
di Davide Romano
«La Sicilia offre la rappresentazione di tanti problemi… al punto da poter costituire la metafora del mondo odierno» – Leonardo Sciascia
C’è un’amara ironia nel fatto che la Sicilia, terra che ha dato i natali a Pirandello, Sciascia, Camilleri, Verga e Tomasi di Lampedusa, sia oggi la regione d’Italia dove si legge meno. Solo il 25,3% dei siciliani apre un libro almeno una volta all’anno. Al Nord sono il 46,1%, al Centro il 42,4%. Non è una sfumatura statistica: è un abisso culturale che dovrebbe far suonare tutti gli allarmi. Ma in Sicilia, terra dove gli allarmi suonano sempre a vuoto, anche questo passa sotto silenzio.
«Io sono nato in Sicilia e lì l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte», scriveva Luigi Pirandello. Non immaginava che un giorno la sua isola sarebbe diventata davvero isolata dal resto del mondo culturale, autoesiliata dal regno della conoscenza, condannata a un analfabetismo di ritorno che avrebbe fatto inorridire i suoi grandi scrittori.
I numeri della vergogna
Facciamo i conti, una volta per tutte, senza sconti né attenuanti. In Sicilia, tre persone su quattro non toccano un libro nemmeno per sbaglio. Mentre la Sardegna, altra isola, raggiunge il 38,6% di lettori, la Sicilia si ferma al 25,3%. È come se l’isola avesse deciso di voltare le spalle alla cultura, di rinunciare al suo primato intellettuale, di trasformarsi da culla della letteratura italiana a deserto culturale.
«Colui che una volta scriveva poesia, racconti, romanzi, nella Sicilia della mia giovinezza era un perditempo o un pazzo “pirinnello” cioè “un Pirandello”», ricordava Andrea Camilleri. Oggi non c’è nemmeno più bisogno di essere “pirinnello” per essere considerati pazzi: basta leggere un libro.
Il mercato editoriale conferma questa tragedia: Sud e Isole assorbono meno del 20% dei libri venduti in Italia, pur rappresentando il 34% della popolazione. È l’economia della cultura che decreta la sua sentenza: in Sicilia i libri non si vendono perché non si comprano, non si comprano perché non si leggono, non si leggono perché non si considerano necessari.
Il deserto librario: quando la cultura diventa merce esotica
Dove una volta sorgevano librerie di quartiere, oggi troviamo centri scommesse, phone center, negozi di oggetti cinesi o minimarket bengalesi. Il simbolo di una società che ha barattato la conoscenza con l’azzardo, la cultura con il consumo, il futuro con l’immediato.
Nel Meridione ci sono il 30% in meno di librerie rispetto alla media nazionale. In Sicilia la situazione è ancora peggiore. Palermo, capoluogo di regione, ha meno librerie di Bergamo. Catania, seconda città dell’isola, ne ha meno di Parma. E nella provincia l’apocalisse è completa: interi comuni senza una libreria degna di questo nome.
Prova a cercare le opere di Leonardo Sciascia a Racalmuto, suo paese natale. Prova a trovare i romanzi di Camilleri nella sua Porto Empedocle. Scoprirai che l’isola ha trasformato i suoi scrittori in statue commemorative, in intitolazioni di vie, in folklore turistico. Li ha museificati, depotenziati, trasformati da compagni di viaggio intellettuale a ornamenti urbani.
La scuola: l’emorragia che non si ferma
Prima ancora dell’università, prima ancora dell’età adulta, la Sicilia perde i suoi figli sui banchi di scuola. La dispersione scolastica è al 21,2%, contro una media nazionale del 12,7%. Uno studente siciliano su cinque abbandona prima del tempo. Mentre la dispersione italiana scende al 9,4%, la Sicilia rimane inchiodata a percentuali da Paese in via di sviluppo.
Non sono decimali statistici, ma vite umane. Sono ragazzi che rinunciano al futuro, famiglie che accettano l’ignoranza come destino, una società che si condanna alla mediocrità permanente. La scuola, che dovrebbe essere l’ascensore sociale, diventa la fossa comune delle ambizioni intellettuali.
«Cosa rispondere, se non che il siciliano è il prodotto della sua storia? È colpa sua se non ha mai davvero deciso da solo», si chiedeva Sciascia. Oggi potremmo aggiungere: è colpa sua se ha deciso di non decidere più, se ha scelto di subire l’ignoranza invece di combatterla.
L’università: il naufragio delle intelligenze
I dati universitari siciliani sono una Caporetto intellettuale. La Sicilia ha il 40,1% di giovani Neet (né studenti né lavoratori), la percentuale più alta d’Italia. La Calabria è seconda con il 39,9%, la Campania terza con il 38,1%. Il Nord? La Liguria, messa peggio, arriva al 21,1%. Quasi venti punti percentuali di differenza. Non è un gap: è un abisso.
