UNA FEMMINISTA PRO-LIFE SMASCHERA IL FEMMINISMIO RADICALE

Sembra una contraddizione in termini, ma Fiorella Nash si definisce una “femminista pro-life”. In un battagliero e vivace libro, “L’abolizione della donna. Come il femminismo radicale tradisce le donne”, pubblicato da D’Ettoris Editori (Crotone, 2021), la ricercatrice e scrittrice inglese della Society for the Protection of Unbom Children di Londra, ci offre un vero e proprio manifesto delle donne Pro-life.

Il testo di 233 pagine diviso in nove capitoli, densi di documenti e di citazioni di libri e perlopiù di pagine web.

Certamente il testo poteva essere donato per la Giornata della Donna, a ogni donna e perché no anche agli uomini. Un libro a favore delle donne e dei bambini che devono venire al mondo, quello pubblicato dalla casa editrice D’Ettoris.

Il libro della Nash svela gli orrori intorno alla pratica abortiva, che denuncia i sofismi dell’ideologia abortista, non per questo intende, almeno credo, colpevolizzare le donne che molto spesso subiscono inconsapevolmente l’aborto. Un libro che smaschera gli apologeti dell’aborto, in particolare, la scrittrice inglese, denuncia il voler impedire alle donne di ricevere informazioni complete, corrette sulle pratiche abortive.

Apologeti dell’aborto che non digeriscono per niente le ecografie delle donne in gravidanza, perché svelano la verità sull’aborto, cioè la soppressione di una vita umana. Inoltre, la scrittrice inglese, denuncia il fatto che un certo sedicente femminismo, solerte sempre a scendere in piazza per i cosiddetti “diritti civili”, si dimentica, non vede, l’oppressione del governo cinese delle donne, forzatamente sterilizzati, obbligati all’aborto forzato di migliaia di bambine uccise ogni anno prima di nascere semplicemente per il fatto di essere in futuro donne. Femminismo che non riesce a indignarsi anche per le tante coppie ricche occidentali che affittano gli uteri di madri surrogate dei Paesi poveri.

Il libro interroga anche il movimento pro-life, richiamandolo a un approccio più sensibile e realistico alle gravidanze problematiche, e a una maggiore attenzione allo sfruttamento e all’abuso delle donne all’interno di una società sessualizzata.

Il testo è stato curato da Maurizio Brunetti e tradotto per l’edizione italiana da Emanuela Bringheli.

Già dall’introduzione la Nash accennando alla sua vita, evidenzia la sua femminilità che certamente non è bigotta, ma di donna disinvolta ferma ai valori della Tradizione, ma che guarda e sottolinea le conquiste delle donne nella Storia. Non per questo si sente di accettare certo femminismo radicale che per essere “vere” donne invita ad una sessualità attiva, meglio se nubili, contro la religione, la maternità, i maschi, essere favorevoli all’aborto e alla contraccezione. Pertanto, per questo femminismo, “ogni donna che rivendicasse il diritto di esprimere un diverso modo di essere andava considerata una deviata autolesionista, un’anti-femminista che andava messa alla gogna affinché tornasse nei ranghi o, più semplicemente, fatta tacere”.

Tuttavia, la Nash è convinta che nonostante tutto, le donne hanno da combattere ancora tante battaglie, senza però ancorarsi alle battaglie del passato, che non sono più idonei, perché ossessionati dal vittimismo. La Nash senza paura si schiera contro i due estremismi del femminismo, battersi per l’uguaglianza, e nello stesso tempo schierarsi per la vita e quindi liberarsi dal dogma dell’aborto, considerato il totem dell’essere vera femminista. Nash si distacca dai contestatari di certo femminismo, ormai parte dell’establishment.  “Il mio è un libro di contestazione, proprio in questo senso. La mia speranza, comunque, è che un libro nel quale si analizzano i principi e le pratiche intrinsecamente misogine soggiacenti all’aborto, di fronte alle quali il femminismo contemporaneo è deliberatamente divenuto cieco, possa far cambiare idea alle donne che hanno sempre considerato i termini pro-life e ‘femminista’ come diametralmente opposti.

La Nash raccomanda di leggere il libro con un approccio pro-life e nello stesso tempo anche femminista, di fronte a tutti i maggiori problemi riguardanti l’inizio-vita, l’aborto, la maternità surrogata, la fecondazione in vitro, la salute delle madri nei Paesi in via di sviluppo.

Il libro, si prefigge di “svelare come le femministe contemporanee abbiano silenziato con premeditazione nei loro ranghi la dissidenza sulla tematica dell’aborto e demonizzato ed emarginato chi si dice pro-life”. La Nash insiste, il femminismo radicale ha “lasciato che l’aborto fosse utilizzato come arma contro le donne, tramite programmi statali di controllo della popolazione, aborti selettivi per sesso e il rifiuto di fornire informazioni esaustive sull’aborto”.

