8 MARZO – Donne più studiose e colte, ma il lavoro rimane una chimera: 130 mila precarie da assumere subito nella scuola

Le donne italiane ottengono risultati più brillanti a Scuola e all’Università, sono più preparate e sviluppano competenze con maggiore facilità. Però il tasso di occupazione e di imprenditoria femminile rimane molto basso. E alla resa dei conti, quando hanno un’occupazione ottengono quasi sempre retribuzioni ridotte e se hanno figli si ritrovano con la carriera compromessa.

 

Lo confermano gli ultimi dati delle sulle performance formative e professionali delle donne, dalla scuola al mondo del lavoro: anche con le recenti Indagini AlmaDiploma e AlmaLaurea, parlano chiaro. L’ultimo rapporto Eurostat sull’insegnamento ci ha detto che sono 5,8 milioni i docenti nelle scuole dei Paesi dell’Ue: le donne sono largamente predominanti in tutti gli Stati, pari complessivamente a 4,2 milioni (il 72%).

Tra i docenti italiani, rispetto alle media Ue, in Italia, dove si rischia di andare in pensione da supplenti dopo avere fatto miriadi di concorsi, la percentuale di donne docenti sale di 10 punti, con punte del 99% nella scuola dell’infanzia e una presenza più equilibrata alle superiori (poco sopra il 60%). Ma la presenza di donne è destinata a crescere, perché tra gli iscritti ai corsi di formazione per abilitarsi nella scuola primaria e dell’infanzia vi sono diversi corsi dove vi è un solo componente di sesso maschile ogni trenta donne.

Marcello Pacifico (Anief): “Immettere in ruolo tutti i precari su posti vacanti, direttamente da graduatoria, considerando anche l’emergenza Coronavirus e il blocco dei concorsi, significa quindi assumere tante donne, almeno 100 mila solo come insegnanti. Poi, ci sono almeno altre 30 mila Ata, come amministrativo, tecnico e collaboratore scolastico. Negli ultimi anni, del resto, l’attesa prima dell’assunzione a tempo indeterminato si è sempre più allungata: basta dire che le nostre docenti con meno di 30 anni sono meno dello 0,5%, mentre in Spagna sfiora il 7%. Poi, vanno in pensione ormai alle soglie dei 70 anni con assegni da fame, mentre fino a non molto tempo fa lasciavano il lavoro a 57 anni senza decurtazioni. Infine, continuano a subire in alto numero violenze sul lavoro: Anief, a questo proposito, torna inoltre a chiedere l’approvazione di una norma che agevoli i trasferimenti delle vittime di abusi all’interno della stessa amministrazione pubblica”.

Le donne hanno un voto medio di laurea più alto (103,7 su 110, rispetto al 101,9 degli uomini) e una migliore riuscita in termini di regolarità negli studi (tra le donne il 48,9% ha concluso gli studi nei tempi previsti rispetto al 46,2% degli uomini). Poi, però sono destinate a una carriera professionale davvero difficile.

LE DIPLOMATE

Il Rapporto 2019 sul Profilo dei Diplomati mostra che il 39,1% delle ragazze alla scuola media inferiore ottiene un voto d’esame superiore o uguale a 9 (percentuale pari al 29,8% tra i ragazzi) e quando arrivano sui banchi delle superiori, che siano quelli di un liceo, un istituto tecnico o un professionale, raggiungono ottimi risultati.

Il 92,3% delle studentesse non fa ripetenze (è l’87,7% per ragazzi) e conclude la scuola secondaria superiore con un voto medio di diploma pari a 78,7 su cento (è 75,2 per i ragazzi). Sono impegnate in attività di carattere sociale: il 17,5% delle ragazze svolge attività di volontariato rispetto al 13,2% dei ragazzi.

Nel tempo libero, le donne intraprendono attività culturali e non perché devono ma perché lo vogliono: le svolge il 60,6% delle ragazze, in larga parte su iniziativa personale, rispetto al 48,3% dei ragazzi.

