La rinascita di Marcello D’Agata: dipinge il dialogo di Gesù con Pietro e lo dona a una parrocchia

Gv 21, 15-19
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo, per la seconda volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pascola le mie pecore”. Gli disse per la terza volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”, e gli disse: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”. Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: “Seguimi”.

A rivedere la vita di Marcello D’Agata attraverso i suoi quadri si ripete, fortissima, la stessa emozione che qualche anno fa ci aveva improvvisamente e inesplicabilmente preso quando scoprivamo la sua riconversione da uomo d’onore della famiglia di Cosa Nostra catanese a credente in Dio. Detenuto al 41 bis (il regime di carcere duro riservato alla criminalità organizzata) ha rivisitato la sua esistenza. In una intervista concessa a Famiglia cristiana D’Agata raccontò: «Era il 2002, mi trovavo ristretto in regime di 41 bis, quello del carcere duro, quando ricevo da un amico una cartolina con l’immagine del Sacro Cuore di Gesù, la stessa di un dipinto che stava in alto all’altare della chiesa della mia scuola. Da allora, quella cartolina mi ha sempre seguito, nel mio peregrinare di carcere in carcere. Successivamente, durante il Giubileo della Misericordia, papa Francesco ha concesso anche a noi detenuti di attraversare la Porta Santa e ricevere l’indulgenza plenaria e con essa la certezza del perdono. Io ho vissuto quel momento con una grande intensità, avvertendo una grande gioia nel cuore».

Così iniziò a dipingere: la redenzione di un uomo è un cambiamento troppo intimo per tentare di decrittarlo leggendo i rituali della vita di una persona detenuta o quelli mortiferi del suo passato, ma l’arte può aiutare. Due suoi lavori, Annunciazione e Natività, sono diventati francobolli di Natale del Vaticano per le Poste di papa Francesco.

Il loro messaggio sta entro il mistero di tutti i grandi contenuti dell’arte, e l’emozione che procura, al di là di quella memoria di un passato criminale, non può essere spiegata da niente; nasce da quelle trame antiche e lacerate di uomo che ha affrontato i suoi demoni e nessuno può spiegarci il perché, nessun critico potrà mai dirci qual è il punto o la congiunzione o il senso che provoca il dolore per il male commesso.

Oggi raccontiamo un nuovo percorso di rinascita di D’Agata. Pochi giorni fa ha donato a don Paolo Bonato, parroco di PEDEROBBA Santi Pietro e Paolo, tramite le sue figlie, Marzia e Melania, un dipinto a olio su tavola. Il quadro misura 2 metri x 1,50 e raffigura il dialogo di Gesù con Pietro, secondo la narrazione che troviamo nel capitolo 21 del vangelo di Giovanni. L’opera rappresenta la misericordia che Gesù dona a Pietro e dona a tutti noi. E’ chiaro che l’ex uomo di Cosa Nostra ha vissuto con passione e intimo coinvolgimento spirituale la sua storia.

Per rileggere con occhi diversi la vita di D’Agata occorre tornare al brano del Vangelo di Giovanni proposto per la riflessione. Riprendo solo la prima battuta del dialogo fra Gesù e Pietro. A mio giudizio questo inizio rappresenta un po’ il paradigma dell’intera rinascita.