Sostanzialmente per la Nash, in nome della liberazione della donna, e del controllo del proprio corpo, hanno feticizzato l’aborto, facendolo diventare un dogma, così tutte le donne dovessero levare la voce in sua unanime difesa. In questo modo, per la scrittrice inglese, “hanno creato una nuova forma di patriarcato che mette le donne contro i propri figli e donne contro altre donne”.

Il libro della Nash punta a trasformare “il femminismo pro-life in uno strumento decisivo nella battaglia per la difesa delle vite umane più giovani e più vulnerabili”. L’alternativa a questo è l’abolizione della donna.

Nel I° capitolo (Il nuovo patriarcato e i suoi dissenzienti”) Nash affronta come la vita umana viene sacrificata attraverso l’aborto, uccidendo un essere umano che ormai si può vedere con l’avvento dell’ecografia e della chirurgia prenatale intrauterina, dove ci sono prove sempre più numerose che il nascituro percepisce e reagisce al contatto, al suono, alla luce e al dolore. Nonostante tutto questo, ancora oggi, c’è chi nega l’umanità dei nascituri. Infatti, la Nash afferma che la negazione è sempre stata un meccanismo di difesa indispensabile per i sostenitori dell’aborto: invece di avere il coraggio di affrontare di petto le realtà scientifiche, molti di loro si nascondono dietro un linguaggio sempre più macchinoso e fuorviante per celare la verità di ciò che l’aborto comporta”. Ecco perchè i sostenitori dell’aborto per descrivere il nascituro usano espressioni fantasiose del tipo, “prodotto del concepimento”, “contenuto dell’utero”, “tessuto della gravidanza”, “tessuto fetale”, arrivando persino a definirlo come “parassita”, “sequestratore”, “invasore”. Praticamente si tratta di un linguaggio disumanizzante, che ha potuto permettere tranquillamente a quell’industria dell’aborto (la Planned Parenthood), gli scambi degli organi fetali, con tanto di valore monetario per ciascun organo come il fegato o bulbi oculari di bambini non nati. Per la Nash, “la necessità di negare l’oggettiva umanità del nascituro può tradursi in bizzarre sospensioni del pensiero razionale […]”.

Si tratta di un giogo di parole, che ha il disperato tentativo di autoconvincersi (perlomeno convincere le donne) che l’aborto sia solo una procedura sanitaria. Un accomodare la verità senza mai ammetterlo. Pertanto, il prodotto dell’aborto non ha bisogno di nessun “rispetto”.

E qui la Nash entra nel dibattito quando nasce una vita umana, sulla questione del rispetto di ogni vita umana, del nascituro, della madre, dell’anziano, etc.

A proposito di linguaggio Nash affronta come si sono costruiti certi slogan di propaganda intorno alla questione dell’aborto. Quello più frequente “il diritto di scelta della donna”. Il diritto di scegliere cosa? Il mio diritto di decidere cosa? Se vogliamo che le donne siano innanzitutto libere intellettualmente dobbiamo liberarci di decenni di propaganda indottrinante che deriva da quello slogan. Occorre soprattutto mettere in discussione per la Nash, “l’irremovibile fedeltà del femminismo contemporaneo all’aborto”.

In tutta questa faccenda la Nash intravede una certa colonizzazione dell’intelletto, giusto come spiega Papa Francesco. Purtroppo, le donne che rifiutano di accettare l’ideologia abortista, subiscono palesi intimidazioni, vengono vilipese o trattate come mentecatte, nel nome della loro stessa liberazione. Chi si oppone all’aborto ha urgente bisogno di essere illuminata e peraltro secondo il movimento femminista radicale chi non ha una visione ideologica femminista non è una vera donna. Le donne che dissentono dal racconto mainstream meritano di essere messe alla gogna e scomunicate. Addirittura, il The Gardian è arrivato a scrivere: “Se arrivi alla fine della vita senza aver abortito almeno una volta, o sei un uomo oppure non l’hai fatto abbastanza spesso!”. Sostanzialmente chi non abortisce è una donna sessualmente fallimentare.

Intanto le donne che si pentono dell’aborto, sono trattate come squilibrate. Invece di avere il coraggio e l’onestà di ascoltare le loro recriminazioni negative sull’aborto, si fa ogni sforzo per screditarle, affette da malattia mentale pregressa, o peggio come narcisiste in ricerca di visibilità. Per la Nash queste femministe che cercano di mettere in croce chi si è pentita dell’aborto, usano la stessa tattica degli abusatori di donne, che tendono a far vergognare le proprie vittime.

