilena” – che apre tante prospettive alla setta comunista e sta già dando i suoi frutti, specialmente in Italia (In Emilia si parlava della “via cilena” del PCI) – non c’è tempo da perdere ma soprattutto, bisogna perdere, possibilmente a opera di “amici”!
Aveva delle alternative Allende? Secondo lo studio di Cristianità poteva ritirarsi pacificamente, ma non si conoscono le reazioni della base di estrema sinistra, dei non “iniziati” della Rivoluzione; e poi, ciò equivarrebbe a lasciare il paese in mano al Partito Nazionale e non agli amici democristiani. Poteva affidarsi alle elezioni? Una vittoria impossibile, perché la DC divisa questa volta non poteva aiutarlo. Ripiegare su un centro-sinistra, conquistando così una maggioranza in parlamento, ma le cose sono andate troppo avanti e la dirigenza democristiana non può esporsi a una totale separazione dalla propria base che preme in senso antigovernativo. Tentare un auto-golpe, ma l’esperimento cade nel ridicolo. Attenzione all’ultima alternativa, è la tesi della rivista Cristianità, è quella di permettere, se non favorire, un colpo di Stato che raccolga le spinte di opposizione della nazione e la riconsegni dopo nelle mani della Democrazia Cristiana divisa in una destra e in una sinistra e quindi già pronta per prendere il potere “da destra” e poi trasferirlo di nuovo – più o meno rapidamente e con le cautele suggerite dall’esperimento fallito – “a sinistra”, secondo lo schema enunciato da Bidault: “Gouverner au centre et faire, avec les moyens de la droite, la politique de la gauche“, programma che nel linguaggio degasperiano suona: “La Democrazia Cristiana [è un] partito di centro inclinato a sinistra, [che] ricava quasi la metà della sua forza elettorale da una massa di destra”.
Quest’ultima ipotesi, per chi “deve fare il democratico”, e quindi salvare il mito della “via cilena” dall’evidente naufragio, è certamente la più felice, ma è anche rischiosa. Infatti, quest’ultima ipotesi comporta sangue, lutti, dolori, ma cosa importano questi dettagli a chi deve fare la Rivoluzione e salvare un suo travestimento tatticamente così utile? A questo gioco si aggiunge poi il cosiddetto “tradimento” dei militari trasformati di nuovo in “guardie bianche” della reazione gli stessi che non avevano temuto di essere “guardie rosse” del governo affamatore. Certo, rimangono i centomila uomini armati, militanti di estrema sinistra, inquadrati nella Brigada marxista internacional, nella Brigada Elmo Catalán (del Partito Socialista), nella Brigada Ramona Parra (del Partito Comunista) oltre ai guerriglieri del MIR, alle brigate cubane, agli esuli rossi brasiliani, uruguaiani, boliviani, ecc. e ai consiglieri bulgari, cecoslovacchi, ecc. – viene da chiedersi che cosa facevano tutti costoro in una repubblica democratica – combattono e forse muoiono, ma nella maggior parte sono truppa, non sono “iniziati”. E più ne muoiono, più la “via cilena” è salva. Non si guarda più a dove ha portato e dove vuole portare: se ne parla come di “un esperimento coraggioso ma, forse, prematuro”.
Ma che si tratti soltanto di una mossa tattica del comunismo internazionale, sembra confermarlo le estreme parole – estreme verità? – pronunciate da Allende: “Ci si impone una pausa sulla strada del socialismo … sarà la storia a giudicare … Queste sono le mie ultime parole … ”. A questo punto lo studio pubblicato da Cristianità si conclude con un auspicio che le sofferenze di un popolo, la fame, la sua eroica opposizione non saranno di nuovo “giocate” dai soliti, loschi personaggi. “Non resta che augurarsi che tra coloro che hanno fatto il golpe e coloro che lo hanno accolto come una liberazione si manifestino uomini decisi a difenderlo da ogni travisamento, e che il popolo cileno che ha respinto le tragiche conseguenze socialiste non si lasci di nuovo imporre le stesse menzognere premesse democristiane”. È soltanto una speranza, ma poiché, come dice il proverbio, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, non si può escludere che diventi realtà. Infatti, lo stesso Pinochet non dava tante garanzie, anche perché i militari in passato avevano appoggiato Allende (vedi il generale Prats). Comunque sia, nel prossimo intervento cercherò di rispondere al quesito se il generale Pinochet ha invertito quella tendenza auspicata dall’articolo della rivista.
DOMENICO BONVEGNA
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