L’ESTINZIONE DI UN POPOLO SENZA FIGLI, SENZA LAVORO, SENZA FUTURO

Siamo di fronte a una prospettiva apocalittica: l’estinzione degli italiani, la loro sparizione dalla storia a causa di un crollo demografico che sta diventando irrimediabile”. Sono parole che Antonio Socci ha scritto qualche anno prima che scoppiasse la pandemia del virus maledetto che probabilmente ha aggravato la prospettiva apocalittica, che per la verità non è il solo a prospettare. Dell’inverno demografico, sembra che si siano accorti anche i politici, che forse non “fischiettano più con noncuranza”.

 

Tuttavia ancora la politica italiana non riesce ad affrontare la questione. Del resto è troppo distratta da mille altre faccende. Il tema è affrontato da Socci in un testo che ho appena letto, “Traditi sottomessi invasi”. Sottotitolo: “L’estinzione di un popolo senza figli, senza lavoro, senza futuro”, (Rizzoli, 2018). Devo una precisazione non richiesta, per quanto riguarda l’autore di cui ero un ammiratore. Da tempo non lo leggevo, da quando il giornalista senese si era intestardito nella feroce critica, peraltro ingenerosa, di Papa Francesco. Ora che coraggiosamente e intelligentemente ha rinunciato alla contestazione del Pontefice, ho ripreso a leggerlo, anche se può capitare di non trovarmi in sintonia con le sue tesi. Naturalmente di questo libro non prendo in considerazione quella parte (“Un papa contro l’Italia”) dove si scaglia contro il Papa. 

Sono condivisibili però tutte le altre parti del volume, a cominciare dalla prima, dove Socci offre una sintesi della nostra Storia. Socci non fa sconti quando scrive: “il popolo italiano da secoli è stato tradito dalle sue élite, è stato umiliato, svenduto e sottomesso agli stranieri”. Anche di recente il nostro bel Paese è stato spolpato; grandi e medie potenze hanno scorrazzato e spadroneggiano indisturbate, trattandoci come sudditi. Naturalmente Socci rileva una mancanza di fiducia degli italiani nei partiti e quindi nei politici. Del resto si è visto nelle ultime elezioni amministrative e chissà quello che accadrà a breve con quelle nazionali.

Lo scenario rappresentato da Socci è abbastanza desolante, siamo diventati il Paese più vecchio del mondo con una natalità che è sprofondata. E’ questa la pandemia che dovrebbe preoccupare. I nostri leader non si rendono conto del pericolo imminente sul nostro Paese. “Saremo sostituiti da altri popoli (con altri costumi, altre leggi e altre religioni) che già stanno arrivando copiosamente fra noi. E non si tratterà solo di vedere il Kebab che rimpiazza la bistecca alla fiorentina e il muezzin dal minareto che sostituisce le campane”.

Socci è convinto del resto riferendosi alla nostra storia secolare che il nostro Paese, ma tutta l’Europa, sta “dilapidando gli ultimi spiccioli di una storia che aveva illuminato l’umanità per secoli”. La civiltà occidentale che ha dato forma ad un mondo è partita dall’Italia. “Un mondo senza italiani? Che orrore”, scrive il politologo americano Ben Wattembergh.  Del resto, i “vuoti”, prima o poi si riempiono, ripeteva Giovanni Cantoni, già negli anni ‘90, ai Ritiri di Alleanza Cattolica. Infatti sta succedendo proprio questo. “Nel 2050, il 60 per cento degli italiani non avrà più fratelli né sorelle, né cugini, né zii, o zie. La grande famiglia italiana se ne andrà per sempre, sparendo come i dinosauri”. Commenta Mark Steyn, un politico canadese. Ci sarà una specie di genocidio’ culturale e spirituale che preluderà alla vera e propria estinzione degli italiani”. Di questo passo, secondo un demografo australiano, l’Italia entro la fine di questo secolo perderà l’86 per cento della sua popolazione.

