
di Andrea Filloramo
“Quella del Ponte sullo Stretto è un’idea che sempre ritorna, che promette di unire e invece divide. Di questa idea Matteo Salvini ha fatto la sua crociata personale, un’opera-simbolo che lui presume di consegnare alla storia ma che, nel frattempo, serve solo alla sua campagna elettorale permanente”.
E’ questa una fra le riflessioni fatte da lettori di IMG Press, a commento dei miei recenti articoli sul Ponte dello Stretto di Messina, nei quali alcuni hanno apprezzato la chiarezza dell’analisi della non fattibilità del progetto “Ponte sullo Stretto”, altri l’hanno criticato, altri, infine, hanno notato un mancato esame degli aspetti economici, che in realtà sono stati soltanto sfiorati.
Tutti, però, chiedono indirettamente ai tecnici della materia, maggiori informazioni sulla sicurezza dell’ipotetico Ponte, sui costi dell’impresa, sulla sua sostenibilità, sui posti di lavoro promessi, sui controlli.
Su questi dati più volte è intervenuto Salvini, ma – come si legge nella riflessione menzionata “il ministro non è sempre credibile, in quanto la sua comunicazione è ritenuta fortemente tattica e adattiva, più orientata al consenso immediato che alla coerenza”.
Alle domande poste cerchiamo di dare, tuttavia delle risposte e iniziamo dalla sicurezza.
Essa non è solo un problema ingegneristico, ma è una sfida complessa che richiede soluzioni integrate tra ingegneria, monitoraggio sismico, sistemi antisismici avanzati, sicurezza pubblica e protezione ambientale.
A tal proposito gli ingegneri dell’ISPRA ricordano che proprio sotto le torri dell’ipotetico ponte scorrono faglie attive. Non è questo un dettaglio da poco in un’area che ha già conosciuto i terremoti più devastanti della storia moderna italiana.
Il progetto rivisto nel 2024 prevede una campata di 3,3 chilometri, record mondiale, ma anche record di rischio: oscillazioni, manutenzione, costi, tutto cresce in proporzione alla lunghezza.
Finché non saranno pubblicati i calcoli aggiornati, la sicurezza resterà più una promessa che un dato tecnico.
Ogni metro in più diventa una sfida ingegneristica che richiede trasparenza, dati verificabili e non solo annunci politici. Senza numeri chiari, il ponte rimane sospeso non solo tra le due sponde, ma anche tra realtà e retorica.
Ricordiamo che I primi studi sul ponte risalgono a decenni fa. Da allora, sono cambiate le normative antisismiche, le tecnologie dei materiali e le conoscenze sui venti dello Stretto. Calcoli obsoleti potrebbero sottostimare rischi o costi, quindi aggiornare i dati è fondamentale. Dichiarare che il ponte sarà sicuro senza numeri aggiornati significa fare una promessa politica, non un’affermazione tecnica verificata. I calcoli aggiornati danno trasparenza: chi legge può capire quali rischi esistono e come vengono affrontati.
Per quanto riguarda i costi, Salvini ama dire che il Ponte «non costerà un euro ai cittadini» ma il piano finanziario approvato dal MIT dice altro: su 13,5 miliardi di spesa, oltre nove sono pubblici. Il resto dovrebbe arrivare da privati — che, per ora, restano sul generico. Anche qui l’equazione è chiara: il peso economico del progetto ricade soprattutto sulla collettività, mentre i benefici restano ancora tutti da dimostrare. È questa la parte meno visibile del ponte — quella che non si costruisce in acciaio, ma in bilanci e responsabilità politiche.
Secondo la Corte dei Conti, i pedaggi non basteranno a coprire nemmeno il 20% dei costi nel lungo periodo. Un’operazione che rischia di somigliare più a un debito travestito da impresa patriottica che a un investimento sostenibile.
I problemi più grossi sono quelli ambientali.
“Ponte green”, così definisce il ponte Salvini. E’ questa un’espressione che suona bene, ma che solleva più domande che certezze. L’impatto ambientale di un’opera di tali dimensioni non si misura solo nei materiali o nelle emissioni promesse, ma nei cantieri, nei trasporti, nel consumo di energia e territorio che comporta.
Chiamarlo “green” serve a renderlo più accettabile, a spostarlo dal terreno della critica tecnica a quello della narrazione politica: un ponte non solo tra due sponde, ma tra consenso e immaginario.
Già il Ministero dell’Ambiente ha espresso riserve pesanti: la Valutazione d’Incidenza Ambientale (Vinca) è negativa, perché l’opera taglia in due aree di tutela europea e potrebbe compromettere gli ecosistemi marini. Gli ambientalisti calcolano che le emissioni evitate dal traffico marittimo verrebbero più che compensate dai cantieri e dalle opere connesse. La sostenibilità, al momento, perciò, appare più una categoria retorica che ecologica.
Che dire dei posti di lavoro promessi? Il ministro parla di “100 mila posti di lavoro”, ma la Banca d’Italia e Unioncamere ridimensionano: 15-20 mila addetti temporanei al massimo, e un effetto duraturo prossimo allo zero.
Concludiamo con i controlli.
Sul fronte legale, Salvini promette controlli “ferrei come per il Ponte Morandi” di Genova. Peccato che il decreto Ponte Sicuro preveda deroghe all’ANAC e procedure accelerate per gli appalti. Una corsia preferenziale che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe velocizzare i lavori, ma che di fatto riduce la trasparenza e i margini di vigilanza.
Le prefetture chiedono chiarimenti, le procure osservano, i comitati denunciano: il rischio è che, nel nome della rapidità, si indebolisca proprio quella sicurezza amministrativa che il ministro invoca come garanzia. Fine moduloMentre il ministro rivendica efficienza, cresce il sospetto che l’urgenza serva più a vincere l’attesa politica che quella infrastrutturale.
Concludendo. il Ponte sullo Stretto è, prima di tutto, un racconto
progresso e orgoglio nazionale che, come molti racconti italiani, inciampa nella burocrazia, nella geologia e nella matematica. Salvini lo brandisce come un vessillo di modernità; i suoi critici, invece come l’ennesima illusione di cemento.
Forse hanno ragione entrambi: perché, in fondo, l’Italia vive di simboli che costruisce lentamente — e demolisce con facilità. Il Ponte non unisce ancora Calabria e Sicilia, ma tiene ben salde due Italie: quella che crede ai progetti monumentali e quella che, di fronte a ogni promessa, chiede prima i conti e poi i ponti.