Sono interessate a proseguire gli studi soprattutto all’università: 79,6% delle diplomate rispetto al 64,6% dei diplomati. In tale scelta sono spinte da motivazioni differenti: in particolare poter svolgere, grazie alla laurea, l’attività professionale di proprio interesse (70,2% delle studentesse rispetto al 61,8% degli studenti) e approfondire i propri interessi culturali (57,2% rispetto al 49,1% degli studenti).

LE LAUREATE

Il Rapporto 2019 sul Profilo dei laureati mostra che tra i laureati del 2018, dove è nettamente più elevata la presenza della componente femminile (58,7%), la percentuale delle donne che si laureano in corso è pari al 55,5% (è 50,9% per gli uomini) con un voto medio di laurea uguale a 103,7 su 110 (è 101,9 per gli uomini); occorre sottolineare che ciò è frutto anche dei diversi percorsi formativi intrapresi.

Le donne si iscrivono all’università spinte da forti motivazioni culturali (32,2% rispetto al 28,2% degli uomini) e hanno svolto un buon numero di tirocini e stage riconosciuti dal proprio corso di laurea, il 62,8% delle donne rispetto al 54,2% degli uomini.

Una donna laureata, inoltre, proviene in misura maggiore da contesti familiari meno favoriti sia dal punto di vista culturale sia socio-economico. Così il 27,3% delle donne ha almeno un genitore laureato rispetto al 33,6% degli uomini. Un differenziale che permane considerando anche la classe sociale: il 20,9% delle donne proviene da una famiglia di estrazione economica elevata rispetto al 24,6% degli uomini.

L’OCCUPAZIONE

Inoltre, sempre AlmaLaurea ha evidenziato che tra i laureati magistrali biennali, a cinque anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere si confermano significative e pari a 6,0 punti percentuali in termini occupazionali: il tasso di occupazione è pari all’83,0% per le donne e all’89,0% per gli uomini. Sempre a 60 mesi dal conseguimento del titolo i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato sono una prerogativa tutta maschile: riguardano il 63,0% degli uomini e il 52,6% delle donne.

Questi dati diventano ancora più evidenti quando si sommano a quelli Istat sulla condizione della donna nel mercato del lavoro: le lavoratrici italiane guadagnano in media meno del 72% del salario degli uomini. Secondo recenti indicazioni dell’Ocse, l’adozione di adeguati livelli di flessibilità e di servizi di welfare (asili nido aziendali e servizi sociali di assistenza, ricreativi e di sostegno) riguarda appena il 66% dei datori di lavoro italiani, posizionando l’Italia di 2 punti percentuali al di sotto della media mondiale, con oltre 15 punti di scarto rispetto ai paesi scandinavi”.

Per il Cnel, quindi, la difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro porta il 48,5% della quota dell’occupazione femminile italiana (tra i 15 e i 64 anni), ben al di sotto della media UE del 60,4%: una sperequazione che risulta ancor più evidente se si considera che sono le lavoratrici-madre a caratterizzare per il 54,3% la disoccupazione femminile e che la quota di donne madri indotte ad abbandonato il lavoro per prendersi cura dei figli è pari al 27%, di gran lunga superiore alla quota degli uomini nella stessa condizione, pari allo 0,5%. Il Cnel, quindi, conclude che occorre introdurre l’adozione di un Piano d’azione di contrasto al Gender Gap, globale e integrato, dotato di adeguate risorse finalizzato all’inclusione e alla creazione di lavoro attraverso investimenti pubblici. Allo stesso modo, occorre modificare gli stereotipi culturali che relegano la donna alla cura familiare. Ed anche per quanto riguarda i percorsi formativi e scolastici, urgono politiche di orientamento diffuse che mirino a superare scelte formative “segreganti”.

Sempre per il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, per favorire l’inclusione lavorativa delle donne, servono forme di sgravio fiscale e incentivi di carattere strutturale a sostegno del loro ingresso nel mercato del lavoro. Allo stesso modo, urge adottare un sistema moderno di servizi per la famiglia, da intendere però non solo come risposta alle donne, ma come elemento centrale del nostro modello di benessere sociale e di crescita economica. Infine, il Governo è chiamato a produrre agevolazioni ai servizi di cura e di assistenza, a livello pubblico e privato, affinché i costi di un nuovo welfare familiare non siano posti solo a carico delle imprese lavorative.