Save the Children, tra i 10 e i 16 milioni di bambini nel mondo rischiano di non tornare sui banchi a causa delle conseguenze del Covid-19

Anche in Italia gravi conseguenze sull’apprendimento: +2,5% di “dispersione implicita”, con un calo delle competenze per i ragazzi dell’ultimo anno delle superiori, che hanno svolto un numero maggiore di lezioni in DAD.

L’Organizzazione segnala che tra i Paesi più a rischio di “collasso educativo” vi è anche l’Afghanistan, dove già prima dell’escalation di violenze, i bambini avevano perso in media il 13% dei giorni di scuola, con le bambine ad essere più penalizzate (22% dei giorni in meno di scuola).

In un quarto dei paesi del mondo, l’educazione di centinaia di milioni di bambini rischia di collassare. Già prima della pandemia 258 milioni di bambini in tutto il mondo, un sesto della popolazione totale in età scolare, non avevano accesso all’istruzione[1] e oggi si stima che 10-16 milioni di bambini rischiano di non tornare mai più a scuola a causa delle conseguenze economiche del Covid-19 perché costretti a lavorare o a contrarre matrimoni precoci. Questo l’allarme lanciato da Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro. Crisi climatica, carenza di vaccini contro il Covid-19, sfollamenti, attacchi alle scuole e mancanza di connessione digitale stanno mettendo a rischio l’accesso all’istruzione. In 48 paesi nel mondo, in particolare, l’educazione è ad altissimo rischio. Un rischio che non risparmia neppure gli studenti in Italia, che dopo un anno e mezzo di DAD, fanno registrare una grave perdita di apprendimento, con una “dispersione implicita” che sale di 2,5 punti nella media nazionale, con importanti disparità territoriali e una drammatica ricaduta sul Mezzogiorno.

Secondo le analisi di Save the Children, contenute anche nel nuovo rapporto “Build Forward Better”, lanciato dall’Organizzazione alla vigilia di un tentativo di ripresa delle lezioni in molti Paesi, e dell’apertura dell’anno scolastico in Italia, sono milioni i bambini ancora impossibilitati ad andare a scuola a causa delle misure di sicurezza per il Covid-19, dell’impatto economico della pandemia e dei continui attacchi all’istruzione. Una condizione che si aggrava nei paesi a basso reddito: i paesi con sistemi educativi a “rischio estremo” – secondo l’indice redatto da Save the Children – sono la Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Somalia, Afghanistan, Sud Sudan, Sudan, Mali e Libia, seguiti da Siria e Yemen in “alto rischio”.

Considerato l’alto numero di bambini che non ha accesso a un’istruzione di buona qualità si prevede che a livello globale, nel 2030, il 20% dei giovani tra 14 e 24 anni e il 30% degli adulti non saranno in grado di leggere. Le bambine e le ragazze sono ancora più penalizzate rispetto ai loro coetanei maschi. Sono, infatti, 9 milioni le bambine che dovrebbero frequentare la scuola primaria ma che probabilmente non vi accederanno mai, rispetto ai 3 milioni di loro coetanei maschi[2]. Inoltre, più della metà dei 720 milioni di studenti delle scuole elementari, circa 382 milioni, hanno un livello d’istruzione molto basso, non vanno a scuola o sono al di sotto del livello minimo di competenza nella lettura[3]. Inoltre, a causa della pandemia di Covid-19 il numero di bambini il cui apprendimento è peggiorato potrebbe effettivamente aumentare di altri 72 milioni.

Il tema del peggioramento dell’apprendimento scolastico non risparmia neanche l’Italia. La percentuale di studenti “in dispersione implicita”, ovvero che non raggiungono livelli sufficienti sia in italiano che in matematica e inglese, alla fine del percorso di istruzione, è aumentata dal 7 al 9,5% su base nazionale[4]. Il divario territoriale resta altissimo: nel Nord solo il 2,6% dei ‘diplomandi’ è risultato in dispersione implicita, al Centro l’8,8% e nel Mezzogiorno il 14,8% (oltre 1 studente su 7). Sono proprio gli studenti più grandi (all’ultimo anno delle superiori) a soffrire di più del calo di competenze, e sono anche quelli che hanno totalizzato il maggior numero di settimane in DAD.

