La scomparsa di Franco Marini: aprì l’edizione 2006 del Meeting

È scomparso, stroncato dal Covid, Franco Marini, segretario generale della Cisl, difensore dei diritti dei lavoratori, dal 2006 al 2008 presidente del Senato. Proprio in questa veste aprì l’edizione 2006 del Meeting di Rimini, domenica 20 agosto, assieme a Fiorenzo Stolfi, allora segretario di Stato agli Affari Esteri della Repubblica di San Marino, e a Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà.

Fu un incontro che molti ricordano, perché per lunghi tratti Marini parlò a braccio, quasi confessandosi davanti ai giovani accorsi a migliaia nell’auditorium della nuova fiera. Confessione di fede, anzitutto: «Chi crede ha un sentimento della presenza di Dio e ha, soprattutto, una speranza di incontrarlo. La speranza di incontrare Dio si traduce, poi, nella nostra vita concreta, io penso, in un impegno di ricerca continua. La ricerca è, allora, secondo me, la chiave di relazione tra infinito e ragione. È la ricerca, la chiave». Con queste parole Marini riprendeva il tema del Meeting di quell’anno, “La ragione è esigenza di infinito e culmina nel sospiro e nel presentimento che questo infinito si manifesti”. «La ricerca di infinito entra nella vita di tutti i giorni, nel concreto delle cose che abbiamo di fronte», aggiungeva, ancorando il suo ragionamento alla concretezza del quotidiano. «Il cristiano ricerca Dio nella vita quotidiana, nella dimensione umana, anche in quella civile e politica. Infinito ed eternità si alimentano dentro di noi, ogni giorno. Non in una astratta proiezione futura, lontana dalla realtà».

«Mi avete un po’ costretto a darvi conto di quello che sento», aggiunse poi, parlando a braccio, «avete dato a questi vostri incontri, nel corso degli anni, un bisogno di sincerità, che non è usuale nei rapporti sociali e politici. La bellezza del Meeting è proprio in questa sfida di stare con voi, di incontrarvi, con semplicità e concretezza. Trovandoci così, insieme, rafforziamo la nostra comunità. Una comunità che, anche se non si manifesta nella quotidianità della vita, tocca certamente molti dei comuni ideali nostri più profondi».

Marini ricordò poi il clima sociale degli anni Settanta, in cui i giovani cattolici avevano subito aggressioni in varie università, paragonandoli alle nuove sfide dell’Italia del 2006. «I tempi che viviamo, se ci pensiamo bene», aggiunse, «sono nuovamente difficili, anche se il tema oggi è diverso, molto diverso: siamo, infatti, di fronte a una spinta, per alcuni versi a volte incontenibile, verso la frammentazione soggettiva, verso l’esasperazione individualistica. Oggi, gli stessi interessi economici e sociali si sono disgregati e parcellizzati. La politica fa molta fatica a ricostruire nuove sintesi, perfino la Chiesa talvolta appare in affanno di fronte alle imprevedibili sfide della contemporaneità. Abbiamo tutti visto le enormi difficoltà, trasversali ad entrambi gli schieramenti politici, di delineare i primi interventi di liberalizzazione e riordino delle attività e delle prestazioni di alcune non ampie, ma significative, categorie produttive. La ricerca dell’interesse generale talvolta sembra cedere il passo alla tutela di quelli particolari, settoriali e corporativi. Una frammentazione, che è, ormai, anche individuale e individualistica». Uno scenario nuovo in cui «noi cattolici rischiamo la dispersione e l’irrilevanza culturale. Questa difficoltà, questa dispersione anche della nostra azione, per me viene prima ed è più rilevante delle stesse difficoltà dell’agire in politica».

L’allora presidente del Senato passò poi a suggerire “tre punti di lavoro”, i temi bioetici, l’integrazione degli immigrati («il cui apporto, lo voglio dire con chiarezza, è essenziale per la vita organizzata e per la nostra economia»), il mondo della formazione e della scuola, invitando ad affrontarli con la chiave di lettura della Dottrina sociale cattolica. «Penso che se saremmo capaci di forme intelligenti di collaborazione su questi temi fondamentali, potremo avere risultati che più si avvicinano alle nostre idee e alla nostra storia. Lo straordinario patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa è, infatti, il contributo più vivo e vitale che la storia del Novecento consegna ai cristiani e a tutta l’umanità. Un contributo che il grande Papa polacco ha rafforzato ed aggiornato raccogliendo attenzioni straordinarie in ogni parte del mondo».

Parlò infine di federalismo, di confronto tra schieramenti politici («competizione sì, ma guerra, contrapposizione frontale fra i due schieramenti, no»), aggiungendo che «la delegittimazione reciproca e lo scontro fine a se stesso fra gli schieramenti possono paralizzare le nostre istituzioni e mortificare la nostra vitalità sociale».

Conclusione, in piena sintonia con il Meeting, sul tema del dialogo. «I cristiani», disse citando Enzo Bianchi, «non dialogano perché afflitti e contagiati dal relativismo trionfante, ma perché il dialogo fa parte del loro statuto costitutivo». «Il dialogo è il rispetto dell’altro», fu la conclusione. «Dialogare non vuol dire abbassare la soglie delle nostre aspettative etiche e civili. Vuol dire, piuttosto, accettare le sfide concrete, a volte anche aspre, e l’impegno di realizzarle».