Anche Pier Paolo Pasolini definiva nel 1975, il nostro pesantissimo stravolgimento antropologico, come un genocidio culturale […] uno sconvolgimento sprituale, morale e culturale di enormi dimensioni. Un terremoto sociale senza precedenti. Socci rileva che Pasolini fu in quegli anni tra i pochi a intuire quello che stava avvenendo: “lo sradicamento dell’anima millenaria di un popolo nell’arco di pochissimi anni”

In pratica, “si è annichilita la forza vitale della civiltà contadina che risiedeva nella famiglia, nella fede cristiana e nelle culture popolari, strappando tutte le radici spirituali, soffocando le energie morali, tramite un fiume tossico composto dall’abbandono delle campagne e dall’inurbamento industriale, ma anche dall’irruzione del comunismo nelle classi popolari e specialmente dall’ondata di fanatismo ideologico marxista abbattutasi negli anni Settanta, con la ‘rivoluzione sessuale’ e la laicizzazione borghese dei costumi”. Non si poteva descrivere meglio quello che è successo con la rivoluzione sessantottina.

L’Italia è sprofondata nel nichilismo più assoluto, che ha portato al rifiuto di procreare figli perchè impongono responsabilità e costringono a rinunciare a qualche comodità. Si tratta di una malattia spirituale, è la pandemia di cui parla ogni giorno dalla sua Radio Maria padre Livio Fanzaga

In un’intervista degli anni Novanta don Luigi Giussani diceva: “A tutte queste generazioni di uomini non è stato proposto niente. Eccetto una cosa: l’apprensione utilitaristica dei padri […] Il dio denaro o una sicurezza di vita agiata, di vita senza rischi. E fatta solamente di cose, senza rischio alcuno […]”. Tutto questo è stato favorito da un potere che spadroneggia, da un potere che è nemico del popolo, che odia il popolo.

Il cardinale Giacomo Biffi diceva: “da troppi anni nelle nostre regioni le nascite sono state scoraggiate con tutti i mezzi e con tutti i terrorismi ideologici fino a quasi colpevolizzare quei coniugi che mostravano di non arrendersi a questa specie di dittatura culturale”.

Allo spopalamento del Paese, ha contribuito l’aborto di massa che ha avuto un impatto profondo negli ultimi quarant’anni sul crollo degli indici di fertilità, sostiene Giulio Meotti. A monte del crollo demografico certamente, c’è un disastro spirituale e religioso. Sostanzialmente, “prima l’Europa ha rinnegato la sua fede cristiana e la sua storia, quindi ha perso la sua anima, quindi ha rifiutato di accogliere figli”.

E’ tutta da leggere la Prima Parte del libro (“Un popolo grande, tradito e sottomesso agli stranieri”) Per chi legge si tratta di una buona dose rivitalizzante di memoria storica. Anche perchè come afferma Roger Scruton, “Il primo obiettivo di ogni totalitarismo è annientare la memoria”.

 

Qui Socci fa esplicito riferimento alla Patria, alla Nazione, da non confondere con il nazionalismo. Perché proprio per capire il senso di questo libro, “l’appartenere a un’identità nazionale, alla storia millenaria della propria gente, per un cristiano – come ci ha testimoniato Giovanni Paolo II – è agli antipodi delle ideologie nazionaliste (e ancor più della xenofobia e del razzismo). Anzi, un vero amore cristiano alla patria è inscindibile da un sentimento di autentica fratellanza verso tutte le nazioni, specie le più povere e oppresse; dobbiamo aiutare quei popoli a raggiungere la prosperità e la libertà nella propria terra, senza che siano costretti a sradicarsi e sottoporsi a tragici esodi”.

Siamo figli di quei popoli antichi. Siamo figli di Roma, nonostante la complessità dell’origine dei primi popoli italici. La nostra non è una presunta identità, come la definisce qualcuno. Socci compie un affascinante viaggio nella storia d’Italia a partire dagli Etruschi. Cita diversi eminenti storici, i poeti, i tanti geni straordinari che hanno illuminato il mondo in tutti i campi del sapere, della vita e dell’arte. I grandi santi che hanno trasformato la società.