“Sono i bambini più poveri a soffrire maggiormente a causa della chiusura delle scuole per il COVID-19. Purtroppo, però, il COVID-19 è solo uno dei fattori che sta mettendo a rischio l’istruzione e la vita dei bambini di oggi e di domani. Circa la metà dei 75 milioni di bambini la cui istruzione viene interrotta ogni anno lo fa a causa di minacce climatiche e ambientali come cicloni, inondazioni e siccità. Gli eventi legati al clima hanno già contribuito a costringere oltre 50 milioni di bambini a lasciare le loro case, ma non possiamo dimenticare i conflitti, gli odiosi attacchi alle scuole in paesi come Nigeria e Yemen, la situazione in Siria e infine quella dell’Afghanistan dove già prima dell’escalation di violenze, bambini e soprattutto bambine faticavano a poter frequentare la scuola e che ora rischiano di non rivedere più i banchi”, afferma Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia, sottolineando anche la condizione degli studenti nel nostro Paese. “Anche in Italia il rischio per l’educazione è altissimo, soprattutto per le bambine e i bambini che hanno maggiormente subito le conseguenze della crisi socioeconomica causata dal Covid. La scuola deve essere la priorità di questa ripartenza e l’istruzione non può più essere messa in secondo piano: i governi di tutti i Paesi devono mettere in campo tutti gli sforzi possibili per assicurare il ritorno a scuola in sicurezza di tutti i bambini e le bambine. La comunità internazionale deve fornire gli aiuti necessari ad adottare misure adeguate perché a tutti i bambini e le bambine siano garantite eque opportunità di apprendimento e di benessere”.

Le cause di una “Educazione al collasso”

Tra le cause che hanno contribuito ad aggravare un rischio già ingente per l’educazione, troviamo la crisi climatica: eventi meteorologici estremi danneggiano e distruggono le scuole e un numero sempre più alto di bambini deve fuggire dalle proprie case lasciandosi alle spalle la possibilità di andare a scuola.

Nonostante gli obiettivi globali per l’educazione fossero già lontani prima della diffusione della pandemia, la situazione è peggiorata ulteriormente e colpisce in particolare i bambini vittime di disuguaglianze e discriminazioni. Il problema sembra infatti più radicato nei paesi dell’Africa subsahariana, dell’Asia meridionale e nei paesi più fragili e colpiti da conflitti. Dei 63 milioni di bambini che non frequentano la scuola elementare in tutto il mondo, più della metà vive in Africa sub-sahariana, area che ha il triste primato del più alto tasso di bambini che non riescono ad apprendere. Nei paesi a basso reddito, inoltre, stanno aumentando le disuguaglianze in termini di accesso digitale: la metà degli studenti che non ha potuto frequentare la scuola a causa del Covid-19 – circa 826 milioni su un totale di 1,6 miliardi – non possiede un computer in famiglia e il 43% (706 milioni) non ha accesso a internet a casa. In Africa sub-sahariana l’82% degli studenti non ha un computer in famiglia, 82% non ha accesso a internet e 28 milioni vivono in zone senza rete telefonica[5].

Oltre ad aumentare povertà e disuguaglianze all’interno di Paesi e comunità, il Covid-19 ha esacerbato le disuguaglianze a livello globale: stime recenti mostrano che la chiusura delle scuole a causa del Covid-19 potrebbe portare a una riduzione della crescita economica globale equivalente a un tasso annuo dello 0,8%, con perdite maggiori nei paesi a basso e medio reddito rispetto ai paesi ad alto reddito[6]. Una recente ricerca di Save the Children ha infatti rilevato che in media, durante la pandemia, i minori dei paesi più poveri hanno perso il 66% in più di giorni di scuola rispetto ai coetanei che vivono nei paesi più ricchi. Una condizione che peggiora per le bambine e le ragazze che nei paesi più poveri hanno perso, in media, il 22% in più di giorni d’istruzione rispetto a bambini e ragazzi. A tutto questo si aggiungono altri fattori che avranno gravi conseguenze sulla prossima generazione tra cui l’alto tasso di disoccupazione giovanile, la scarsa istruzione primaria e il divario digitale che impedisce l’accesso all’apprendimento a distanza.

Conseguenze che non ricadono solo sull’apprendimento, ma anche sulla condizione psicologica di bambini e bambine: i lunghi periodi di chiusura della scuola hanno avuto gravi conseguenze sulla loro salute mentale. Tra coloro le cui scuole sono state chiuse da una a quattro settimane, il 62% ha riportato un aumento di sentimenti negativi; questa percentuale sale al 96% per coloro la cui scuola è stata chiusa dalle 17 alle 19 settimane[7].

 

L’educazione in Italia alla vigilia del nuovo anno scolastico

Circa un anno e mezzo di scuola a distanza e di chiusure a singhiozzi per la maggior parte degli studenti in Italia ha avuto gravi ripercussioni in particolare sull’apprendimento. Il peggioramento delle competenze ha colpito tutti gli alunni, con particolari differenziazioni a livello di ciclo scolastico e di localizzazione geografica.

