𝔘𝔫 𝔄𝔫𝔢𝔩𝔩𝔬 𝔭𝔢𝔯 𝔡𝔬𝔪𝔞𝔯𝔩𝔦,
𝔲𝔫 𝔄𝔫𝔢𝔩𝔩𝔬 𝔭𝔢𝔯 𝔱𝔯𝔬𝔳𝔞𝔯𝔩𝔦,
𝔲𝔫 𝔄𝔫𝔢𝔩𝔩𝔬 𝔭𝔢𝔯 𝔤𝔥𝔢𝔯𝔪𝔦𝔯𝔩𝔦
𝔢 𝔫𝔢𝔩 𝔟𝔲𝔦𝔬 𝔦𝔫𝔠𝔞𝔱𝔢𝔫𝔞𝔯𝔩𝔦.
𝔑𝔢𝔩𝔩𝔞 𝔗𝔢𝔯𝔯𝔞 𝔡𝔦 𝔐𝔬𝔯𝔡𝔬𝔯, 𝔡𝔬𝔳𝔢 𝔩’𝔒𝔪𝔟𝔯𝔞 𝔠𝔲𝔭𝔞 𝔰𝔠𝔢𝔫𝔡𝔢.
⁻ ᴶ·ᴿ·ᴿ· “ᵀᵒˡᵏⁱᵉⁿ ᵀʰᵉ ᴸᵒʳᵈ ᵒᶠ ᵗʰᵉ ᴿⁱⁿᵍˢ” ⁽¹⁹⁵⁴⁾
Così suona la profezia letteraria, ma oggi sembra cronaca politica. L’Unione Europea, sotto la voce della sua presidente, pretende che gli Stati membri garantiscano nuovi prestiti per alimentare la guerra in Ucraina. È l’Anello del potere che stringe i popoli, incatenandoli al debito e al vincolo esterno. Non c’è vergogna in questo meccanismo: dopo aver devastato l’Italia con austerità, privatizzazioni e vincoli, ora si chiede di ipotecare il futuro per sostenere un conflitto che non appartiene ai cittadini ma alle logiche di dominio…
Il 59° Rapporto Censis non lascia spazio alle illusioni: l’Italia è un Paese che si consuma lentamente, schiacciato da un debito pubblico che ha superato i 3.000 miliardi di euro. Un debito che non nasce dall’eccesso di spesa sociale, ma che si è accumulato nonostante quindici anni di austerità, tagli lineari, svendite di asset e aziende pubbliche, privatizzazioni, salari compressi e precarizzazione diffusa. Abbiamo sacrificato welfare, istruzione e sanità sull’altare del rigore, eppure il debito è cresciuto.
Come ha spiegato Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, lo Stato non potrà che aumentare le tasse al ceto medio, intrappolato in una spirale negativa: l’Italia spende più per interessi sul debito (85,3 miliardi) che per investimenti (78,3 miliardi). Nell’ultimo anno la spesa per interessi ha toccato quota 85,6 miliardi, pari al 3,9% del PIL nazionale: il valore più alto tra tutti i Paesi europei, ad eccezione dell’Ungheria (4,9%), superiore persino alla Grecia (3,5%) e ben oltre la media europea (1,9%). È la fotografia di un Paese che consuma risorse senza costruire futuro, reso sempre più vulnerabile dal peso del vincolo esterno.
“𝑰𝒍 𝒗𝒊𝒏𝒄𝒐𝒍𝒐 𝒆𝒔𝒕𝒆𝒓𝒏𝒐 𝒆̀ 𝒍𝒂 𝒓𝒊𝒏𝒖𝒏𝒄𝒊𝒂 𝒑𝒓𝒐𝒈𝒓𝒂𝒎𝒎𝒂𝒕𝒂 𝒂𝒍𝒍𝒂 𝒅𝒆𝒎𝒐𝒄𝒓𝒂𝒛𝒊𝒂.”
⁻ ᴸᵘᶜⁱᵃⁿᵒ ᴳᵃˡˡⁱⁿᵒ ᵈᵃ “ᴵˡ ᶜᵒˡᵖᵒ ᵈⁱ ˢᵗᵃᵗᵒ ᵈⁱ ᵇᵃⁿᶜʰᵉ ᵉ ᵍᵒᵛᵉʳⁿⁱ” ⁽²⁰¹³⁾
La traiettoria è chiara e ha un inizio preciso: il governo Monti nel 2011, quando l’Italia fu commissariata dai mercati e dall’Unione Europea. Da allora, la politica economica è stata incardinata nel vincolo esterno: regole imposte, obbedienza ai poteri transnazionali, rinuncia alla sovranità.
