SIAMO PRIGIONIERI DEI “CIAMPOLILLI” DEL PALAZZO

Pensavamo di aver visto tutto per quanto riguarda il degrado della politica italiana, invece quello che è successo in questi giorni a Roma nei palazzi del governo, assomiglia molto a un “Circo”, come ha ben descritto Mario Giordano nella sua trasmissione “Fuori dal coro” su rete 4. Per rimanere con Giordano, gli accordi  in parlamento hanno qualcosa di tragicomico, il governo Conte assomiglia sempre più a una “Armata Brancaleone”. Per il momento non intendo addentrarmi nei motivi socioculturali di questa debacle della democrazia italiana.

Mentre passo alla crisi di governo che si potrebbe riassumere così, secondo Stefano Fontana: «Se Mattarella non fosse Mattarella e se Conte non fosse Conte si andrebbe subito ad elezioni e si volterebbe pagina, liberando il Paese dalla prigionia. Così però non è, e quindi si rimarrà ingessati ancora a lungo». (S. Fontana, Prigionieri di Mattarella e Conte, 29.1.21, Lanuovabq.it)  

Mattarella poteva sciogliere le Camere e mandarci al voto. Poteva farlo soprattutto dopo il triste voto di fiducia al Senato. «L’arbitro ha lasciato che il “quasi giurista” — come lo definisce una brillante penna — andasse verso una vittoria di Pirro, che costui sicuramente festeggiò a champagne con il socio d’avventura Casalino. L’arbitro non evitò che andasse in scena una delle peggiori sciarade parlamentari, vergogna per ogni italiano. Causò lo scempio e altra perdita di tempo». (Maurizio Bianconi, Crisi di governo, arbitro a casa, 27.1.21, Destra.it). Un paese allo stremo non può essere guidato neppure un minuto da un governo in minoranza, con il   marchio caratterizzante “Ciampolillo”.

Per Max Del Papa, abbiamo toccato il fondo, «Hanno inventato pure i responsabili in prestito, a pendolo, a tassametro. La cosa in certo modo sconcertante è che non si mascherano, non si vergognano affatto, il rompete le righe è compiuto, il si salvi chi può ingovernabile. Ma tutto pur che non si voti! Si vedono e si sentono cose turche: figuranti a Palazzo Madama e all’Ariston, dire per disdire, subito, a volte nella stessa dichiarazione e su tutto un insopportabile tanfo di tariffa, di prostituzione neanche virtuosa». (Max Del Papa, Toccato il fondo: il Palazzo si blinda mentre i cittadini annaspano, rinchiusi e sottomessi, 29.1.21, atlanticoquotidiano.it)

La cronaca della crisi è da fantascienza, anzi fa rabbrividire, i cosiddetti «responsabili e costruttori usano un linguaggio da malavita, da balordi:“Hanno provato a fotterci”, “io a quello lo faccio fuori”, “ma questi dove c…. credono di andare?”. Stupisce, ma non troppo, che Mattarella accetti tutto questo ma forse, da politico vaccinato, si rende conto meglio di altri che la situazione è degenerata e va semplicemente accompagnata, con dolcezza, al suo epilogo; che poi sia la cinesizzazione o la grecizzazione, per il Paese non fa gran differenza».

Dopo un anno di disastri, questo scempio istituzionale, forse, è stato voluto da qualcuno, secondo l’editoriale del quotidiano online. C’è forte il sospetto «di una programmazione meticolosa in ossequio a certe cancellerie, a certe istituzioni sovranazionali. E sarà pure complottismo, ma come altrimenti motivare un anno di figuracce, di oscenità, di impoverimento esponenziale? Come interpretare l’indifferenza dei partiti di sinistra per le centinaia di migliaia di attività distrutte, e di più ancora all’ultimo miglio?».

Stiamo attraversando un bruttissimo momento, «anche perché l’informazione di regime fa orecchie da mercante, tace sui disagiati, è fatta in larga parte di Arlecchini pronti a seguire, a motivare qualunque voltafaccia, qualunque contorsione».

Il Corriere della sera, addirittura in sintonia col circo mediatico che stiamo vivendo, «ipotizzava in un titolo “un governo techno” per uscire dalla crisi. Tipo un rave party. Credevamo di averle viste tutte nell’arco di un Dopoguerra di governi anche impresentabili ma pare proprio che ogni nuovo regime faccia rimpiangere il precedente. Adesso torna in auge l’ammucchiata, la grosse koalition che è se mai grasse, avanti tutti insieme fin che c’è da spolpare l’osso, chiamato Recovery Fund».

Mentre certe categorie professionali sono alla fame e alla disperazione, la Rai, quella che si finanzia con i nostri soldi, quelli del canone, una sorta di “pizzo di stato”, non può rinunciare al Festival della canzonetta, ai milioni della pubblicità. Intanto, «il resto della filiera culturale, teatri, musei, sale da concerto rimane serrato ad ammalarsi di muffa e di silenzio». Le scuole partono a singhiozzo. I più deboli, sono quelli che soffrono maggiormente. Pare che i reparti di contenzione stanno scoppiando, e i suicidi e atti di autolesionismo sono in aumento. Sono queste le cose che premono e sono queste le cose di cui non si parla.

Ma è da come un Paese reagisce alla sua disperazione che si capiscono le riserve disponibili: umane, sociali, collettive. A questo punto, più ancora della dignità, è la coesione che sembra mancare, nel generale ciascuno per sé e Dio per tutti.

«Il distacco tra Palazzo che si blinda e cittadinanza rinchiusa, sottomessa e totalmente alla mercé degli eventi è peggio che abissale, è galattico. Quando hai toccato il fondo, comincia a scavare e non fermarti. Troverai sempre qualcosa, anche se somiglia sempre più a resti dissotterrati dai cani».

Comunque sia non si può accettare un altro governo Conte, ormai è logoro, c’è una deficienza personale nei singoli ministri. Sono molti gli errori commessi in questi mesi. Tutte le elezioni che si sono susseguite hanno dimostrato senza nessuna ombra di dubbio che il Paese reale non rappresenta più il Paese legale. In Parlamento il governo è molto fragile. «In occasione del recente voto di fiducia al Senato la maggioranza ha fornito uno spettacolo increscioso per convincere qualche transfuga a passare dall’altra parte in una trattativa poco dignitosa per tutti, anche per le istituzioni».

Nel frattempo la rabbia delle categorie aumenta, cominciano le prime insubordinazioni alle restrizioni ritenute contraddittorie e inefficaci, ci sono guai con il vaccino, Stato e regioni litigano. Davanti a questa situazione il Presidente della Repubblica avrebbe potuto constatare il divario tra la fragilità della maggioranza e la gravità della situazione e sciogliere le Camere. È successo anche in altri Stati europei, non richiederebbe più tempo di estenuanti consultazioni e incarichi a ripetizione.

DOMENICO BONVEGNA

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