Il vescovo Ambarus sul degrado di Roma: si rischia la giungla urbana

Intervista all’ausiliare della città dove, ai corto circuiti ricorrenti che mandano in tilt la pulizia delle strade, si sono aggiunti i roghi delle ultime settimane che hanno peggiorato un decoro compromesso da tempo. C’è una corrosione delle relazioni umane – denuncia il presule – che auspica, anche in vista del Giubileo, scelte istituzionali capaci di visione di futuro e un sussulto di dignità…

Antonella Palermo – Città del Vaticano 

La capitale d’Italia vive una situazione di degrado generalizzato. Messa in ginocchio soprattutto sotto il profilo della raccolta dei rifiuti, di fatto paralizzata anche a seguito dell’incendio della discarica di Malagrotta, si presenta ovunque come un malato boccheggiante e rispetto alla sua sorte si coglie diffuso un senso di fatalismo e rassegnazione tra gli abitanti. Ne abbiamo parlato con monsignor Benoni Ambarus, già direttore della Caritas diocesana, vescovo ausiliare di Roma.

Ascolta l’intervista con monsignor Ambarus

Roma è in uno stato di degrado ambientale cronico di cui in queste settimane documentiamo diverse criticità. Lei come vive questa situazione? In una nazione annoverata tra le più avanzate nel mondo, di cui Roma è capitale, la cura per la Casa comune non dovrebbe esserne specchio? Cosa non funziona?

Io parlerei innanzitutto di degrado umano. Quel primissimo livello [di convivenza, ndr] è ormai intaccato, corroso. C’è un degrado umano, una corrosione del livello umano e delle relazioni, della capacità di rendersi conto dell’altro e che si vede declinato nel degrado ambientale, in quello relativo al rispetto dei beni comuni, all’assumersi le proprie responsabilità e così via. E’ molto preoccupante. E il degrado ambientale – contro cui dovrebbe lottare assolutamente l’amministrazione, tutte le amministrazioni, tutte le istituzioni – a volte rischia di diventare un alibi per il singolo cittadino per il quale c’è sempre qualcun altro che deve fare qualcosa. In una metropoli come Roma – non è peraltro la più grande nel mondo – questo aspetto del ‘qualcuno deve fare qualcosa ma di sicuro non sono io’ poi si riflette nella nostra quotidianità. E’ un meccanismo a cui ci stiamo un poco abituando, siamo quasi anestetizzati, ecco.

Ma quali sono le ragioni di questo degrado, come ci siamo arrivati?

Vede, quando io devo lottare per la mia sopravvivenza personale, dentro il traffico a guadagnare un centimetro in più, dentro i mezzi pubblici per poter prendere la corsa perché quella successiva mi arriva tra mezz’ora o un’ora, quando devo lottare per la spesa al supermercato per le offerte più vantaggiose altrimenti non riesco a far quadrare i conti, lentamente c’è un’auto-concentrazione su di sé a discapito del concentrarsi sull’altro. E’ questa la reazione all’interno della nostra città. Uno sarebbe portato a pensare: ma non è possibile, altrimenti dovremmo ipotizzare che in una metropoli di un Paese povero questo accade all’ennesima potenza. Ciò invece è vero fino a un certo punto. A me sembra che accada questo: ho già troppe cose a cui pensare e da fare, il resto lo deve fare qualcun altro. Forse se non ci si rende tutti quanti conto di questa impostazione che sta iniziando ad avere il nostro tessuto relazionale urbano, arriveremo sempre di più ad una vera e propria giungla urbana.

Vorrei tornare su quella parola ‘corrosione’ che ha usato…

Bisogna fare una netta distinzione tra un tessuto sociale indebolito – relazionale, di senso civico, di senso del bene comune e che io chiamo ‘corrosione’ – e la questione della corruzione dove intenzionalmente uno decide di fare il male o di stare nell’illegalità per il proprio guadagno a discapito della collettività, a livelli di investimenti, di affari etc. Il tessuto della popolazione romana, più che corrotto, è corroso. Lo vediamo quanto i romani veramente fanno un corso di sopravvivenza quotidiana!  Accade nelle lunghe code presso gli uffici pubblici, per esempio. Io capisco che è complesso riorganizzare tutto ma va fatto tutto, altrimenti, ripeto, andiamo ad intaccare ancora di più l’aspetto più sano e più bello del popolo romano: la sensibilità, l’accoglienza, la resilienza. Io penso che ai romani dovrebbe essere dato anche un premio perché arrivano alla fine della settimana senza avere ‘scapocciato’ troppo rispetto alla corsa a ostacoli che devono vivere su tutti i fronti. Bisogna che cominciamo tutti a parlare, a smascherare queste dinamiche e forse, lentamente, ce ne renderemo conto e cominceremo a fare una inversione di tendenza.

