L’INTERVENTO: IL TEMPO DELLA CITTÀ E L’ORA DELLA COMUNITÀ

Intervengo nel vivo del dibattito sulle Isole Pedonali a Messina.

Mi piacciono le isole pedonali. Non siano opzione ideologica né spot propagandistico.

Credo che il percorso della Giunta e del Consiglio sia corretto ma non esaustivo.

Mi sembra serio un approccio al tema connesso al Piano Urbano del Traffico, della Mobilità sostenibile e dei Parcheggi di interscambio. Mi sembra, altresì, matura una riflessione  non intesa a perimetrare l’interdizione veicolare ma a concepire spazi curati, riqualificati e animati.

Andare oltre una mera pedonalizzazione è uno dei maggiori strumenti per creare identità culturale (etica ed estetica) e diversificare l’offerta e l’appeal della città. È un modo, peraltro, per scommettere con serietà sulla bellezza di Messina. Ne beneficeranno anche e soprattutto i commercianti. Con quest’ultimi, che non sono ultimi, bisogna sapere dialogare. Bisogna tutti fare sistema e bisogna ragionare in termini di sistema urbano integrato. D’altronde il processo decisionale non potrà che essere partecipato anche in ottica di equità tra zone, ambiti, quartieri che rivendicano nuove centralità, resilienza e sicurezza … in sintesi prossimità.

Tuttavia, vi è una cornice anzi uno sfondo a cui – mi pare – non si accenni se non larvatamente. 

Si tratta del “Piano dei tempi e degli orari della città”, strumento contemplato normativamente come obbligo, che contribuisce ad offrire senso ad ogni condivisa scelta strategica, volàno di crescita e solidarietà. Il tempo va concepito sempre più come risorsa piuttosto che come vincolo o limite.

Di cosa stiamo parlando?

L’amministrazione pubblica, comunale e regionale, può e deve essere parte attiva per consentire una più equilibrata fruizione del tempo personale e comunitario.

Stiamo parlando di azioni mirate sia a migliorare la qualità della vita dei cittadini e la qualità dell’urbe sia a conciliare tempi personali e familiari, tempi di lavoro e tempi per un miglior uso degli spazi della città. Azioni che ottimizzino nella connessione reti e maglie di collegamento, topos di incontri di presenza e da remoto, c.d. “banche del tempo”, competenze digitali e tecnologiche, impiego dell’inevitabile  crescente tempo libero (per svago, sport, gioco, curiosità intellettuale, ricerca introspettiva e parola da spendere civilmente e civicamente).

Le “isole” non devono essere temute come luoghi di isolamento. Esattamente il contrario. Esattamente il contrario dell’imbarazzante messaggio del “resto a casa” di recente memoria che ha prodotto “l’immagine di città vuote, immobili e silenziose, in cui il tempo si è fermato e ha fermato la vita stessa” ampliandosi nella latitudine delle mura domestiche ogni senso di solitudine e desolazione e facilitandosi all’esterno il “campo di battaglia” e/o “l’ospedale da campo”.

Occorre, insomma, darsi ritmi nuovi. Ritmi che non abbiano come conseguenza espulsioni o repulsioni. Ritmi che non producano come effetto convulsioni e frenesie girando l’angolo. Ritmi che non escludano pezzi di città. 

Ritmi nuovi di inclusione e accoglienza per i cittadini, gli ospiti, i turisti. 

Questi ritmi richiedono passi da sperimentare ma non da improvvisare. Il passo falso ci sta ma il passo nel vuoto ideale, concettuale, progettuale … no.

 

Emilio Fragale