“I dati Invalsi certificano che a pagare maggiormente il prezzo della crisi sono stati gli adolescenti, per i quali la didattica a distanza è stata considerata sin da subito un’alternativa efficace. E’ necessario ora porre rimedio e investire risorse, energie e impegno per assicurare a questi studenti tutto il sostegno necessario per la ripresa dell’anno scolastico, non solo in termini di sicurezza degli ambienti, ma anche di concreto sostegno all’apprendimento e supporto per il benessere psicofisico, così seriamente compromesso durante l’ultimo anno e mezzo.”, spiega Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.

La percentuale di studenti “in dispersione implicita”, ovvero di coloro che non raggiungono livelli sufficienti sia in italiano che matematica e inglese alla fine del percorso di istruzione, è aumentata dal 7 al 9,5% su base nazionale[8]. Il divario territoriale resta altissimo: nel Nord solo il 2,6% dei ‘diplomandi’ è risultato in dispersione implicita, al Centro l’8,8%, e nel Mezzogiorno il 14,8% (oltre 1 studente su 7).

Nel Mezzogiorno, quasi un terzo degli studenti, il 31%, abbandona la scuola senza un diploma o finisce il percorso scolastico senza acquisire le competenze di base minime[9].

Se consideriamo l’intera popolazione studentesca al 5° anno delle superiori che ha svolto le prove Invalsi, al livello provinciale, le percentuali di dispersione implicita mostrano differenze abissali – dal 28% di Crotone, il 26% del Sud Sardegna, il 25% di Cosenza e Agrigento all’1,3% di Trento, 1,4% di Aosta e 1,7% di Sondrio – differenze che diventano siderali se si restringe il campo agli studenti svantaggiati dal punto di vista socio-economico.

Tra gli studenti di famiglie con livello socio-economico e culturale più basso, le percentuali di chi non ha raggiunto il livello minimo di competenze sono aumentate: in 15 province del Mezzogiorno, oltre il 50% degli studenti svantaggiati non ha superato il livello minimo in matematica alla fine della scuola media, ma anche in province del Centro come Rieti, Frosinone e Latina la percentuale arriva al 40%. Nei Comuni di Napoli e Palermo la percentuale sale al 60%, un segno tangibile che anche se le scuole sono riuscite a trattenere questi studenti, che hanno partecipato quasi tutti alle prove (a Napoli non le hanno sostenute 7 studenti su 100, a Palermo 4 su 100), 6 mesi lontani dalle aule scolastiche nel 2020 e qualche altra settimana di chiusura nei mesi successivi hanno causato gravi perdite di apprendimento. Anche nei Comuni di Torino, Genova, Roma e Milano questa triste percentuale varia tra il 38 e il 31%, un fallimento di sistema anche in queste città, dove molti ragazzi ai margini, che spesso vivono nelle periferie del disagio, sono stati lasciati soli. D’altro canto, solo il 6-7% dei coetanei nella fascia socio-economica elevata non raggiunge i livelli minimi in matematica in queste città, con un minimo del 4% a Milano: un indicatore molto allarmante di disuguaglianza.

E non sorprende che la concentrazione di studenti svantaggiati nel livello più basso delle competenze numeriche (che non raggiungono le competenze minime per esercitare i diritti di cittadinanza) sia anche molto correlata alla variabilità tra classi misurata da Invalsi, cioè al triste fenomeno della segregazione socio-culturale degli alunni in classi di serie A e di serie B o C all’interno della stessa scuola. Fenomeno che nel Sud è doppio rispetto alla media italiana e 4 volte maggiore che al Nord.

“E’ indispensabile, con l’avvio del nuovo anno scolastico, intervenire in modo deciso per porre un argine al drammatico aumento delle disuguaglianze educative verificatosi con la pandemia. A partire dalla composizione stessa delle classi, dove occorre evitare il riproporsi di ogni forma di segregazione formativa – ai danni degli studenti più svantaggiati – e il sovraffollamento, problema questo particolarmente avvertito nel passaggio alle superiori, quando più forte è il rischio di dispersione scolastica.” dice Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.

Save the Children è impegnata da anni in Italia con programmi di contrasto alla povertà educativa, alla dispersione scolastica e al supporto psicosociale in rete con le scuole e le organizzazioni locali: dall’inizio della pandemia sono stati raggiunti e sostenuti più di 160mila bambine, bambini, adolescenti, le loro famiglie e i docenti su tutto il territorio nazionale. Solo quest’estate sono stati coinvolti 5.351 minori e neomaggiorenni.