Non si può lottare con la lobby delle federazioni

Giovanni Malagò, c’è una legge. Enrico Cataldi c’è una lobby. Che vi sia qualcosa è certissimo. Ma questo non è il peggio. Si possono fare dei brutti pensieri anche restando in casa, navigando però sul web. Basta andare sul motore di ricerca e inserire la parola giustizia sportiva ed ecco che spuntano tanti e tali dichiarazioni, avvenimenti, scandali che per forza di cose si arriva ai cattivi pensieri.

 

Dei pensieri deformi, approssimativi, a volte veramente sinistri. A differenza delle persone, che si possono tenere a bada, i pensieri si infiltrano dappertutto, anche fra le pareti di una palestra o nello spogliatoio di un campo di calcio o… di una stanza della Procura sportiva. E così ci s’interroga?

Riavvolgiamo il nastro il 30 Maggio 2014 il Presidente Malagò dichiarava: “E’ un momento epocale. Oggi il CONI fa uno sforzo culturale significativo, spogliandosi di alcuni poteri nell’ultimo grado. Avevo promesso tempi certi, qualcuno aveva detto che sarebbe stato impossibile ma in vita mia non ho mai disatteso un impegno e siamo andati a dama”. Il nuovo sistema della giustizia sportiva doveva garantire tempi certi, abbreviati e uniformi: 90 giorni in 1° grado, 60 giorni in 2° grado per la pronuncia della decisione e due gradi di giudizio applicati a tutte le Federazioni.

Il Collegio di Garanzia, terzo grado di giudizio, opererà come la Cassazione, mentre la Procura Generale, considerando anche l’introduzione della diffida da parte del Procuratore Generale – che offrirà la possibilità a quello federale di compiere gli atti necessari prima di avocare il fascicolo – utilizzerà il proprio potere solo in via residuale. Ma sembra che invece di fare dama la giustizia sportiva abbia ricevuto … scacco matto.

Ma può chi ha passato la vita a lottare cercando di fare giustizia e seguendo casi difficilissimi andarsene sbattendo la porta perché all’interno del Coni c’è una lobby potente contraria al progetto di riforma della giustizia sportiva voluta da Malagò? E no Generale! Lei, che ha dedicato la propria vita al servizio dell’Arma dei Carabinieri, distinguendosi per la sua ferma e altamente professionale lotta al terrorismo, non può sbattere la porta in questo modo. Perché dà l’impressione che alcuni uomini delle istituzioni facciano la voce grossa non indovinando mai i tempi.

Epperò anche il bluff, in tempi di gioco d’azzardo, può essere un’arte o una via d’uscita. Ecco perché il nostro generale, da uomo saggio, specchiato e “tutto d’un pezzo”, prima di consegnare le proprie “IRREVOCABILI” dimissioni nella mani di Malagò, aveva l’obbligo, morale, di non lasciarci con il dubbio che i presidenti di federazioni e enti di promozione sportiva, oltre a nominare i giudici e i procuratori, li “tengono al guinzaglio”.

Se questo fosse vero (spero di no), il passo successivo sarebbe quello di accettare che da noi, i “giudici” indipendenti non hanno una patria. E allora provocatoriamente generale Cataldi le chiedo: perchè non gliela diamo?

E subito dopo le domando: come può essere che il Presidente Malagò, che l’aveva scelta, quattro anni orsono, per impegnarsi nell’arduo compito di restituire credibilità alla giustizia sportiva, vittima molto spesso degli orientamenti dei giudici nominati nelle varie Federazioni dalla dirigenza delle Federazioni medesime, non si sia accorto che c’è la legge che miete vittime tra i suoi amici e abbia aspettato le dimissioni irrevocabili anziché revocargli l’incarico?

Dunque, dando per vero quel che dice il generale (all’interno del Coni c’è una lobby potente contraria al progetto Malagò) mettiamo nel cassetto dei ricordi, etica, trasparenza, lotta al malcostume e alle frodi. Torniamo tutti con i piedi per terra e diciamo basta ai propositi rivoluzionari. Basta con le nostre cause: politiche, economiche, sociali.

Lo sport, ci dice il generale, è purtroppo altro. In altre circostanze, ricorrendo le stesse cause, non si hanno gli stessi effetti: non scoppia nessuna rivoluzione, non cade, non solo nessun “impero”, né un presidente, ma neppure la testa di un dirigente.

Allora, per consolarci, abbiamo rovesciato i termini, inventando il rapporto effetto-causa. C’è un fatto, un “effetto” da qualche parte? Allora dietro ci deve essere una causa. Una causa sociale, naturalmente. Anzi, una nobile causa. Tenere lo sport sotto controllo: dai campionati alle promozioni degli uomini.

Questo nuovo corso della giustizia è riuscito a invertire il cardine del nostro ordinamento giuridico sancendo il “principio di colpevolezza” infatti siamo tutti colpevoli di farci gestire da una Lobby. C’è qualcosa che noi comuni sportivi non comprendiamo in questo gioco di lobby ma abbiamo compreso che la giustizia sportiva era e rimane in un black hole dove si perde sempre la “VERITÀ”.

 

Ciuff…tino