Non riuscire a esprimere il proprio “pride”: omosessualità e la scelta di stare in disparte

Proprio nel mese del Pride, momento che accende i riflettori sulla comunità LGBTQ+, utile a manifestare per la vera inclusione, contro i pregiudizi e la violenza, sia fisica che verbale, la psicologa Irene Raffagnini che collabora con TherapyChat condivide riflessioni e strumenti rivolti a coloro i quali non riescono a esprimere il proprio “pride” e che scelgono di isolarsi evitando il confronto con gli altri.  

 

La limitazione volontaria delle relazioni sociali viene riscontrata in numerosi disturbi mentali, come l’ansia sociale o il disturbo evitante di personalità, anche estremo come nel caso degli Hikikomori. Si tratta di conseguenze di una società eccessivamente richiedente, fenomeni comuni per chiunque faccia parte della comunità LGTBQ+ particolarmente esposta al cosiddetto “minority stress”, una condizione di stress che caratterizza gli individui di una minoranza discriminata. Nonostante gli apparenti passi avanti della società per essere più aperta e pronta ad accogliere l’unicità di ogni individuo, ancora oggi persistono tantissime forme di discriminazione e violenza. Il confronto su questi temi delicati richiede uno sforzo mentale notevole delle persone coinvolte, il che può portarle a rifiutare un contatto con l’esterno per evitare sofferenze.

 

ALCUNE CAUSE DELLA “MICCIA IMPLOSIVA”:

  • Il carico allostatico: l’insieme di tutti gli eventi stressanti della vita quotidiana di cui ognuno ha un proprio limite innato. Se questo carico eccede le risorse dell’individuo, ecco che può portare a condizioni disfunzionali e all’allontanamento dagli altri, con lo scopo di evitare la sofferenza e riassestare il proprio equilibrio.
  • Omofobia interiorizzata: quando ”l’altro” è interno a sé stessi. Percezione derivante dall’educazione in una società prevalentemente eteronormativa, che viene riscontrata molto spesso nei servizi di psicologia e terapia online, e richiede un trattamento specifico di accrescimento di autostima e individualizzazione.

 

LA QUOTIDIANITÀ FATICOSA:

Tante sono le situazioni quotidiane in cui la propria identità sessuale può causare imbarazzo e disagio e autoemarginazione:

  • Al lavoro: molto spesso gli scambi e le interazioni con i colleghi implicano la condivisione di informazioni basilari su di sé. L’isolamento sarebbe in questo caso la risposta alla paura del giudizio e della discriminazione sul lavoro.
  • Le amate-odiate feste in famiglia: si tratta di occasioni in cui le domande sulla propria vita relazionale sono molto comuni. L’isolamento rappresenterebbe la soluzione per non scegliere tra il rispondere con sincerità o mentire.
  • Le uscite sociali in coppia: nei ristoranti, negli hotel, con gli amici, per le persone in relazioni LGBTQ+ può risultare faticoso sentirsi continuamente esposti allo sguardo altrui. In questi casi, il coming out è “obbligato” e alcuni preferiscono evitare di porsi in queste situazioni.

 

AZIONI CONCRETE PER MIGLIORARE IL PROPRIO BENESSERE MENTALE (E COSTRUIRE UNA PROPRIA IDENTITÀ, LIBERA DA GIUDIZI E PREGIUDIZI):

 

  • Ascolto: piuttosto che sentirsi estraniati, incastrati nelle proiezioni altrui, è fondamentale riuscire a beneficiare della “protezione del silenzio” per ascoltarsi, costruendo e difendendo ogni giorno la propria identità;
  • Dialogo: è importante aprirsi al dialogo rispettando i propri tempi. La psicoterapia rappresenta uno strumento utile per coloro che faticano ad aprirsi e ad avere contatti con il mondo esterno. Questa permette di migliorare il proprio benessere mentale in un contesto privo di giudizio. Le sedute di terapia online talvolta possono accompagnare i soggetti più chiusi a una graduale apertura.
  • Pride: consolidare la consapevolezza di far parte di una comunità inclusiva come quella LGBTQ+ è decisiva per combattere l’isolamento ed accrescere la fiducia in sé stessi. La visibilità del gruppo a cui si appartiene è, inoltre, strettamente legata alla validazione di sé, del proprio orientamento sessuale e dei propri diritti. Sapere che non si è soli, essere visti per come si è realmente, permette di sentirsi più sicuri nei propri sentimenti coltivando un orgoglio che perdura nel tempo”.

 

Al di là del lavoro del singolo, alla collettività è affidata la responsabilità della creazione di un clima di reale accettazione, privo di discriminazione poiché pone le basi per la fiducia

dell’individuo. Molto spesso i pregiudizi sono radicati nell’inconscio: il riconoscimento dei propri preconcetti e la modulazione delle interazioni sociali in base ad essi sono il primo step verso una visione degli altri e del sé maggiormente inclusiva.