La moneta unica, che avrebbe dovuto unire, ha invece diviso: l’euro ha trasformato la stabilità finanziaria in un dogma, sacrificando crescita e occupazione.
“𝙌𝙪𝙖𝙣𝙙𝙤 𝙞𝙡 𝙩𝙖𝙨𝙨𝙤 𝙙𝙞 𝙧𝙚𝙣𝙙𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙚𝙡 𝙘𝙖𝙥𝙞𝙩𝙖𝙡𝙚 𝙨𝙪𝙥𝙚𝙧𝙖 𝙞𝙡 𝙩𝙖𝙨𝙨𝙤 𝙙𝙞 𝙘𝙧𝙚𝙨𝙘𝙞𝙩𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡’𝙚𝙘𝙤𝙣𝙤𝙢𝙞𝙖, 𝙡𝙖 𝙙𝙞𝙨𝙪𝙜𝙪𝙖𝙜𝙡𝙞𝙖𝙣𝙯𝙖 𝙖𝙪𝙢𝙚𝙣𝙩𝙖.”
– Thomas Piketty, “Capital in the Twenty-First Century” (2013)
Il risultato è un Paese impoverito e diseguale: tra il 2011 e il 2025 la ricchezza delle famiglie italiane è calata in media dell’8,5%, ma dietro questa cifra si nasconde una frattura profonda. La metà più povera ha perso il 23,2% del patrimonio, mentre anche i gruppi intermedi hanno visto crolli dal 35,3% al 24,3%. Persino il nono gruppo, tra i più benestanti, ha registrato un -17,1%. Solo l’élite dei super‑ricchi si è arricchita: +5,9%, fino a concentrare il 60% della ricchezza nazionale. Ancora più impressionante: il 5% delle famiglie più ricche detiene da solo il 48% del patrimonio complessivo.
In questo scenario, il ceto medio è stato eroso, il potere d’acquisto è sceso e il 78,5% degli italiani non si fida più dei servizi sanitari e assistenziali. Ma il Rapporto fotografa anche la percezione collettiva: il 62% ritiene l’Europa marginale nello scenario globale, il 53% la vede destinata all’irrilevanza, e tre italiani su quattro non considerano più gli Stati Uniti un modello culturale. In questo vuoto di riferimenti, cresce la sensazione di essere periferia, colonia economica e culturale.
“𝑳𝒂 𝒑𝒓𝒆𝒄𝒂𝒓𝒊𝒆𝒕𝒂̀ 𝒆̀ 𝒅𝒊𝒗𝒆𝒏𝒕𝒂𝒕𝒂 𝒖𝒏 𝒎𝒐𝒅𝒐 𝒅𝒊 𝒈𝒐𝒗𝒆𝒓𝒏𝒐.”
⁻ ᴾⁱᵉʳʳᵉ ᴮᵒᵘʳᵈⁱᵉᵘ “ᴸᵃ ᵐⁱˢᵉʳᵉ ᵈᵘ ᵐᵒⁿᵈᵉ” ⁽¹⁹⁹³⁾
Ma il declino non è solo nei numeri: è nella vita quotidiana. Il mercato del lavoro resta fragile, con salari bassi e contratti precari che non garantiscono stabilità. Dal 2021 ad oggi, il potere d’acquisto dei salari ha subito un colpo pesante: secondo l’Istat, gli stipendi reali risultano ridotti di circa l’8,8%. Una perdita che non si recupera in pochi anni: con questo passo, occorrerebbero intere generazioni per tornare ai livelli precedenti all’ondata inflazionistica. I giovani, privi di prospettive, continuano a emigrare: ogni anno migliaia lasciano il Paese, portando con sé competenze ed energie che l’Italia non riesce a valorizzare. È una fuga silenziosa che impoverisce il capitale umano e culturale.
Il welfare arretra: la sanità è percepita come inadeguata, l’istruzione soffre di carenze strutturali, e i servizi sociali non riescono a rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana e fragile. La promessa di protezione si è trasformata in disillusione.