“Simone, figlio di Giovanni, mi ami (“agapas”) più di (quanto fanno) costoro?”.
Gesù lo chiama con il suo nome proprio (ciò è importantissimo per instaurare una relazione profonda e sincera), per aiutarlo a capire il tranello del nemico quando lo aveva disconosciuto. Allora Pietro aveva fatto affidamento in lui solo e non aveva tenuto in conto la parola del Signore. Era troppo sicuro di poter amare il Signore e questa fiducia nel suo proprio amore senza eguali per Lui gli procurò la capitolazione, causata dal pretesto delle domande imbarazzanti poste da coloro che avevano assistito alla scena (cfr. Mt 26, 69-73). Ora il Signore gli fa cogliere la dinamica del rinnegamento, guidandolo passo dopo passo. Lo fa con uno stratagemma che dovrebbe essere il criterio nelle “correzioni fraterne”: mai puntare il dito sul male fatto, quanto sul bene di cui siamo tutti capaci nella misura in cui ci sentiamo amati e capiti.
Alla prima battuta, Pietro non scopre l’intento del Signore. Evita infatti il confronto imprudente con gli altri, fa semplicemente appello alla sua conoscenza interiore di Gesù: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene (phileô)”.
Lungi dal negare la sua professione di tenero affetto, il Signore ne rivela il proprio apprezzamento e la fiducia che egli ha riposto in Pietro. Lui, il Buon Pastore, sul punto di lasciare il mondo, comunica a Simone una prerogativa indicibilmente preziosa e della quale il gregge ha urgente bisogno: “Pasci i miei agnelli”. In fondo, Pietro ha sperimentato il tenero amore del “Pastore bello” (Gv 10, 11) e ora viene rigenerato da un amore più intenso al quale risponde: “Ti voglio bene” (phileô si può tradurre anche “provo un grande affetto”, “amo teneramente”). La risposta di Pietro è un autorevole commento a quanto scrive S. Giovanni nella sua Prima Lettera: “Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato” (1 Gv 5,1). Simone è rigenerato da una nuova ondata di amore incondizionato da parte del Maestro alla quale risponde con generosità.
Così, anche noi amiamo perché Lui ci ha amati per primo; ma non amiamo solamente Lui, ma anche quelli che sono Suoi, non quelli che ci amano naturalmente, ma quelli che Lui ama divinamente. “Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità” (1 Gv 2,4) e “Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello” (1 Gv 4,20-21).
Pietro aveva sempre percepito la fiducia che il Signore riponeva in Lui, anche prima della sua caduta, tanto che Gesù gli aveva affidato l’amministrazione (non il possesso) del regno dei cieli, affidandole le chiavi (non della chiesa, né del cielo ma) del regno.
Qui però, c’è qualcosa di più tenero e più intimo, anche se Pietro non volesse allargare il gregge affidatogli ai non circoncisi. Secondo quanto scrive Paolo in Gal 2,7: “A me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi”, è possibile cogliere la complementarietà fra “le colonne della Chiesa” di cui parlavo all’inizio: Paolo ha evangelizzato soprattutto i pagani, Pietro le “pecore perdute della casa di Israele”. Fin dai primi secoli, la diversità di stile nel confessare l’unico Signore è una ricchezza che favorisce veramente l’unità della e nella Chiesa.
Il mandato che Gesù conferisce a Pietro, all’interno del pasto fraterno dopo la sua risurrezione richiama da vicino Is 40, 11 ove il profeta descrive la dedizione del Messia che pasce il popolo di Dio: “come un pastore fa pascolare il gregge, lo raduna con il suo braccio, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”.
Questo è chiesto a Pietro e questo si impegna a fare il pescatore di Galilea in comunione con il Suo Signore.

A Famiglia cristiana D’Agata svelò:

«Entrare in un’associazione di tipo mafioso è un atto di fedeltà, che si compie attraverso il giuramento e la cosiddetta pungitina. Un po’ come nella Cresima si diventa soldati di Cristo, con il giuramento si diventa soldati del male. Però, la cultura e l’istruzione hanno un ruolo fondamentale e infatti solo l’ignoranza può indurre a credere che bene e male coesistano, mentre sono due forze che si respingono. Quindi, ha fatto bene papa Francesco a dire che è assurdo poter credere che chi vive nell’illegalità possa pregare. Io parlo ovviamente di un contesto di 40 anni fa, ma credo che più generalmente non si possa parlare di autentica fede cristiana da parte della criminalità, bensì di una convinzione alimentata dall’ignoranza: si credeva di essere nel giusto e con troppa facilità si chiedeva perdono a Dio del male commesso».

Spero che tutti capiscano che ogni uomo, anche il più peccatore è importante perché offre, con la sua storia quotidiana, un quadro complementare della sequela di Gesù. <<Verità e giustizia sono sempre collegate, ma un conto è la giustizia degli uomini, un’altra cosa è quella di Dio. Io seguo quella divina e sono già libero>>.