Nash parla di vero e proprio dispotismo del femminismo radicale nel mettere a tacere chi dissente dal racconto politicamente corretto sull’aborto.

Nel II capitolo (“Aborto, misoginia e il chiudere un occhio”) si mette in luce tutti i passaggi mistificatori dei propugnatori dell’aborto, come difensori dei diritti delle donne. La grossa mistificazione riguarda i numeri degli aborti illegali, e poi c’è quella che l’aborto rappresenti l’unica soluzione praticabile dinanzi ad una gravidanza non desiderata.

La scrittrice inglese mette in risalto la sistematica falsificazione delle atrocità riguardo agli aborti. Interessante l’episodio riportato sulla cosiddetta clinica degli orrori di Kermit Gosnell negli Stati Uniti. Vi risparmio i particolari descritti dalla ricercatrice inglese. Tuttavia, il “caso Gosnell”, non è l’unico, ci tiene a precisare la Nash. Comunque, nel libro la Nash denuncia l’imbavagliamento della verità sull’argomento, si pretende anche di chiudere subito il dibattito scientifico.

Il III capitolo (“La più grande atrocità bioetica mai vista sulla faccia della terra”), si riferisce alla Cina comunista di oggi, che mette le mani sul corpo delle donne cinesi, costringendoli ad aborti forzati. E’ la politica del figlio unico. Anche qui la Nash racconta orrori che per la verità avevo già letto su altri libri ben documentati e su quei siti dove si smaschera il colosso cinese che i nostri governi “aiutano” facendo scambi commerciali, non curanti del disprezzo dei più elementari diritti umani.

Le femministe radicali ignorano completamente questo obbrobrio, fanno finta di non vedere, e nessuno osa inginocchiarsi per le donne vittime del regime comunista cinese. In Cina mettere al mondo bambini non autorizzati è un crimine che viene punito con la morte di entrambi i coniugi. Per questi fattori le donne cinesi hanno il record del più alto tasso di suicidi nel mondo.

Il IV° capitolo si occupa della “riproduzione concessa in appalto: la Procreazione Medicalmente Assistita, Maternità surrogata e mercificazione del corpo femminile.

Anche qui vi risparmio i particolari per certi versi raccapriccianti, non si comprende come certo femminismo si giri dall’altra parte, senza denunciare lo sfruttamento del corpo femminile nella pratica della maternità surrogata, in pratica una forma di schiavitù delle donne dei Paesi poveri. Delle coppie ricche che egoisticamente barattano i figli come merce nati da madri surrogate. La Nash denuncia apertamente il turismo della fertilità, l’industria che “sforna bambini” con il corpo femminile. E quando muore una donna con la maternità surrogata, non c’è nessuna indignazione.

Il V° capitolo (“La signora scompare: aborto, gendercidio e donne mancanti nel mondo”) Fiorella Nash spiega che cos’è il Gendercidio, l’omicidio di massa legato al genere, dove le vittime sono esclusivamente le donne. Nessuno osa parlarne, praticamente “negli ultimi cinquant’anni sono state uccise bambine – per il sol fatto di essere bambine – in un numero superiore a quello dei caduti di tutte le guerre del Novecento messe insieme […] il numero delle bambine in questo gendercidio sistematico supera quello delle persone massacrate in tutti i genocidi del ventesimo secolo.

Il numero totale delle bambine mancanti nel mondo si aggira intorno ai 160 milioni. Il gendercidio delle bambine si attua in particolare in India e in Cina. Perché accade, è la domanda più importante da porsi. Perché negare alle bambine di nascere? “E’ un interrogativo enorme per il quale non esistono risposte facili o dirette, dal momento che la preferenza per i figli maschi è profondamente radicata in culture e sistemi di credenze di tutto il mondo”.

Il VI° capitolo si occupa della mortalità materna e della lobby internazionale dell’aborto. Nel VII° capitolo (“La lotta per l’uguaglianza”), qui la ricercatrice inglese si occupa della piaga degli stupri, delle violenze domestiche e dei matrimoni forzati e poi della prostituzione, intesa eufemisticamente come la professione più antica del mondo. L’VIII° e il IX° capitolo la Nash cerca di smontare i vari miti del femminismo radicale, come quello ipocrita della “libera scelta” e soprattutto dei consigli al femminismo pro-life. Infine, il testo presenta due appendici. Segnalo la prima, dove la Nash si cimenta nella presentazione fortemente critica e ragionata del libro di Carol Singer, dal titolo, “About abortion: Terminating Pregnancy in Twenty-first century America”. Mi fermo e vi raccomando la lettura dell’importante libro di Fiorella Nash pubblicato dalla coraggiosa casa editrice D’Ettoris di Crotone.

DOMENICO BONVEGNA

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