Anche Socci si chiede il perché è crollato, imploso l’Impero Romano d’Occidente, merita di essere raccontato secondo Socci, perchè presenta analogie fortissime con quello che accade ai giorni nostri ed è molto istruttivo.

E’ particolare la causa indicata dallo scrittore toscano. “La catastrofe arrivò a causa di un evento particolare: una migrazione di massa per ‘motivi umanitari’, come diremmo oggi”.

Socci riporta un episodio accaduto nell’area balcanica intorno al 376 d.C. quando l’imperatore Valente acconsentì che i Goti attraversassero il fiume Danubio insieme alle loro famiglie, in fuga dalla guerra. Poi queste popolazioni si rivoltarono contro i Romani e nella battaglia di Adrianopoli le truppe romane furono sbaragliate e lo stesso imperatore Valente fu ucciso. Fu una svolta storica che sicuramente sarà ben raccontata nel testo che dovrò leggere di Michel De Jaeghere, “Gli ultimi giorni dell’Impero Romano”  (Leg Edizioni, 2016).

In conclusione vorrei segnalare qualche passaggio curioso come la “postilla” che riguarda Shakespeare, che secondo Socci non sarebbe per niente inglese ma italiano. E dagli approfondimenti che presenta nel libro pare convincere il lettori di questa tesi. 

Infine un ultimo riferimento alla questione molto attuale dei profughi, (“Quando i profughi erano anticomunisti e italiani”). Qui Socci è fortemente polemico nei confronti della nostra Sinistra, colta da un curioso slancio politico umanitario nei confronti dei tanti uomini e donne che stanno arrivando dal sud del pianeta. Non si ricorda lo stesso slancio umanitario verso i cosiddetti “boat people” vietnamiti e cambogiani che scappavano dal “paradiso comunista” fra il 1975 e il 1980. “La sinistra italiana per anni aveva manifestato nelle piazze in favore dei vietcong e di tutta la guerriglia comunista indocinese. Quando costoro trionfarono in Vietnam e in Cambogia, imponendo la loro disumana tirannia, centinaia di migliaia di disperati scappano dai ‘liberatori’ comunisti […]”. Allora i migranti non erano economici, come gran parte di quelli di oggi, erano profughi che fuggivano da dittature spietate e sanguinarie. Peraltro non erano neanche tanti. Ma questo non bastò per attirare la simpatia della sinistra, che avrebbe dovuto fare un’autocritica spietata e devastante.

Socci racconta un altro episodio ancora più grave, che documenta l’atteggiamento della sinistra comunista nei confronti dei profughi. Si tratta degli esuli italiani del Quarnaro e della Dalmazia, di Zara, Pola e Fiume. Qui il comunismo del maresciallo Tito, ha eliminato ogni traccia di italianità. Dapprima con le foibe, massacrando migliaia di italiani e poi costringendo 350 mila a lasciare quei territori italiani per secoli. Una storia per troppo tempo nascosta e silenziata dalla storia ufficiale. Soltanto negli anni Novanta si iniziò a raccontarla. Socci descrive un episodio increscioso, squallido a pagina 273, si descrive come hanno accolto i 700 esuli del piroscafo “Toscana” a Venezia, Ancona e infine nella stazione di Bologna, proprio il 18 febbraio 1947, venivano considerati “fascisti” che non meritavano nessuna accoglienza, nessuna solidarietà…la Caritas non poté aiutare queste famiglie, gli fu impedito tra sputi e insulti dai comunisti…a Bologna il “treno dei fascisti” fu costretto a proseguire…e il latte caldo per i bambini fu versato sui binari…I comunisti italiani di Togliatti e compagni NON potevano accettare che questi italiani avessero rifiutato il paradiso proletario del compagno TITO….

DOMENICO BONVEGNA

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