La nota dolente: L’“incarnazione” del Bene Comune

Messina – Montesquieu riteneva che i giudici dovessero essere “la bocca della legge”: questa circostanza era l’antidoto alla pericolosissima unificazione del potere in un unicum mostruoso che il barone di La Bréde identificava in alcuni assolutismi della mittle Europa del XVII secolo. Il totalitarismo, però, è un’evoluzione dell’assolutismo, a tratti illuminato, di quei tempi.

Il sovrano assolutista era tale per diritto divino, le istituzioni dello Stato totalitario, invece, la cui origine non ha nulla di divino, sono, per dogma altrettanto inappellabile, incarnazioni del bene comune. E così diventano incarnazioni del bene comune i parlamentari, i giudici ed anche tutti gli impiegati dell’elefantiaco apparato Statale: assistenti sociali, insegnanti, psicologi etc.

Chi ha il crisma del leviatano può decidere del bene comune non solo degli adulti, ma anche e soprattutto dei minori. I casi di alienazione parentale fioccano: il monstrum s’insinua nelle pieghe della misera conflittualità umana per “ghermire” le sue prede. E tutto ciò nel “bene” del minore che in uno Stato siffatto coincide con ciò che la classe politica di quel momento ha deciso che possa dirsi “bene”.

Questo accade perché le leggi essendo di stampo totalitario, producono pronunce giudiziali che sono la diretta espressione del Leviatano. I giudici fanno il proprio lavoro, se la legge li autorizza a farsi incarnazione del bene comune, loro si calano in pieno e senza remore in questo ruolo. Gli psicologi fanno il proprio lavoro, da un mese non hanno più bisogno del consenso informato per indagare sui minori, possono (devono) rivolgersi al giudice per ottenere l’autorizzazione a procedere a quello che è un TSO e lo fanno perché è per il “bene” del malcapitato. In tutto questo modo di procedere sussiste un vulnus essenziale: la certezza dogmatica e “religiosa” che il bene di un essere umano sia oggettivamente identificabile e non coincida praticamente mai con il libero arbitrio della persona o dei genitori del minore nel caso specifico.

Pertanto ci capita di vedere solerti incarnazioni del bene comune, pronte ad indagare sugli sviamenti che i genitori dissenzienti dimostrano rispetto alle indicazioni del Leviatano, esclusivamente nel “bene” del minore. Così non sottoscrivere il consenso che continuamente il totalitarismo chiede (in questo distinguendosi dalle dittature), costituisce un atto di natura sovversiva. Così l’agnello ammantato di buone intenzioni che parla attraverso la bocca di solerti impiegati statali che di minori si occupano, diventa un lupo.

E il problema non sta in questa o in quella assistente sociale, non sta in questa o in quella casa famiglia, non sta in questo o in quell’insegnante, non sta nelle persone, ma nel consenso che queste ultime danno alla Struttura, nel loro continuo assicurare alla Struttura un consenso che la stessa non merita. Se tutti smettessimo di acconsentire per quieto vivere, il gigante crollerebbe. Non ha la forza di derivazione “divina” degli assolutismi del XVII e del XVII secolo, nasce dal meccanicismo, nasce dalla nostra volontà di delegare per tirare a campare in questa precaria esistenza da criceti che ci hanno assicurato. “Non avrete nulla e sarete felici”, “Non avrete neanche il potere di gestire i vostri figli (che oltre a non essere dello Stato, non sono  neanche esattamente di vostra proprietà, ma esseri liberi al par vostro), ma sarete felici”. Proporre ai genitori “percorsi di recupero delle competenze genitoriali” è roba da totalitarismo, togliere il consenso a questo mostro, prima che ingoi noi ed i nostri figli è l’unico atto possibile.

Democrazia sovrana e popolare