
di Andrea Filloramo
L’idea di un ponte che possa unire Sicilia e Calabria non è un’invenzione dei nostri giorni. È un mito antico, che attraversa la storia da oltre duemila anni, un sogno che resiste ancora oggi, restando sospeso tra la terra e il mare. Probabilmente il sogno nasce dal desiderio verso qualcosa che si sa che è irraggiungibile o impossibile e, tuttavia, viene utilizzato per sfidare i limiti e le probabilità, comunicando che si sia giunti a un passo per la sua realizzazione.
Già nel V secolo a.C. lo storico Erodoto racconta che il re persiano Serse I°, durante la sua spedizione contro la Grecia, aveva immaginato un collegamento galleggiante sullo Stretto, fatto di barche unite tra loro, un’opera visionaria, mai realizzata, che però testimonia quanto l’idea di “dominare le acque” fosse già allora potente. Una tempesta, però, distrusse l’opera e l’impresa rimase come simbolo di hybris, cioè della tracotanza di chi sfida la natura e gli dèi.
Nel Medioevo si pensava di collegare le due sponde con file di navi o chiatte collegate tra loro, sulle quali stendere una piattaforma. Era una soluzione teorica, ma irrealizzabile nella pratica per via delle forti correnti e del traffico navale intenso dello Stretto.
Nel Rinascimento alcuni ipotizzarono catene sospese o ponti di barche. Idee più da utopia che da ingegneria, ma sufficienti a riaccendere la fantasia.
Nell’Ottocento e nei primi del Novecento, quando i ponti sospesi a catene cominciavano a diffondersi in Europa e negli Stati Uniti, degli italiani ipotizzarono la possibilità di stendere enormi catene o cavi tra Calabria e Sicilia. Ma la campata richiesta (oltre 3 km) era troppo grande per le tecnologie del tempo e i materiali non avrebbero retto il peso e la spinta del vento. Furono studiati anche tunnel subacquei, ponti a più campate con piloni in mare e persino soluzioni miste con isole artificiali.
Nel 1866, in Parlamento, il deputato Giuseppe Zanardelli parlò per la prima volta di un collegamento stabile come simbolo dell’Italia unita. Ma restò una suggestione, più che un progetto reale.
Il salto arrivò nel XX secolo. Nel 1931 l’ingegnere romano Carlo Cestelli Guidi presentò un progetto di ponte sospeso: torri da 200 metri, campate mai viste prima. Visionario, ma troppo avanti rispetto alle tecnologie dell’epoca.
incaricata di progettare l’opera.
Negli anni ’60 e ’70 la questione del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria tornò di forte attualità, soprattutto per il clima di grandi opere pubbliche di quel periodo il tema riemerse con forza nel dibattito politico ed economico. L’Italia stava vivendo la fase del “miracolo economico” e il ponte sullo Stretto veniva visto come simbolo di modernizzazione e di integrazione del Sud.
Nel 1969 fu costituita la Società Stretto di Messina S.p.A, con lo scopo di studiare la fattibilità tecnica e promuovere la realizzazione dell’opera. È in questa fase che si consolidò l’idea di un ponte sospeso a campata unica, che rimane ancora oggi il modello di riferimento.
L’Obiettivo principale che la Società si poneva era quello di condurre studi di fattibilità tecnica, economica e ambientale per la costruzione di un ponte sullo Stretto di Messina. A tal fine la Società coinvolgeva ingegneri italiani e stranieri per progettare una grande campata sospesa, considerata all’epoca un’opera senza precedenti. L’impatto politico del ponte veniva visto come una possibile leva per lo sviluppo del Mezzogiorno, ma suscitava anche dibattiti su costi, rischi sismici e fattibilità ingegneristica.
Negli anni ’70 e ’80 i progetti rimasero soprattutto a livello di studi preliminari; l’opera non fu realizzata, ma la società ha rappresentato il principale soggetto tecnico-organizzativo per il progetto del ponte fino ai tentativi di rilancio successivi negli anni 2000.
Negli anni 70 iniziarono i primi studi di fattibilità concreti. In quegli anni si discuteva di campate di circa 3.300 metri, una lunghezza mai realizzata prima al mondo. Vennero coinvolti ingegneri e istituti di ricerca italiani e internazionali. Allo stesso tempo, si sviluppò un acceso dibattito politico: il ponte divenne presto simbolo delle contraddizioni italiane, tra sogni di progresso e timori per costi, rischi ambientali e sismici.
Nel 1981 fu bandito un concorso internazionale; nel 1992 fu approvato un progetto di massima, ma i fondi, le opposizioni ambientali e le incertezze politiche bloccarono tutto. Con il governo Berlusconi il ponte divenne una bandiera politica. Disegni, plastici, slogan. Si parlava di apertura nel 2016. Poi tutto, però, naufragò.
Nel 2013 la società Stretto di Messina venne addirittura sciolta. Eppure, il mito resiste.
Nel 2023 il governo Meloni ha rilanciato ufficialmente il progetto: un ponte sospeso da record, 3,3 km di campata, il più lungo del mondo.
Oggi se ne discute ancora: i sostenitori lo vedono come simbolo di progresso, i critici come ennesima cattedrale nel deserto.
A conclusione di questa carrellata storica occorre necessariamente dire che, dal re persiano Serse ai politici del XXI secolo, il Ponte sullo Stretto resta sempre lo stesso, cioè un sogno sospeso tra la realtà e la propaganda, tra la tecnica e il mito. Forse, più che una messa in opera prossima a realizzarsi rimane – a causa dei molti problemi particolarmente ambientali o territoriali da affrontare – solo un esaltante racconto che attraversa la storia italiana. E’ probabilmente l’eterna promessa di un ponte che unisce solo nelle parole, fatta da una “politica” che si esaurisce nella discussione verbale e che si è concluso nelle aule parlamentari senza potersi tradurre in soluzioni pratiche e, in modo particolare, nel bene comune, di cui, se ben si osserva, nel progetto già approvato non si tiene molto conto. Qualcuno, pertanto, dice, non più a voce bassa che ciò avviene soltanto per un pugno di voti.