Il #rimprovero ragionevole…

“Quello che ti viene rimproverato coltivalo, perché sei tu.”

#Jean_Cocteau

Chi ha a che fare con le #regole si misura giorno dopo giorno con le infrazioni, consapevoli o meno, dolose o colpose, percepite ed inavvertite.
Ebbene ricorrentemente l’uomo che pratica le #leggi e mastica un lessico esistenziale ben articolato, laddove gli atti conducano a conseguenze valutabili anche secondo coscienza, informa il suo divenire quotidiano quale momento ispirato ed applicativo di prescrizioni e inosservanze.
Tuttavia l’umano infrangere, a volte, equivale a portare un po’ di #conoscenza in più agli altri, a diffondere sapere, laddove il gesto, anche occasionato, squarcia un velo. Così anche lo strappo, seppur nella ventura pregiudizievole, ti consegna un’idea ulteriore sull’accaduto e sull’accadimento. Ti da cioè lo spunto di capire come si sia determinato l’evento, di quali cause abbiano fatto originare l’esito ovvero la tenuta del tessuto ed appurare se sia la trama fragile rispetto al tirare forte e tendere oltre la soglia di #tolleranza.
Ma vi è di più perché ancora ti può suggerire quale rimedio dare all’accaduto, se vi sia possibilità di ricucire, di tornare a indossare quel velo strappato.
È risaputo che nella cultura #giapponese la rottura di un vaso induce a ripararlo, ad offrire a quei cocci un ulteriore vita. E lo si fa assemblando i pezzi come se fosse una tecnica artistica, con l’oro. Questa realizzandosi diviene arte ovvero l’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite e, così, si qualifica il #kintsugi quale delicata lezione simbolica, in cui il difetto riparato funge da tassello che riempie di esperienza il vivente, ossia di spingerlo a nuovi attraversamenti, ad aggiornate soluzioni, a quelle che devono intendersi quali riparazioni dell’anima.
Beh … anche nella vita civile c’è chi vive il rimprovero non come una spinta verso il mistero della ricerca, ma come un ictus che evoca fallimenti definitivi e come fratture insanabili.
Sicchè #chi subisce il rimprovero per non aver esercitato bene il proprio impegno, vale a dire di aver appreso da quella osservazione critica che qualcosa di buono può venire fuori da un’attenzione aggiornata e ben orientata, da una cura appropriata a quella ferita, da una opportuna manutenzione allo scadimento della materia che col tempo si logora.
Questa è la #vita che ti dona l’esperienza, che ti induce ad apprezzare il suggerimento per migliorare e/o riparare ad un #errore, per rendere utile la relazione tra donne e uomini che nello scambio di idee e nel fraseggiare delle sue traduzioni fornisce materia per poter affinare approcci ed interpretazioni.
Ecco che il rimprovero, visto come osservazione critica, aiuta a dispensare opportunità di generare novità, miglioramenti, diversità di pensiero. Chi si chiude nel rimprovero e non evoca le possibilità rassegnate si chiude in trincea, non esce dalla caverna, non abbraccia #Prometeo. Così il confine più che definire l’alterità diviene incomunicabilità, riduce gli spazi di vita e di relazione, diviene chiusura ed impoverisce.
Questo approccio non può e non deve condurre all’indistinto, all’inqualificabile, ad un universo ad una dimensione, ma deve mirare a costruire dall’io un noi, a rendere il singolare occasione di esaltare il plurale. Tutto questo è e si racchiude in un #percorso aperto che si fa rimediando agli errori e che consente di procedere, con slancio creativo, verso nuove mete, ad aggiornamenti risolutivi, a preziose e suggestive visioni.