POLITICA CONTEMPORANEA: OCCHIO AL POTERE DELL’ALTA FINANZA GLOBALE CHE ISPIRO’ CATENO DE LUCA

Abbiamo smesso di votare non per pigrizia, ma per memoria. Perché ricordiamo com’era decidere, e oggi ci chiedono solo di obbedire.

Ma la speranza non è nel ritorno, è nel risveglio. Nel ricominciare a contare, prima ancora di votare. L’Istat fotografa un Paese dove la partecipazione politica, attiva o silenziosa, è in costante declino. Nel 2024, solo il 59,2% degli italiani (meno di sei italiani su dieci) ha votato alle elezioni europee.
Nel 2004 erano il 73,6%. In vent’anni, abbiamo perso quasi 15 punti di affluenza. Informarsi, discutere, votare: tutte pratiche che perdono terreno, soprattutto tra i giovani e nel Mezzogiorno. Il calo non è solo numerico: è il riflesso di una disillusione profonda.
Non è disinteresse: è consapevolezza. Il cittadino ha capito che con il voto non decide più nulla. E allora si astiene.

Centrodestra e centrosinistra, pur con retoriche divergenti, convergono su obiettivi strutturali comuni: attuazione dell’Agenda 2030, rafforzamento del vincolo esterno, adesione a un modello ordoliberista che subordina la sovranità nazionale alle logiche di governance sovranazionale.
Circuiscono il cittadino con la retorica del debito pubblico, e lo mettono al guinzaglio col debito privato, privandolo dei servizi essenziali privatizzati, e con un sistema fiscale regressivo, scoprendosi più spettatore che attore. E smette di votare. Consapevole che il Parlamento è un teatro, che i partiti sono comparse, e che le decisioni vere si prendono altrove: a Bruxelles, a Francoforte, nei board delle agenzie di rating, nei corridoi della BCE. Così, rifiuta di partecipare all’orrenda rappresentazione.

Il potere vero non risiede più nei governi (siano essi di centrodestra o centrosinistra), ma è nei trattati, nei vincoli, nei piani di rientro. Strumenti che costituiscono una gabbia normativa chiusa con lucchetti digitali, sorvegliata da algoritmi e comitati che nessuno ha eletto. Lo Stato, vincolato dal Patto di Stabilità e dal Fiscal Compact, non può decidere. Deve solo rientrare. E per rientrare, vende.


Privatizza. Dismette. Così lo Stato si privatizza pezzo dopo pezzo, mentre miliardi di ricchezza e risparmi privati finiscono nelle tasche dell’alta finanza globale, in paradisi fiscali dove le tasse sono un dettaglio. Lo sanno talmente bene i governi, che si limitano a fare da esattori per conto terzi, vessando chi li ha votati. Il loro compito non è liberare, ma gestire. Gestire il declino, gestire il debito, gestire il consenso e ancor di più il dissenso (con i gatekeeper). E chi lo fa meglio, chi urla,
chi promette, chi costruisce narrazioni, vince. Infatti, tutti raccolgono consensi su base territoriale, ma dentro un quadro nazionale che non cambia. Perché oggi il potere non si misura in capacità di decidere, ma in abilità di comunicare. E chi sa costruire la narrazione giusta, anche se falsa, resta in sella. E i “mass media” in generale, hanno una gran fetta di responsabilità per questo.

Un esempio? Messina. L’affluenza alle comunali è ferma al 55%. Eppure, Cateno De Luca, ex sindaco della città, ha vinto con percentuali da regime. Come altri prima di lui. E come Basile oggi, suo alter ego amministrativo. Il voto non è più ideologico, ma identitario. Il cittadino non vota per un programma, ma per una narrazione.
E chi sa costruirla, vince. A mani basse.
De Luca lo ha capito. E come tanti altri amministratori, consapevoli di non poter cambiare le regole del gioco, si limita a sfruttarle meglio degli altri. Le sue battaglie, le sue verità, sono sistemiche al mantenimento del potere. Con propaganda, dirette Facebook, media e social pianificati, la cosa pubblica gestita come se fosse privata. Come un enorme tritacarne, tutto viene mischiato, triturato, condito e servito come una polpetta fritta (il fritto rende tutto saporito), ma avvelenata. Ma è un veleno che agisce lentamente, sulle coscienze delle persone che, quando capiranno non basterà più l’antiveleno.

Chi governa oggi non risponde agli elettori, ma a strutture sovranazionali e centri di potere che nulla hanno a che vedere con i diritti e i bisogni della gente. Tutti si dimenano, urlano, promettono, per un solo scopo: non perdere il potere acquisito con l’inganno. Perché, come si dice in Sicilia, cumannari è megghiu chi futturi (forse perché del “futtiri” hanno ormai solo un vago ricordo).


La gente non vota più perché ha capito che il voto non incide. La soluzione, allora, non è convincere a votare di nuovo, ma ricostruire le condizioni perché il voto torni a contare. E per farlo bisogna rompere il vincolo esterno, rimettere in discussione i trattati che svuotano la sovranità, dal Fiscal Compact al Patto di Stabilità. Non per isolarsi, ma per poter decidere. Restituire potere ai territori, non con autonomie differenziate che frammentano, ma con strumenti reali di partecipazione e controllo
dal basso. Riconnettere economia e democrazia, che se il potere economico è fuori dal controllo democratico, allora la democrazia è una finzione.
Bisogna riportare la finanza sotto il mandato popolare. E infine, smontare la narrazione unica, poter spiegare, denunciare, raccontare, fare informazione vera, dove la propaganda non sia l’unica voce.
Perché la consapevolezza è il primo passo verso la liberazione.

bilgiu