La riflessione: Giornali, giornalisti, sport, etica

Il giornale sportivo, da lungo tempo, di sportivo ha un surrogato. Sempre meno. Come il quotidiano generalista, indossa panni sempre più politici e convenienti. Salva il salvabile…

 

di Diego Costa

Ogni tanto mi definiscono giornalista sportivo. Una volta, la denominazione non mi infastidiva. Ora invece si. Mi sono chiesto il perché. E ce ne sono mille, e tutte valide, di ragioni. Il tutto riconducibile a un concetto: l’accezione più “moderna” del termine, invece di esaltarne i contenuti etici, i valori, li ha sviliti.

 

Il giornale sportivo, da lungo tempo, di sportivo ha un surrogato. Sempre meno. Come il quotidiano generalista, indossa panni sempre più politici e convenienti. Salva il salvabile.
Mi sarebbe piaciuto essere definito così quando la Gazzetta Rosa dedicava una pagina intera alla Coppa Scarioni. Quando l’impresa non calcistica (e non in tempi di olimpiade) veniva premiata con il titolo di apertura. Oggi fa spazio al titolo a effetto, i direttori – spiace dirlo – sono paraculi.

Responsabili, certo, perché l’imbarbarimento è collettivo, social direi, e ci sono bocche da sfamare. Vorrei che la definizione di giornalista sportivo, in somma, riportasse attenzione su quello che conta di più, nello sport, togliendola una volta per tutte dal palcoscenico della dilagante volgarità di toni e di temi, dai protagonisti ineducati, prepotenti, che reclamizzano senza alcuna onestà intellettuale la sola, unica, loro forza: quella del denaro. Rimango dell’idea che ci si possa comperare tutto, per carità. Tutto, tranne la signorilità, la nobiltà dell’animo.