SEPARAZIONE CON ADDEBITO ALLA MOGLIE ‘FREDDINA’

Non ci sta la Cassazione a chiudere un occhio, nell’individuazione del ‘colpevole’ della fine del matrimonio, nel caso in cui la rottura avviene perchè uno dei due non vuole più avere rapporti sessuali. I supremi giudici, infatti, hanno confermato che in simili situazioni di ‘sedatio concupiscentiae’, quando il partner viene addirittura fatto dormire in un’altra stanza per sfuggirne le avances, scatta la separazione con addebito sulle spalle di chi attua la strategia della ‘repulsione’. Quindi, quando il coniuge non ricambia le profferte del partner, il menage matrimoniale non si conclude ‘pari e patta’ con una pronuncia di separazione senza determinazione delle colpe, ma – afferma la Suprema Corte – ci sono tutti gli elementi di accusa per acclarare la specifica responsabilità individuale nel fallimento della coppia. Il caso affrontato dai supremi giudici è quello di una coppia fiorentina – Monica e Lapo – implosa dopo sette anni di vita ascetica imposti dalla moglie che, dopo la nascita della prima e unica figlia, aveva preso a rifiutare il marito. Il Tribunale di Firenze, nel 2005, aveva pronunciato la separazione senza addebito, affidando la bambina alla madre alla quale assegnava anche la casa coniugale e un assegno di 230 euro per il mantenimento della piccola. In appello, invece, il marito aveva ottenuto la pronuncia di addebito facendo presente che Monica ‘per ben sette anni, dalla nascita della bambina, aveva rifiutato qualsiasi rapporto sessuale, e nell’ultimo anno lui si era dovuto rassegnare a dormire in una stanzetta separata dal talamo coniugale’. Inoltre ‘negli ultimi due anni la moglie aveva del tutto trascurato la conduzione e la pulizia della casa riducendola in condizioni invivibili’. Nel confermare la ‘colpa’ dell’insensibile Monica, la Cassazione lascia perdere la faccenda della casa trascurata ma non transige sul resto. ‘Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge, poiche’, provocando frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner, configura e integra – affermano i supremi giudici – violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca la comunione coniugale’. Un comportamento del genere – prosegue l’alta Corte nella sentenza 19112 – non può ‘in alcun modo essere giustificato’ e ‘legittima pienamente l’addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l’esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato’.