IL PUNTO DI VISTA: L’OCCIDENTE NON COMPRENDE LA “BUONA BATTAGLIA” DI ISRAELE

Tra i tanti commenti che ci stanno inondando sulla fine della guerra tra Israele e Hamas, o almeno nell’inizio del processo di pace, conviene individuare quelli che descrivono un quadro più ampio per capire quello che sta succedendo. Ne individuo almeno due “Perché il 7 Ottobre l’Occidente ha perso” di Ernesto Galli della Loggia, apparso nelle pagine culturali de Il Corriere della Sera del 15 ottobre e quello di Ferdinando Adornato, “Il Novecento è finito a Sharm”, del 15 ottobre su Il Giornale.

Inizio con quest’ultimo. Da una parte abbiamo le manifestazioni di piazze e di mare, dall’altra il solenne storico accordo voluto da Donald Trump e firmato lunedì a Sharm el-Sheikh. Intorno a questi due eventi si è sviluppato un intenso dibattito, “una battaglia tra opposte mitologie: quale dei due avvenimenti ha suonato la sveglia al mondo per indurlo a voltare pagina”? Si domanda Adornato. Gran parte della sinistra intellettuale italiana, “è rimasta talmente affascinata dalle piazze pro Pal da interpretarle come un trasparente segnale della fine del Novecento”. Il risveglio di tanti ragazzi che in precedenza visti solo come schiavi passivi del cellulare, “ha fatto considerare la loro scesa in campo come lo spartiacque tra due secoli e due visioni del mondo: la pace contro la guerra, la vita contro la morte, l’umanità contro la barbarie.

Per Adornato è sempre positivo che i giovani sentano di doversi impegnare sulle sorti del mondo, magari ribellandosi. “Guai però a dimenticare che il Novecento è stato ripetutamente attraversato da tali ribellioni alcune delle quali, dagli anni Venti fino al mitico 1968, alle volte hanno finito per causare tragedie peggiori di quelle che contestavano”. Non dimentichiamo il fascismo, poi il nazionalsocialismo, il comunismo, un secolo dominato dalle ideologie, da faziose disumanità. “Allora: davvero le manifestazioni pro Pal hanno segnato una svolta? Certamente no”. Per rappresentare davvero “il trionfo della vita sulla morte i ragazzi di Gaza avrebbero dovuto scendere in piazza non solo contro le bombe di Israele: ma anche (e prima) contro l’inaudita carneficina di Hamas del 7 ottobre. Ma non l’hanno fatto”. Avrebbero dovuto scendere in piazza (e dovrebbero ancora) contro i crimini compiuti da Putin in Ucraina, dove la strage di civili e di bambini è più intensa di quella di Gaza. Ma non l’hanno fatto. E non lo faranno.

Avrebbero dovuto scendere in piazza contro i crimini commessi dagli islamisti contro i cristiani in Africa. Avrebbero dovuto farlo per la vita di ogni essere umano. Pertanto, si è ripetuto lo stesso cliché, il doppiopesismo partigiano del XX° secolo. Invece, “l’evento di Sharm el-Sheikh si è rivelato un assoluto inedito rispetto al Novecento”. In passato c’erano state altre significative occasioni di pace, da Oslo a Camp David. “Ma mai si era visto l’intero Occidente con le monarchie del Golfo, Egitto, Turchia, Pakistan siglare uniti (con la benedizione del Vaticano) un accordo di pace e una road map sul futuro del Medio Oriente”. Certo sappiamo che è un accordo che contempla diverse fasi abbastanza complicate, a cominciare da chi deve rappresentare i palestinesi, nella prospettiva di due popoli, due Stati.

Per quanto riguarda il servizio di Ernesto Galli della Loggia con la tregua tra Israele e Hamas, ci è più chiaro come da quel giorno, quel 7 ottobre, è cambiato il paradigma tra un prima e un dopo nel rapporto dell’Occidente di cultura cristiana e l’ebraismo. La democrazia in Europa e negli Stati Uniti, la democrazia liberale che abbiamo conosciuta, si è costruita anche con l’ebraismo, senza, non è pensabile una democrazia. “E non a caso, in un modo o nell’altro, prima o poi, tutti i suoi nemici sono stati anche nemici dell’ebraismo.

