E’ LO STATO CHE DEVE DIMAGRIRE NON IL PARLAMENTO

Era difficile aspettarsi un esito diverso dal Referendum per la riduzione dei parlamentari, visto come è stato posto il quesito elettorale:“volete voi ridurre il numero dei parlamentari?”. Praticamente il senso era “volete dare una bacchettata sulla testa dei parlamentari?”. Così come è stato posto (per la verità, un quesito populista) non si poteva che scegliere SI in larga maggioranza. Del resto non è una novità quale sia lo stato di salute della politica italiana.

 

Se chiedessimo al passante di turno della strada, cosa pensa della classe politica, quasi tutti risponderanno emotivamente che i politici rappresentano la casta e sono una massa di ladri e pertanto è giusto e sacrosanto mandarne a casa il più possibile. Infatti il responso delle urne non lascia spazio a dubbi di sorta: gli italiani hanno punito la “casta” e ritengono che con 600 parlamentari anziché 945 il Paese possa funzionare meglio. Sappiamo poi che in realtà non tutto è così chiaro, c’erano molte ragioni per votare NO, come hanno cercato, con mille difficoltà, di spiegare in tanti in maniera trasversale.

Tra i commenti a caldo, la giornalista di rete 4, Veronica Gentile dice che il referendum è l’emblema dell’ipocrisia, perchè tutti i leader politici non hanno avuto il coraggio di esprimersi chiaramente, in particolare nel Pd, che per mantenersi al governo ha dovuto optare per il SI, fedele al motto: “contrordine compagni”.

Ricordo che appena alcuni mesi fa, il SI al taglio, tra i parlamentari aveva una maggioranza bulgara del 97%. Per Claudio Cerasa direttore de Il Foglio, questo referendum è stato follemente trasformato in un referendum sui 5 stelle. Infatti, il movimento dei 5Stelle si attribuisce la vittoria, e secondo Di Maio, alla fine era diventato un referendum su stesso e sul governo, pertanto stando al suo ragionamento, i leader del centrodestra che hanno consigliato di votare per il SI, si sono auto evirati. Ed è inutile affannarsi in tutte le lingue a dichiarare che la vittoria del SI è di tutti.

Si è tanto enfatizzato sul risparmio che si ottiene dal taglio dei parlamentari, per poi  scoprire che è irrisorio. Sostanzialmente scrive il Sussidiario.net, il risparmio è «lo 0,007% del bilancio statale. Quasi una comica rispetto a uno stock di debito nel rapporto con il Pil che si avvia verso il 160%,». Ma se si voleva veramente risparmiare, occorreva dirigersi altrove, sullo Stato stesso come sistema, è qui che è opportuno tagliare e ridurre. Anni fa ho letto e sono rimasto colpito dalla completezza dei ragionamenti di un pamphlet, scritto dal compianto vice direttore de Il Corriere della Sera, Piero Ostellino.

Le riflessioni di Piero Ostellino, soprattutto nelle prime pagine, vengono esposte in “Lo Stato Canaglia”, sottotitolo:“Come la cattiva politica continua a soffocare l’Italia”, edito da Rizzoli (2009); il testo prendeva in esame il best-seller che ha avuto tanto successo, La Casta, di Sergio Rizzo e Antonio Stella, sulla cosiddetta casta dei politici. Attenzione, scrive Ostellino, non credete che il problema si risolve semplicemente sostituendo alla testa dello Stato i disonesti con gli onesti”.

L’economista del Corriere della sera ribadisce che “la casta non è, al contrario di quanto sostenga la vulgata popolare e contrabbandino moralisti e analisti incolti o in totale malafede, una classe politica disonesta o anche solo incapace. No. La casta è, al contrario, lo Stato stesso; Stato ipertrofico, invasivo; Stato della spesa pubblica e delle tasse elevate; Stato razionalmente consapevole del proprio ruolo e determinato a imporlo”. In sostanza per Ostellino, è lo “Stato canaglia” che, attraverso i rappresentanti del popolo al governo, quale ne sia il colore, utilizza l’eccesso di potere di cui dispone per estorcere quanta più ricchezza può al popolo”. Per poi distribuirla alla classe politica di governo e degli enti locali, agli alti dirigenti della pubblica amministrazione, alle varie corporazioni, nonché sotto forma di assistenzialismo, cioè a quella fetta di popolazione della quale vuole garantirsi il consenso.

