Messina, 15 gennaio 1998. Come ogni cosa umana la giustizia è imperfetta

Messina – Quando finirà il caso Matteo Bottari? Quali altri indizi, approfondimenti, perizie ci saranno prima che cali definitivamente il sipario su un delitto che va avanti da venticinque anni, da quel 15 gennaio 1998?

Il fatto 

E’ il 15 Gennaio 1998, sono le ore 21.00 circa, fa freddo e piove, il professore Bottari è nel suo studio presso la Casa di Cura Cappellani di Messina, stringe la mano e congeda l’ultima paziente, si toglie il camice, scambia qualche battuta con il fido assistente Pietro Bucca e insieme escono dalla stanza per fare rientro a casa.

Usciti dalla stanza, incontrano il prof. Aragona, esperto urologo, con il quale, l’ancora ignaro Matteo Bottari, valente medico endoscopista, scambia qualche battuta scherzosa e poi i due, dopo aver salutato il personale amministrativo in servizio presso la clinica, salgono ognuno sulla propria auto per raggiungere i propri cari, salutandosi cordialmente.

L’antico cancello in ferro della Casa di Cura, con le tre rose disposte a triangolo, si aprì elettricamente e l’auto del Bucca svoltò verso destra sul Viale Regina Elena, in direzione Viale Giostra, mentre la sportiva Audi S4 blu del Bottari svoltò verso sinistra, in direzione del Viale Annunziata.

Seduti sul muretto di cinta, sul lato opposto della strada, proprio di fronte al cancello della clinica, vi erano due giovani, di circa vent’anni, che apparentemente stavano fumandosi un’altra bionda, lì seduti forse da più di un’ora, in considerazione delle diverse cicche di sigaretta spente ai loro piedi, intenti a conversare cordialmente.

Alla vista dell’Audi S4, i due giovani salirono frettolosamente a bordo di un’utilitaria lì parcata, e si posero all’inseguimento della veloce auto del Bottari, la quale, nel frattempo, aveva raggiunto l’incrocio con il Viale Annunziata e si era fermata perché il semaforo segnalava luce “rossa” .

Vista l’attesa al semaforo, il Bottari prese uno dei due cellulari che aveva con sé, compose il numero di casa e rimase in attesa della risposta della moglie per avvertirla che stava rientrando.

In quel frangente, l’utilitaria raggiunse la veloce auto del medico messinese, ne scesero due giovani, uno dei quali impugnava un fucile a canne mozze.

Questi, a passo veloce, raggiunse l’Audi blu dal lato del conducente ed esplose un colpo di fucile all’altezza del capo del guidatore, un decimo di secondo prima che la signora Ildefonsa, moglie del Bottari, avesse modo di sentire per l’ultima volta la voce del marito.

Erano le 21.16 come avrebbero in seguito accertato gli investigatori della Squadra Mobile di Messina dall’analisi del tabulato di traffico del cellulare della vittima.

Il colpo di fucile, oltre a spezzare la vita del medico, provocò un movimento scomposto del corpo della vittima che causò l’avvio dell’auto che, a bassissima velocità, percorse un centinaio di metri andando a sbattere nel marciapiede, lato sinistro, della Via Nuova Panoramica dello Stretto, proprio dinanzi ad una videoteca all’epoca esistente.

Evidentemente, il povero professore aveva i piedi posti sull’acceleratore e sulla frizione dell’auto e l’innaturale movimento causò la mancata pressione sulla frizione, determinando l’avvio dell’auto.

L’edicola, posta proprio a qualche metro dal luogo dello sparo, era purtroppo già chiusa da alcuni minuti, così come il distributore di benzina ivi adiacente e nessuna testimonianza utile fu così ottenuta dai titolari.

La testimonianza del proprietario della videoteca e di alcuni avventori consentì di apprendere che, effettivamente, era stato esploso un solo colpo di fucile, mentre una preziosa testimonianza, raccolta dopo non poche peripezie, ci riferì che, dopo l’esplosione del colpo di fucile, un’utilitaria scura era stata raggiunta dai due giovani appiedati e poi era fuggita ad alta velocità dal luogo del delitto con direzione mare, verso il Viale della Libertà.

Il vostro parlare sia sì sì, no no il di più viene dal maligno

Venticinque anni dopo, nessuno parla più del delitto. Se chiedi ai giovani o non sanno niente, o non ricordano niente: i loro genitori non ne hanno mai parlato. Ma figuriamoci. Eppure, il professor Matteo Bottari, era un professionista molto noto e preparato; Primario di Endoscopia all’Università di Messina. Ma da queste parti guardiamo il dito anziché la luna.

Si tende a non vedere problemi annosi, perché sarebbe difficile spiegare come mai non vengano affrontati se solo ci fosse la percezione della loro pericolosità. Insomma, abbiamo l’impressione che se ne parli in teoria ma che non si cali nella pratica questa pericolosità devastante per la sopravvivenza. Prendiamo per esempio i tanti casi di tangenti nella pubblica amministrazione e nella Sanità. La corruzione è nota solo a corrotti, corruttori e intermediari, non viene quasi mai denunciata, di solito si scopre per caso indagando su altro. E se poi parliamo di mafia è anche peggio. Diciamo mafia perché di mafia è intrisa purtroppo la storia di questo brutale delitto e di mafia sono saturi gli intrecci che hanno distratto, ingannato, demotivato e qualche volta abbagliato, come in una rivelazione di fuggevole verità, la morte del professore Bottari.

L’educazione è fondamentale ma ha tempi lunghi

Ragazzi nati nel 1998, ricordatevi questo nome: Matteo Bottari. Epperò: che colpa hanno i ragazzi se i loro padri sono stati distratti? Non gli hanno raccontato le storie, le favole dei bambini (non avevano tempo), figuriamoci se gli raccontano la Storia di questa città, adesso che sono grandicelli. Troppo facile così far finta di nulla.