La goduria del cattivo … in tv

di ANDREA FILLORAMO

Dopo i vari casi di omicidi commessi in Italia e la cattura dei presunti assassini, nell’opinione pubblica vi è grande sconcerto e incredulità per l’estrema aggressività dimostrata e avvalorata dalle tesi degli inquirenti che indagano sui casi in questione. Di tale sconcerto si sono impadroniti tutti i canali televisivi pubblici e privati. Questi offrono dei “prodotti”, fatti di immagini, infinite e reiterati discussioni che rasentano l’induzione al voyeurismo, sempre con le stesse “comparse” cioè con uomini e donne di spettacolo, ritenuti eccellenti tecnici del crimine, imbastiscono processi mediatici, servendosi spesso anche di notizie, che, in barba al segreto istruttorio, dicono che provengano dalle Procure della Repubblica. Il criminologo Francesco Bruno fa alcune considerazioni sull’interesse dimostrato dagli spettatori sui “serial killer”, estendibili, a mio parere, anche sull’assassino di un unico delitto, che può diventare anche serial killer. Egli così scrive: “Il grande interesse per i serial killer c’è perché, di fronte a loro, noi abbiamo la sensazione che la più pura espressione del male si stia palesando. Il male privo di qualsiasi giustificazione. Qualsiasi motivazione appare, in un certo senso, liberatoria. In più, a sollecitare l’interesse, c’è l’innocenza della vittima, che, di solito, è debole e indifesa. In quell’innocenza ci s’identifica tutti. Una scena dove il male sta tutto da una parte e il bene dall’altra, insieme al terrore, beh non è cosa trascurabile. Quando un caso di questo tipo occupa lo schermo della televisione o le pagine della stampa, in una prima fase, le reazioni emotive, la compassione, i sentimenti di solidarietà sono tutti in favore della vittima. Nel momento in cui, dopo un po’, il colpevole compare dinanzi ad un tribunale, incomincia a verificarsi un viraggio e l’interesse emozionale della gente muta di oggetto: lo sdegno diviene meno violento, l’imputato viene posto sotto le luci della ribalta; è lui a diventare il primo attore. La figura della vittima perde rilievo e il nucleo dell’attenzione pubblica si va concentrando sull’imputato: la sua storia di vita, la sua personalità, i suoi problemi sono quello che ora maggiormente interessa. Allorché il colpevole, una volta condannato, sarà posto in carcere, si verifica un ulteriore viraggio: è passato del tempo ed egli, per l’opinione pubblica non è più tanto il reo che sta espiando il male che ha fatto, quanto un uomo che sta soffrendo la pena”. E’ ovvio che gli spettatori cercano di comprendere quali siano i motivi che scattano nella mente dell’assassino, ma pochi di loro si chiedono se l’eccessivo risalto mediatico dato a questi fatti di cronaca nera possano generare emulazione in alcuni soggetti psicolabili. Il discorso – lo sappiamo – è molto complesso. Affermiamo, senza rischio di essere smentiti, che l’influenza dei mass media sul crimine può sicuramente provocare in alcuni soggetti una sorta di identificazione su alcuni personaggi, che vengono presi, consciamente o inconsciamente, come modelli. Non serve, oggi, una vera patologia conclamata per emulare, è sufficiente la fragilità e una serie di eventi che scatenino l’acting-out. Riconosciamo che, dato che la società in cui viviamo, ha perso gran parte del mondo delle relazioni e dell’affettività… tutti, sul piano psichico, siamo fragili, anche se, indossando talvolta o spesso la maschera pirandelliana, facciamo pensare agli altri che siamo forti e, pertanto, facilmente ci possiamo comportare in modo inadeguato. Nessuno si meravigli, quindi, se affermiamo che l’emulazione fa parte del percorso di apprendimento di ciascuno di noi e non è una devianza. C’è oggi un progressivo degrado dei media. Fino a qualche decennio fa i crimini erano riportati in una sola pagina interna dei giornali, quella della "cronaca nera", con descrizioni sintetiche e prive dei dettagli più truci, e lo stesso stile era nei telegiornali. Poi la descrizione dei delitti è sempre più cresciuta, è approdata alle prime pagine, alle notizie di testa dei telegiornali, è sempre più diventata spettacolo, modo di alzare lo share, e i particolari più macabri o morbosi vengono esposti il più ampliamente possibile. Sembra che facciano notizia ma possono creare emulazione. Ogni rappresentazione televisiva, sia quando è una mera finzione, sia quando fa riferimento alla storia vera, può indurre un soggetto non evoluto sul piano etico e sociale e non aperto alla diversità, all’emulazione. Un’altra considerazione: stando a quanto emerso da recenti ricerche, sembra che quando uno spettatore segue in televisione il “racconto” di qualcosa che provoca in lui delle emozioni forti, si registrerebbero sintomi simili a quelli presenti in un soggetto che assume una sostanza che crea dipendenza,che può anche incidere in un eventuale processo emulativo. Sono sufficienti, a mio parere, queste limitate osservazioni per ritenere responsabili le “televisioni”, sia quella di servizio pubblico (ad iniziare da Porta a Porta), sia quelle private, (a iniziare da Canale 5), dei danni arrecati a tanti “psicolabili”, che quotidianamente seguono le loro trasmissioni sui recenti “delitti”, sugli assassini e quasi mai si soffermano sulle loro “ vittime”. Per fare ciò, bisognerebbe sconvolgere e sappiamo che ciò non dipende da noi, la legge del mercato, in cui non c’è nè etica nè pietà. “Creano emulazione ma quando questa si verifica sono tanto sorpresi… e ci costruiscono un’altra notizia da gettare sul mucchio”. Quanti atti “belli” quotidiani ci sono che vengono ignorati, mentre potrebbero creare un’emulazione di cui il mondo oggi ha un bisogno!