
di Andrea Filloramo
E’ stato per tutti difficile e forse impossibile riferire con ampiezza sui contenuti dell’incontro alla Casa Bianca di Giorgia Meloni con Donald John Trump, in cui il Capo del governo italiano ha forse fatto del suo meglio nel cercare di proteggersi da quella che è una strategia dialettica, di solito usata dal presidente degli Stati Unii d’America, con cui egli cerca di disarmare l’interlocutore che considera sempre un suo nemico. Fa ciò, o cambiando focus della discussione o interrompendo con veemenza, oppure aggredendo con ironia o, infine, affermando e negando contemporaneamente.
Conduce, pertanto, gli incontri politici, applicando, da abile imprenditore, la cosiddetta “Madman Theory”, la “teoria del folle”, che consiste nell’induzione dell’interlocutore- contraente, a fargli credere che, da un momento all’altro, lo metterà a tappeto.
Questo approccio si basa sui principi della teoria dei giochi, dove la credibilità di una minaccia espressa oppure anche occulta, può essere determinante per influenzare le decisioni.
Sicuramente la Madman theory, che, oltretutto, esprime anche l’arroganza tipica del personaggio, è stata usata anche con la Meloni, nella seconda parte dell’incontro, quella tenuta volutamente occulta, in cui si è trattato e deciso di dazi, globalizzazione, Europa, guerra e pace, argomenti per i quali si è organizzato l’incontro, di cui sappiamo poco o nulla.
La prima parte del colloquio avvenuto il 17 aprile u.s, trasmessa attraverso le televisioni, è da considerare una semplice messa in scena, un copione mediatico, che soddisfa la curiosità, aumenta il desiderio di trovare soluzioni e risposte, rende la ricerca di soluzione dei problemi un processo coinvolgente e appagante ma non porta – come si può osservare – a nessuna conclusione.
Ci rimane, pertanto, il rammarico che, mentre il mondo ci sta crollando addosso, mentre il caos globale provoca in ciascuno di noi risentimenti e confusione, mentre l’Umanità si chiude in una “Torre di Babele”, una riflessione ragione/spazio/tempo e ogni tentativo di entrare nel disarticolato dialogo tra i politici dai quali dipende il nostro futuro, dei nostri figli e nipoti, sfugga alla conoscenza e alla comprensione, senza le quali sappiamo che non c’è partecipazione.
Concludendo, possiamo affermare che negli “affari” politici, spesso tutto si riduce in una sceneggiata, in una messinscena, in una simulazione di atteggiamenti allo scopo di far credere quel che forse non c’è.
Sappiamo con certezza che dietro le quinte ci sia chi decide per nostro conto.
Sono questi i risultati della nostra democrazia ammalata, in affanno da tempo, i cui sintomi del malessere si manifestano in maniera evidente.
Sappiamo che la democrazia non muore all’improvviso; si ammala lentamente di indifferenza, di menzogne, di interessi piegati al potere, soffre quando il confronto cede al conflitto e quando la diversità diventa minaccia.
Un importante contributo per riflettere su questo tema è senza dubbio il discorso che Papa Francesco, la cui morte ci sta segnando profondamente, ha tenuto ad Atene nel 2021, quando parlò di ‘arretramento della democrazia’: un’espressione che indica proprio la preoccupante diminuzione delle democrazie nel mondo o comunque un forte indebolimento delle loro istituzioni di garanzia.