Scioperi nei servizi pubblici, un palcoscenico con molti attori

Scioperare è un diritto. Nei trasporti pubblici un po’ meno. La natura del trasporto pubblico è tale che non è possibile farne scorta da usare in caso di improvvisa penuria, come è naturale per beni come il pane. Anche duro posso conservare il pane di ieri e mangiarlo oggi, con i viaggi in treno non posso farlo. Specialmente se sono un pendolare.

Apparentemente, ci sono due lati da cui vedere gli scioperi. Da una parte ci sono gli scioperanti, dall’altra le imprese. Questa situazione non può essere analizzata solo con modelli economici razionali, che vedono il possibile confronto tra due monopolisti, le imprese e i lavoratori. In caso di conflitto duro e durevole non c’è soluzione razionale (raggiunta tramite il gioco spontaneo delle forze di mercato) verso un accordo che soddisfi le due parti, ma vince il più forte. Se poi pratica comportamenti immorali, vince prima e di più, a danno del resto della collettività. Lo scenario è tuttavia più complesso, nel quale esistono solo soluzioni empiriche, caso per caso. Cioè esistono solo soluzioni politiche.

Dalla parte di chi sciopera, l’agente non è unico (i lavoratori), ma duplice (i lavoratori iscritti al sindacato e i dirigenti del sindacato), o triplice, se si aggiungono i cosiddetti crumiri, quelli che non scioperano. Già questo dovrebbe far capire la complessità del sistema e la difficoltà di risolvere “razionalmente” le cose.

Dalla parte di chi usa i servizi pubblici, gli utenti consumatori, gli scioperi, singoli o ripetuti, incidono sulla percezione di affidabilità del sistema. Uno sciopero ogni tanto può essere tollerato e addirittura indurre solidarietà tra scioperanti e utenti colpiti dall’astensione dei lavoratori.

Se gli scioperi sono sporadici, il danno percepito è irrilevante o non è percepita la convenienza a cambiare mezzo di trasporto. La perturbazione dei modelli di viaggio consolidati che si verifica dopo uno sciopero può indurre il passaggio da un comportamento inerte e guidato dall’abitudine a un comportamento razionale, che fa considerare le alternative di viaggio in base ai loro costi e benefici.

Gli scioperi brevi possono essere evitati più facilmente e con minori effetti collaterali prendendo un giorno di ferie, riprogrammando gli appuntamenti o portando il lavoro a casa. Questo diventa sempre più difficile con gli scioperi più lunghi, poiché la maggior parte delle persone ha un numero limitato di giorni liberi o non può permettersi di non lavorare. Non si può stare lontani dal lavoro o dalla scuola per lunghi periodi e i lavoratori saranno costretti a trovare modi alternativi per raggiungere le loro destinazioni.

La storia insegna che non sempre dirigenti e iscritti di un sindacato abbiano lo stesso obiettivo. La perdita costante di iscritti al sindacato ha come causa anche la perdita di credibilità dei dirigenti. A fine carriera sindacale, molti capi sono entrati in politica. È facile accusarli di volersi sistemare invece che difendere gli interessi dei propri iscritti, magari in combutta oscura con i padroni.

Poi c’è il ruolo delle Istituzioni pubbliche. I danni causati dagli scioperi alle aziende di trasporto pubblico sono sempre stati ripagati dallo Stato. Il rischio di fallimento è assente e la perdita di posti di lavoro non esiste. Le poche pillole di privatizzazione all’italiana sembrano solo palliative, dagli effetti trascurabili o quanto meno imprevedibili, col rischio di favorire ulteriormente la propensione agli scioperi.

Una presenza maggiore di concorrenti che offrono servizi (credibili) di trasporto pubblico può mitigare gli effetti negativi soprattutto per gli utenti. Ma questo non basta. La stalla è stata chiusa dopo che i buoi sono scappati. E i buoi erano le responsabilità di governo che la maggior parte dei sindacati italiani non ha voluto assumere. Preferendo solo il modello rivendicativo e vedendo la controparte come nemico contro il quale contendere, ma in collaborazione col quale danneggiare il resto della comunità.

 

Gian Luigi Corinto, docente di Geografia e Marketing agroalimentare nell’Università di Macerata, consulente Aduc