Due partite, lo stesso insulto: Kouadio e il silenzio che fa rumore

È il 7 settembre 2025. Durante una partita di Eccellenza tra Accademia Borgomanero e Borgosesia, Jean Enrico Kouadio, fantasista dell’Accademia Borgomanero originario della Costa d’Avorio ha appena subito fallo sotto la tribuna dei tifosi ospiti, nasce un alterco con un avversario. Poi gli insulti: “Scimmia” ripetuto almeno quattro volte dagli spalti.

Il giocatore si blocca, l’arbitro si avvicina, ma lo invita solo a non reagire: “Così abbiamo ripreso la partita, a giocare come se nulla fosse successo”, ha raccontato Kouadio in un’intervista rilasciata pochi giorni dopo a La Stampa. Il match prosegue. Nessuna sospensione, nessuna presa di posizione collettiva. Solo negli spogliatoi, il giocatore, il direttore sportivo e il presidente dell’Accademia Borgomanero chiedono all’arbitro di mettere a referto quanto accaduto. La società analizza le immagini, isola l’audio, lo invia alla Federazione. Il giudice sportivo sanziona il Borgosesia con 350 euro di multa e una gara a porte chiuse.

Kouadio, classe 2000, milita da tre stagioni a Borgomanero. Dopo il primo episodio ha raccontato di aver vissuto l’episodio con un misto di sconcerto e impotenza: “Non ho realizzato immediatamente, anche se mi sono offeso. Dopo, però, ho sentito il rammarico per non aver fatto qualcosa di più”. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili di Milan, Pro Patria e Como, non è nuovo a episodi di razzismo: “Sul campo, anche da ragazzo, mi è capitato di ricevere insulti razzisti, ma così diretti dal pubblico no”.
Il 17 settembre, dieci giorni dopo, le squadre si ritrovano a Borgosesia per la partita di Coppa Italia. La scena si ripete. Dopo un rigore sbagliato da Kouadio, ancora insulti razzisti dagli spalti. Ancora indirizzati a lui. Anche in questo caso la partita non verrà sospesa, ma il giudice sportivo scriverà di “inqualificabile comportamento dei sostenitori della società Borgosesia”. La sanzione raddoppia: 600 euro e nuova squalifica del campo.

Due partite, due episodi. Stesso giocatore, stesso insulto. Ma anche stessa reazione collettiva: contenere, non interrompere, denunciare dopo. Gli chiedono se avrebbe voluto fermare il gioco. Lui risponde: “Col senno di poi forse avrei dovuto fare qualcosa di più significativo, come chiedere di fermarci, perché non credo sia giusto che certe cose passino come se non fossero successe“. Ma aggiunge anche un punto centrale, che riguarda molti altri: “Io vado in campo per giocare e non sono preparato a reagire a una situazione del genere, quindi non posso essere pronto a una reazione che magari possa assumere un valore più alto”. È una riflessione che pesa, perché dice qualcosa dell’isolamento che si può vivere in campo, ma anche della mancanza di strumenti per affrontare la discriminazione in tempo reale. “Mi sono sentito umiliato, e non è giusto”, ha concluso.

Il progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione, promosso da Uisp in collaborazione con UNAR e Lega Serie A, con il sostegno della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per lo Sport, nasce per rispondere proprio a questo bisogno: fornire strumenti, cultura e consapevolezza a chi vive, osserva o subisce discriminazioni nello sport.
In 17 città italiane, SIC! ha attivato presìdi territoriali, organizzato eventi sportivi inclusivi, promosso campagne nazionali e percorsi di formazione per operatori e dirigenti. Lo scorso 25 settembre, a San Benedetto del Tronto, si è svolta una tavola rotonda nazionale che ha posto al centro proprio il tema del contrasto a razzismo e sessismo nello sport. Un’occasione di confronto tra istituzioni, esperti e sportivi per affrontare anche i casi meno visibili, costruendo una cultura della responsabilità e della reazione collettiva.

A confermare la necessità di queste azioni sono i dati emersi dalla ricerca “Chi può giocare? Discriminazioni e resistenze nei campi sportivi italiani” realizzata nell’ambito del progetto dal sociologo Davide Valeri. Il rapporto, basato su interviste e analisi quantitative, rivela che oltre il 93% delle discriminazioni nello sport monitorate dall’Osservatorio Nazionale UNAR-Uisp-Lunaria tra il 2021 e il 2022 hanno un movente etnico-razziale. Il calcio è la disciplina più coinvolta, ma non l’unica. Il fenomeno è diffuso anche nei campionati giovanili e amatoriali, dove spesso mancano strumenti di tutela o figure in grado di raccogliere le segnalazioni.
È in questo scenario che prende forma la figura del Responsabile Safeguarding, resa obbligatoria dal 2024 in tutte le organizzazioni sportive. Una figura pensata per garantire ascolto e intervento anche a distanza di tempo, senza che la denuncia debba essere immediata o pubblica. Una delle molte buone pratiche che SIC! contribuisce a far conoscere e attivare nei territori.
Ogni campo da gioco può essere un luogo di rispetto, ma servono scelte. Arbitri che fermano il gioco, squadre che si espongono, dirigenti che non restano in silenzio, tifosi che si dissociano con forza. Perché l’antirazzismo, nello sport, non è una dichiarazione. È una pratica quotidiana. Ed è il minimo sindacale.

 

(Lorenzo Boffa)