Il tasso di abbandono universitario nazionale è schizzato al 7,3%, il più alto degli ultimi anni. Nelle facoltà scientifiche si abbandona nel 34,8% dei casi. In Sicilia, terra di Archimede e di Ettore Majorana, gli studenti scappano dalle materie scientifiche come da una malattia contagiosa.
Solo il 60% dei diplomati si iscrive all’università. E di questi, oltre il 20% abbandona dopo il terzo anno. Significa che dei 100 ragazzi che prendono il diploma, solo 48 arrivano alla laurea. Gli altri? Volatilizzati nel nulla dell’ignoranza organizzata.
Gli studenti che arrivano all’università non hanno mai letto un libro intero. Comprano i riassunti, studiano sui bignami, cercano la scorciatoia invece della strada maestra. I docenti si lamentano, ma si adeguano. Abbassano il livello, semplificano i programmi, trasformano la laurea in un diploma di partecipazione.
Il risultato? Laureati che non sanno scrivere correttamente, che non hanno mai affrontato un testo complesso, che considerano Verga un cognome da anagrafe e Il Gattopardo un felino. L’università diventa una fabbrica di diplomi, non di intelligenze.
I giornali: la morte dell’informazione
Se i libri sono merce esotica, i giornali sono reperti archeologici. I lettori italiani sono calati dal 74% del 2023 al 73% del 2024, ma questi sono numeri nazionali che nascondono la tragedia meridionale. In Sicilia, i quotidiani sono diventati oggetti da museo.
Nel Nord, la lettura dei quotidiani coinvolge il 32,7% della popolazione. In Sicilia siamo sotto il 20%. Un’isola che produce notizie – spesso tragiche – ma non le legge. Che subisce la cronaca ma non la approfondisce. Che vive di sentito dire e di social network, dove la notizia dura tre secondi e l’approfondimento è bandito.
I chioschi resistono vendendo tutto tranne informazione: schedine, riviste di gossip, articoli per la casa. Il giornale lo comprano i pensionati, per abitudine, e qualche nostalgico che ancora crede nel valore della carta stampata. Ma sono specie in via di estinzione, dinosauri in un mondo che ha scelto la superficialità dell’istante contro la profondità della riflessione.
Le biblioteche: cattedrali del vuoto
Le biblioteche pubbliche siciliane sono una barzelletta triste. Orari ridicoli: aperte dalle 8:30 alle 13:30, chiuse il pomeriggio quando gli studenti potrebbero studiare, chiuse il sabato quando i lavoratori potrebbero leggere. È come se fossero pensate per scoraggiare l’utenza, non per accoglierla.
Ma il vero problema non sono gli orari. È che nessuno le frequenta. Le sale di lettura sono popolate da pensionati che cercano un posto caldo d’inverno e fresco d’estate. I giovani? Spariti. Preferiscono il rumore del bar al silenzio della biblioteca. Preferiscono lo schermo del telefonino alla pagina del libro.
La Biblioteca Regionale di Palermo ha un patrimonio di 700.000 volumi. Quanti li hanno mai visti? Quanti li consultano? È un tesoro sepolto, inaccessibile ai più, custodito da funzionari che sembrano più guardiani che bibliotecari. Un mausoleo della cultura che produce cultura come un cimitero produce vita.
La famiglia: il primo tradimento
Ma la responsabilità maggiore è delle famiglie. Il 66% degli italiani legge libri a stampa, ma in Sicilia siamo molto sotto questa media. Ci sono case siciliane dove l’unico libro è il libretto d’istruzioni della lavatrice. Genitori che non leggono e si stupiscono che i figli non leggano. Che preferiscono comprare l’ultimo smartphone piuttosto che un libro (perché i libri, si sa, sono cari mentre gli smartphone… ). Che considerano la lettura una perdita di tempo.
Il risultato è una generazione cresciuta senza libri, senza curiosità intellettuale, senza quella fame di conoscenza che è il motore di ogni civiltà. Ragazzi che sanno tutto sui social network e nulla sulla loro storia. Che conoscono i personaggi della televisione ma ignorano i loro scrittori. Che parlano in dialetto e scrivono in abbreviazioni da SMS.
«Credo che cinquant’anni siano serviti a far capire che la cultura a qualche cosa serve», diceva Camilleri. Evidentemente non è bastato. In Sicilia, la cultura è ancora considerata un lusso per ricchi, un passatempo per disoccupati, una perdita di tempo per chi ha cose “serie” da fare.
La politica: complici consapevoli
La politica siciliana ha le sue responsabilità. Mentre si spendono milioni per sagre e manifestazioni folcloristiche, si lasciano morire le librerie. Mentre si inaugurano rotonde e si asfaltano strade, si chiudono i centri culturali. Le priorità sono chiare: l’immagine conta più della sostanza, l’apparenza più del contenuto.
