Girotondi: dalla guerra preventiva alle trattative alla Casa Bianca

di Andrea Filloramo

E’ stato per tutti difficile e forse impossibile riferire con ampiezza sui contenuti dell’incontro alla Casa Bianca di Giorgia Meloni con Donald John Trump, in cui il Capo del governo italiano ha forse fatto del suo meglio nel cercare di proteggersi da quella che è una strategia dialettica, di solito usata dal presidente degli Stati Uniti d’America, con cui egli cerca di disarmare l’interlocutore. Fa ciò, o cambiando focus della discussione o interrompendo con veemenza, oppure aggredendo con ironia o, infine, affermando e negando contemporaneamente.

Conduce, pertanto, gli incontri politici, applicando, da abile imprenditore, la cosiddetta “Madman Theory”, la “teoria del folle”, che trova le sue radici nel pensiero di Niccolò Machiavelli, per il quale un leader deve essere tanto temuto quanto rispettato, ma soprattutto abile nel manipolare le percezioni degli altri.

Un Capo, che si mostra folle o imprevedibile, costringe chi è a lui sottomesso a muoversi con cautela, temendo reazioni sproporzionate e difficili da prevedere.

La teoria del folle non è stata sicuramente utilizzata da Tramp nella prima parte del colloquio avvenuto il 17 aprile u.s con la Meloni, quella trasmessa dalle televisioni – non ne aveva bisogno – che è stata nient’ altro che  una semplice messa in scena, un copione mediatico, che  è servito soltanto per soddisfare la curiosità, aumentare il desiderio di trovare soluzioni e risposte e per far apparire la ricerca di soluzione dei problemi un processo coinvolgente e appagante ma che non ha portato – come si può osservare – a nessuna conclusione.

Non sappiamo se la Madman theory è stata usata da Trump, nella seconda parte dell’incontro, quella tenuta volutamente occulta, in cui si è trattato e deciso di dazi, globalizzazione, Europa, guerra e pace, argomenti per i quali si è organizzato l’incontro, di cui abbiamo saputo poco o nulla.

Ci rimane, pertanto, il rammarico che, mentre il mondo ci sta crollando addosso, mentre il caos globale provoca in ciascuno di noi risentimenti e confusione, mentre l’Umanità si chiude in una “Torre di Babele”, una riflessione ragione/spazio/tempo e ogni tentativo di entrare nel disarticolato dialogo tra i politici dai quali dipende il nostro futuro, dei nostri figli e nipoti, sfugga alla conoscenza e alla comprensione, senza le quali sappiamo che non c’è partecipazione.

Concludendo, possiamo affermare che negli “affari” politici, spesso tutto si riduce soltanto in una sceneggiata, in una messinscena, in una simulazione di atteggiamenti allo scopo di far credere quel che non c’è.

Sappiamo con certezza che dietro le quinte ci sia chi decide per nostro conto.

Sono questi i risultati della nostra democrazia ammalata, in affanno da tempo, i cui sintomi del malessere si manifestano in maniera evidente.

Sappiamo che la democrazia non muore all’improvviso; si ammala lentamente di indifferenza, di menzogne, di interessi piegati al potere, soffre quando il confronto cede al conflitto e quando la diversità diventa minaccia.

Un importante contributo per riflettere su questo tema è senza dubbio il discorso che Papa Francesco, la cui morte ci sta segnando profondamente, ha tenuto ad Atene nel 2021, quando parlò di ‘arretramento della democrazia’: un’espressione che indica proprio la preoccupante diminuzione delle democrazie nel mondo o comunque un forte indebolimento delle loro istituzioni di garanzia.