Per Ostellino la soluzione «è una bella cura dimagrante dello Stato. Non nella prospettiva della sua scomparsa, come sognavano i marxisti, né dello Stato minimo, che neppure i liberali classici – da Adam Smith a Luigi Einaudi, a Friedrich A. von Hajek – vogliono». Sostanzialmente la riduzione dello Stato, riguarda il suo ruolo, la sua presenza, una forte deregolamentazione e di una liberale ridefinizione delle sue funzioni che ne riducano i poteri e ripristinino il primato dell’autonomia della società civile e dell’individuo.

Ed è veramente originale quello che Ostellino pensa del libro di Rizzo e Stella, definendolo “la Bibbia del qualunquismo e del populismo militanti”, in pratica un’arma contundente da brandire sempre e comunque contro la politica “sporca”, certamente è alimento dell’antipolitica. Ostellino non manca di attribuire dei meriti al libro, ha offerto un’infinità di esempi di sprechi, inefficienze, privilegi, offrendo un ottimo servizio di documentazione, fin qui tutto bene, ma non ha fatto l’ulteriore passo avanti. Però non ha detto “quale sia il nesso casuale’, il rapporto fra causa – la natura dello stato e la cultura della sua classe dirigente – ed effetto (gli sprechi, le inefficienze, i privilegi)”. Purtroppo per Ostellino il libro La Casta ha una propensione allo scandalismo fine a se stesso, una specie di sindrome autoritaria del giustizialismo dipietrista in politica.

Invece lo Stato canaglia, riesce a fotografare egregiamente la realtà sociopolitica del nostro Paese che non è libero, dove tutto è vietato tranne ciò che è esplicitamente consentito. L’Italia è un Paese paralizzato da un numero spropositato di leggi e regolamenti, qualcuno sostiene che sono addirittura centocinquantamila, tra l’altro scritte male, astruse e incomprensibili. Per questo facilmente, lo Stato canaglia si trasforma, in ultima istanza, in uno Stato tirannico e dispotico, che vive della moltiplicazione di leggi e regolamenti, fino a non poterne più conoscere la reale consistenza, e che si nutre di un infecondo parossismo burocratico.

Il nostro Paese è soffocato dalla cultura burocratica invasiva e ottusa; gestito da una pubblica amministrazione, pletorica, costosa e inefficiente e, non di rado, corrotta; vessato da un sistema fiscale punitivo per chi paga le tasse e distratto nei confronti di chi non li paga; prigioniero di corporazioni e interessi clientelari; nelle mani, da Roma in giù, della criminalità organizzata”.

Il testo di Ostellino è importante perchè sviluppa anche un interessante ragionamento sulla nostra Costituzione, criticandola severamente. La nostra Costituzione è altro da quanto intendono rappresentarci i suoi sacerdoti: è un insieme di astrazioni collettive, non una carta procedurale; Al contrario, essa è «sotto il profilo sociale, una costituzione programmatica, nel senso che alle universali dichiarazioni di principio tende a sovrapporre una propria e prescrittiva visione del mondo […] ha una funzione di indirizzo nel merito delle future politiche pubbliche (policies) del Parlamento e del Governo».

Ciò posto, per Ostellino, la nostra Costituzione, proprio in quanto programmatica, non può essere al contempo anche liberaldemocratica: le due nature si escludono a vicenda. «Nell’ottica dell’autore, infatti, le costituzioni programmatiche sono figlie del Novecento, il secolo dei totalitarismi, e ne recano in sé lo spettro oscuro, ma malcelato e a tratti riaffiorante: nell’assimilare lo Stato al Parlamento e al Governo, nel fissare aprioristicamente la direzione e gli sviluppi delle politiche pubbliche, esse finiscono inevitabilmente per tradursi in una effettiva lesione della sovranità popolare, impedendo alle forze politiche che hanno vinto le elezioni, e che dovrebbero essere rappresentative della volontà dei cittadini, di realizzare il programma presentato. (Cristina Costantini, Note in margine a “Lo Stata canaglia. Come la cattiva politica continua a soffocare l’Italia” di Piero Ostellino, in Biblioteca della Libertà (bdl), gennaio-aprile 2009)

Il libro di Piero Ostellino nonostante è stato scritto qualche anno fa, diventa di imprescindibile rilevanza nella composizione del dibattito che, pur con diversi toni e accenti, ha lo scopo di riflettere sul nostro tempo e di interrogarsi più profondamente sulla troppo acriticamente evocata degenerazione dei costumi politici ed economici.

DOMENICO BONVEGNA

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