È per questo che la democrazia europea del ’900 ha storicamente imparato a considerare ogni attacco agli ebrei e all’ebraismo come un attacco ai suoi fondamenti, ai suoi valori, a sé medesima”. Ma ormai non è più così, scrive Della Loggia, “e proprio in ciò sta l’aspetto più inquietante di quanto il 7 ottobre ci ha rivelato: l’improvvisa constatazione dei sentimenti che abbiamo scoperto animare una parte così grande dell’opinione pubblica occidentale”. Siamo passati da una superficiale e breve solidarietà con le vittime del massacro del 7 ottobre ad un clamore volto a condannare la «sproporzione» della reazione di Israele e con essa il nuovo mostro, il sionismo. Abbiamo visto nelle piazze, decine di migliaia di neofiti pronti ad abbracciare la causa palestinese, a sventolare la sua bandiera, assurta a simbolo degli ideali politici più nobili e puri. Pronti a sottoscrivere qualsiasi slogan, fino a quello più delirante di tutti dell’accusa di genocidio. Il tutto sotto lo sguardo dell’Europa. “Che cosa è successo dunque nelle nostre società che ha prodotto una mutazione così sorprendente?” Si chiede Della Loggia. “È accaduto che la democrazia che aveva caratterizzato il secolo scorso, quella lunga vicenda con i suoi valori, i suoi eroi e i suoi nemici — e i suoi tabù —, si è consumata irreparabilmente”. L’identità della democrazia europea è mutata, e con essa è mutato anche il rapporto dei non ebrei che avevano instaurato con gli ebrei e l’ebraismo. In Europa, ma anche negli Usa, il posto della democrazia è stato preso da qualcosa di assai diverso nella sostanza: dal progressismo. “Il progressismo è la democrazia amputata dal suo retroterra, dalla sua storia, dai valori di questa”. Con questa nuova ideologia viene meno, il partito, il sindacato, la famiglia, le

tradizioni, lo Stato nazionale. Al posto di tutto ciò subentra “il miraggio di una democrazia come habitat di una convivenza avveniristica all’insegna di una fraternità interculturale capace di cancellare le identità particolari, i loro confini, le loro infinite diversità pacificate da una generale tolleranza”. In pratica per Galli della Loggia, “Il progressismo è la democrazia ridotta a misura unicamente dell’individuo, centro e padrone di ogni cosa, abitante solitario di una sfera sempre più ampia di diritti soggettivi universali, universalmente sanciti e garantiti non più dalla politica e dallo Stato, cioè dalla storia, ma da Corti di giustizia transnazionali incaricate di decidere loro ciò che è bene e ciò che è male. È la democrazia

convinta che qualunque scoperta scientifica sia autorizzata a cambiare la nostra vita.