I politici siciliani, quando devono fare una foto, vanno in libreria. Quando devono fare politica, vanno altrove. Promettono biblioteche che non aprono, finanziano eventi che durano una sera, dimenticano che la cultura è un investimento quotidiano, non uno show domenicale.
È la politica del consenso facile, del voto scambiato per una promessa di lavoro, del clientelismo che premia l’ignoranza e punisce l’intelligenza. Una politica che ha fatto della Sicilia una terra dove essere colti è sospetto, dove studiare è da “pirinnello”, dove la cultura è folklore.
Il confronto spietato: l’Italia che legge e l’isola che non pensa
Confrontiamo i numeri senza pietà. La Lombardia ha una libreria ogni 8.000 abitanti, la Sicilia una ogni 25.000. In Veneto si vendono 12 libri per abitante all’anno, in Sicilia non si arriva a 4. In Toscana le biblioteche sono aperte anche la sera, in Sicilia chiudono all’ora di pranzo.
Non è questione di soldi. È questione di priorità. La Sicilia spende di più per i fuochi d’artificio delle feste patronali che per i libri. Investe di più nelle sagre che nelle biblioteche. Considera la cultura un lusso, non una necessità. Ha scelto il folklore contro la cultura, la tradizione contro l’innovazione, il passato contro il futuro.
«Luigi Pirandello aveva intuito la complessità dell’animo siciliano meglio di chiunque altro, scriveva della necessità di uscire dall’isola per affermarsi: “Cu nesci, arrinesci” – chi esce, riesce. Ma oggi si potrebbe aggiungere: chi resta, si spegne».
La conseguenza: un popolo senza futuro
Il risultato di questo disastro culturale è un popolo senza futuro. Affamato di conoscenza, di prospettive, di speranza. Un popolo che subisce invece di decidere, che segue invece di guidare, che imita invece di inventare. La Sicilia, che ha dato al mondo Verga, Pirandello, Sciascia, Camilleri, oggi non riesce a produrre nemmeno un lettore ogni quattro abitanti.
È il paradosso di un’isola ricca di storia che ha perso la memoria, ricca di tradizioni che ha dimenticato il futuro, ricca di intelligenze che ha scelto l’ignoranza. Una terra che potrebbe essere laboratorio di cultura mediterranea e invece è diventata museo di se stessa.
La verità che brucia: un’isola che ha scelto di non scegliere
La verità, quella che Sciascia avrebbe raccontato senza sconti, è che la Sicilia ha scelto. Ha scelto l’ignoranza contro la conoscenza, la facilità contro la fatica, l’immediato contro il duraturo. Ha scelto di essere consumatrice di cultura pop invece che produttrice, importatrice invece che esportatrice, seguace invece che leader.
Non è stata una scelta consapevole, ma una deriva. Non è stata una decisione, ma una resa. Una capitolazione davanti alla modernità, una fuga dalla complessità, un rifugio nell’ignoranza come bene di consolazione.
E ora paga il prezzo di questa scelta. Nel 2024 peggiorano tutti gli indicatori della lettura, ma in Sicilia erano già al livello di guardia. Ora sono al livello di emergenza. Oltre il livello di emergenza.
L’ultima chiamata: quando sarà troppo tardi
«La più grande sventura dell’uomo di lettere forse non è quella di essere oggetto della gelosia dei colleghi, vittima dell’intrigo, disprezzato dai potenti; ma quella di essere giudicato dagli imbecilli», scriveva Sciascia citando Voltaire. In Sicilia, gli imbecilli sono diventati maggioranza. E non giudicano più gli uomini di lettere: li ignorano.
Resta poco tempo. Una generazione, forse due, poi sarà troppo tardi. Quando l’ultimo libraio chiuderà bottega, quando l’ultimo giornalaio spegnerà la luce, quando l’ultima biblioteca diventerà un centro sociale, la Sicilia avrà completato la sua trasformazione da isola di cultura a isola di cultura turistica. Da terra di scrittori a terra di souvenirs.
Il futuro si scrive oggi, una pagina alla volta. Ma in Sicilia, le pagine non le gira più nessuno. L’isola che ha inventato la letteratura italiana moderna rischia di dimenticare persino di saper leggere.
«Naturalmente anche tu andrai via dalla Sicilia, ma non dimenticare il profumo», diceva Pirandello. Oggi potremmo aggiungere: chi resta, rischia di dimenticare persino di aver mai sentito quel profumo. Perché un popolo che non legge è un popolo che ha già scelto di non esistere domani.
La cultura non è un ornamento per i momenti di ozio, ma l’ossigeno della democrazia. E in Sicilia, l’aria si sta facendo irrespirabile.