“𝑵𝒐𝒏 𝒄’𝒆̀ 𝒏𝒖𝒍𝒍𝒂 𝒅𝒊 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒅𝒊𝒔𝒂𝒔𝒕𝒓𝒐𝒔𝒐 𝒄𝒉𝒆 𝒄𝒆𝒓𝒄𝒂𝒓𝒆 𝒅𝒊 𝒓𝒊𝒅𝒖𝒓𝒓𝒆 𝒊 𝒔𝒂𝒍𝒂𝒓𝒊 𝒎𝒐𝒏𝒆𝒕𝒂𝒓𝒊 𝒑𝒆𝒓 𝒂𝒖𝒎𝒆𝒏𝒕𝒂𝒓𝒆 𝒍𝒂 𝒄𝒐𝒎𝒑𝒆𝒕𝒊𝒕𝒊𝒗𝒊𝒕𝒂̀: 𝒆̀ 𝒖𝒏𝒂 𝒑𝒐𝒍𝒊𝒕𝒊𝒄𝒂 𝒄𝒉𝒆 𝒊𝒎𝒑𝒐𝒗𝒆𝒓𝒊𝒔𝒄𝒆 𝒊 𝒍𝒂𝒗𝒐𝒓𝒂𝒕𝒐𝒓𝒊, 𝒅𝒆𝒔𝒕𝒂𝒃𝒊𝒍𝒊𝒛𝒛𝒂 𝒊 𝒎𝒆𝒓𝒄𝒂𝒕𝒊 𝒆 𝒅𝒊𝒔𝒕𝒓𝒖𝒈𝒈𝒆 𝒍𝒂 𝒇𝒊𝒅𝒖𝒄𝒊𝒂.”
– John Maynard Keynes, “The General Theory of Employment, Interest and Money” (1936)
Deflazione salariale, dumping fiscale, delocalizzazione: sono i pilastri di un sistema che ha scelto di impoverire i lavoratori e svuotare gli Stati. La politica interna, di fronte a questo scenario, appare inerme e servile: non elabora strategie autonome, non difende il tessuto produttivo, non protegge i cittadini. Si limita a recepire direttive, a inseguire i poteri transnazionali, a gestire il declino. È una classe dirigente che ha rinunciato alla sovranità, trasformando la democrazia in un’interfaccia e la libertà in un’opzione revocabile.
Il Censis parla di “età selvaggia”: ferro e fuoco, nazionalismi e protezionismi ridisegnano il mondo. L’Italia, invece, resta ferma, schiacciata tra debito e vincoli europei, incapace di trasformare la crisi in progetto. La vera fotografia è questa: un Paese che resiste ma non decide, che metabolizza il declino senza ribellarsi, che rimodula attese e desideri ma non trova una direzione.
E mentre il tessuto sociale si sgretola tra austerità e precarietà, Bruxelles rilancia con nuove pretese: garanzie per prestiti destinati a finanziare la guerra. È l’ennesima dimostrazione di un meccanismo che non conosce vergogna: dopo aver dissanguato il Paese, ora pretende di ipotecarne il futuro…
Questa non è solidarietà, è complicità. E’ una beffa crudele travestita da “aiuto fraterno” Non è politica, è servitù volontaria, con leader che si prostrano ai tecnocrati di Bruxelles come servi fedeli al loro Sauron finanziario. Non è Europa, è un circo corrotto che spaccia guerre eterne per “pace” e rovina collettiva per “progresso condiviso”. È il volto grottesco di un potere che non discute ma calpesta, non rappresenta ma depreda, non costruisce ma succhia l’ultima goccia di sangue dai popoli ridotti a pedine sacrificabili. La condanna? Inevitabile: questo mostro ha stuprato la democrazia, trasformando nazioni sovrane in garanzie bancarie per interessi di pochi. E noi? Continuiamo a stringere l’Anello, illudendoci che non ci consumerà. E noi? Continuiamo a stringere l’Anello, illudendoci che non ci consumerà. Ma l’Anello non è stato forgiato nel Monte Fato. Si firma a Francoforte, si paga a rate con gli interessi, mentre ci inginocchiamo a leccare la mano che ci strangola.
bilgiu