Il progressismo è soprattutto “la democrazia che ha instaurato la laicità obbligatoria e si avvia a sciogliere il proprio legame con il retaggio cristiano, dunque anche con l’ebraismo: perché nel momento in cui la figura di Gesù di Nazaret diventa la figura di uno sconosciuto è anche l’intero mondo ebraico che viene virtualmente inghiottito nell’insignificanza del nulla”. Pertanto, una frase come quella famosa pronunciata da Pio XI — «Noi siano spiritualmente dei semiti» —, una frase del genere oggi per i più risulta prima che incomprensibile letteralmente indicibile. Il progressismo è la democrazia ormai svincolata dall’etica giudaico-cristiana che la vide nascere e crescere, è l’Occidente che dichiara di non avere più nulla a che fare con i Dieci comandamenti. Al posto dei quali s’insedia un nuovo credo: l’umanitarismo, un’etica che ignora radicalmente il criterio del giusto e dell’ingiusto, di chi ha ragione e chi ha torto — cioè di nuovo il criterio della storia — per dedicarsi unicamente al culto della vittima a prescindere, al rifiuto stentoreo della violenza, alla damnatio di chi per qualsiasi ragione vi faccia ricorso”. Anche se poi capita sempre che nell’infinita schiera delle vittime se ne scelgano alcune e non altre. Non a caso per gli ostaggi ebrei seppelliti nei tunnel della morte a Gaza nessuna Emergency, nessuna Amnesty, si è mossa davvero: come del resto è accaduto per le centinaia di cristiani massacrati dappertutto in Africa. Avendo scacciato dalla nostra mente l’idea del peccato originale, il progressismo ha scacciato da essa anche l’idea del male, della potenza del male, e quindi anche l’idea dei mezzi quasi sempre sgradevoli, ma spesso necessari, a combatterlo”. A questo punto lo storico-giornalista del Corriere riflette su certe illusioni che abbiamo acquistato. Tipo quella della rassicurante pace universale. Altra illusione ingannevole é che non ci sono davvero quelle canaglie che talora appaiono essere e che in realtà quasi sempre sono. E pertanto, anche l’uso della forza, la guerra con tutto ciò che essa comporta, “una volta usciti dal nostro universo mentale, hanno finito per sembrarci qualcosa di fattualmente e moralmente inconcepibile, qualcosa con cui non possiamo avere nulla a che fare”. Il nostro No alla guerra sempre e comunque — anche se spesso al riparo dell’ombrello atomico americano… — “è divenuto l’architrave del politicamente corretto occidentale, l’insegna suprema del nostro progressismo. Ed è così che si è consumato il distacco dell’Occidente, dalla democrazia israeliana”. Anche Israele, infatti, nasceva nel lontano 1947 promettendo a se stesso «mai più». Ma tra quel «mai più» e il «mai più» di noi europei esistevano radicali differenze che sarebbero diventate sempre più evidenti. Dopo la Seconda guerra mondiale, noi europei ci apprestavamo a chiudere per sempre la pagina dei «destini nazionali», mentre gli ebrei invece, aprivano per la prima volta la loro, fondata per giunta su una visione etnico-religiosa che ai nostri occhi non poteva che apparire sgradevole. Dopo il 1945 noi eravamo indotti a rifiutare le frontiere, gli ebrei d’Israele, invece, erano costretti a vivere ogni giorno con la loro assoluta necessità.

In conclusione, mentre il «mai più» dell’Europa postbellica era destinato ad aprirsi sempre di più all’universalismo, viceversa il «mai più» che aveva presieduto alla nascita dello Stato ebraico obbligava sempre più gli israeliani a rinchiudersi nella loro fortezza. E infine, complice la perentoria astrattezza del progressismo, noi siamo diventati assolutamente restii a pensare che anche i principi più indiscutibili devono tuttavia fare i conti con la realtà”. Interessante quello che ha scritto una storica israeliana, Diana Pinto, ci siamo «abituati a pensare che gli israeliani sono dei Bianchi europei che si comportano male in un quartiere esotico e certamente violento, ma restando comunque pur sempre degli Europei che almeno in linea di principio dovrebbero conformarsi alle regole che vigono da noi». A un tratto accade però che un branco di lupi feroci entri in quel quartiere seminando la strage. E che ne segua tutto ciò che sappiamo: una violenza terribile per cercare di avere ragione di quelle belve, per cercare di eliminare per sempre la loro minaccia. Come tanti anche io in tutti questi mesi non ho cessato un istante dal chiedermi se quella violenza sterminatrice, se quella sua interminabile durata fossero realmente giustificate. Se non ci fossero altri mezzi. Ma a darmi una risposta è stata proprio l’aggressività delle nostre piazze contro Israele, è stato l’odio contro l’Occidente che da esse saliva, la ricomparsa dell’antisemitismo, dell’atmosfera di caccia all’ebreo a un tratto aleggiante un po’ dovunque. Allora mi si è chiarito come stavano le cose. Sono un vecchio democratico europeo, non progressista e che ancora custodisce la

memoria: in certe circostanze non posso avere dubbi da che parte stare. Ho riportato l’intervento quasi per intero, proprio perché meritava.

a cura di Domenico Bonvegna