Roma celebrerà il Giubileo tra tre anni accogliendo pellegrini da tutto il mondo. Monsignor Fisichella, delegato del Papa per l’organizzazione dell’Anno Santo 2025, ha auspicato che si arrivi a quella data sfruttando questi due anni anche per rendere Roma e l’Italia migliori. Cosa prevede?

Per esempio se l’amministrazione non troverà una soluzione davvero risolutiva alla questione dei rifiuti, ma come potremo arrivarci ‘migliori’? Io spero che l’attuale tentativo del sindaco – che mi sembra abbia fatto delle proposte ultimamente – possa anche andare in porto. Mi sembra che siano stati fatti tutti gli studi necessari per trovare una soluzione che sia attenta anche all’ambiente e così via. Sono d’accordo che dobbiamo arrivare ‘migliori’ al Giubileo tutti quanti, come popolo romano e come Chiesa di Roma, perché chi arriva qui, il pellegrino, va accolto da qualcuno che abbia un volto concreto. E parlando della città, essa sia una città concreta che accoglie. E allora bisogna ripartire dall’aspetto delle relazioni. A me piacerebbe che il popolo romano fosse lentamente preparato e aiutato a rendersi conto che ci vengono a fare visita in casa. E, quindi, se il cassonetto è pieno fino all’orlo è responsabilità dell’amministrazione, ma se il cassonetto non è ancora del tutto pieno e io lo butto per terra è responsabilità mia, per esempio. Giochiamo, insomma, quasi in una specie di danza, non semplicemente tra responsabilità o doveri, ma tra attenzioni gli uni verso gli altri, le istituzioni dalla loro parte e i cittadini dall’altra.

E invece siamo costretti a registrare un immobilismo pressoché generale… Che appello quindi si sente di fare?

Io spero, credo, chiedo che le istituzioni facciano uno scatto di dignità a fare delle scelte che sappiano di futuro, non di tornata elettorale. Che le istituzioni prendano in mano la situazione e abbiano una visione di futuro. Questo ci salverebbe e ci farebbe fare un notevole scatto in avanti. Con i veti incrociati mi sembra che cadiamo nel provincialismo, invece. E questo non è tollerabile per la politica. Dall’altra parte, i cittadini, se si rendono conto che le istituzioni ci credono sul serio, che si possono cambiare le cose, se capiscono che la musica è cambiata per davvero, si adeguano subito. Io vedo tanta gente buona, brava, in gamba che dice: ‘Tanto, qualsiasi cosa facciamo, è sempre la stessa minestra’. A volte l’indifferenza mi sembra anche una sorta di silenziosa forma di protesta da parte del popolo romano.

C’è anche tanto volontariato che si dà da fare e che però non può sostituirsi al compito delle istituzioni…

Vede, il fatto di sentire il bisogno di chiarire questo aspetto, che il volontariato è sussidiario e che sono le istituzioni ad avere il compito primario rispetto al bene comune, per me è grave. Perché vuol dire che stiamo perdendo i fondamentali, le basi. Eppure, purtroppo, oggi c’è bisogno di rimarcarlo con il rischio di sembrare presuntuosi (‘guarda io faccio tante cose, ma tocca a te…). Mi sembra grave doverlo ogni tanto sottolineare, insomma. Mi pare che all’interno dell’amministrazione piccoli passi avanti, da questo punto di vista, si stanno facendo. Bisogna anche riconoscere che, sebbene tanti dirigenti in gamba ci siano, cambiare come sistema diventa difficile. Certo, c’è bisogno di un sussulto di dignità, di sano orgoglio. Siamo la capitale d’Italia!

Ravvisa l’incremento di forme di odio sociale? Pensiamo ai senza tetto che, se da un lato vediamo alle prese talvolta con la pulizia di aiuole e marciapiedi, dall’altro sono spesso presi di mira, considerati catalizzatori essi stessi di degrado. Altre volte ancora, nell’indifferenza, finiscono cadaveri indistinti tra i rifiuti…  

Le persone non sono rifiuti. Quando la gente è trattata come rifiuto dagli altri ti fa capire che cosa significa veramente fare il rifiuto. Nel momento in cui mi tratti da rifiuto, dopo un po’ le persone ti fanno capire cosa significa. E’ questo il punto: dimentichiamo che non ci sono poveri e ricchi, ci sono persone.

 

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