
In Italia fino al 50% dell’acqua immessa si perde prima di arrivare al rubinetto. Noi consumatori non paghiamo direttamente l’acqua che si disperde, ma i costi di gestione delle perdite (allagamenti, manutenzioni straordinarie, energia per pompare acqua che non arriva mai a destinazione) ricadono in tariffa.
Risultato: bollette più alte e servizio meno efficiente.
L’agricoltura è il settore che consuma più acqua: circa il 50% dei prelievi nazionali.
Una rete inefficiente significa meno acqua disponibile per irrigare i campi, con costi crescenti per gli agricoltori (che spesso devono ricorrere a pozzi privati, sistemi di pompaggio, assicurazioni contro la siccità).
Questi maggiori costi si riflettono direttamente sui prezzi finali di frutta, verdura e prodotti alimentari, aggravando l’inflazione che già colpisce le famiglie.
La dispersione quindi non è solo un problema tecnico: è un fattore che pesa sull’intera filiera agroalimentare e sul carrello della spesa.
Se non si interviene con investimenti massicci, la dispersione resterà elevata e i costi continueranno a crescere, soprattutto in un contesto di cambiamenti climatici e siccità sempre più frequenti.
Senza liberalizzazione, il rischio è di restare ostaggi di monopoli locali inefficienti, con tariffe in aumento e qualità del servizio in calo.
Con apertura al mercato e alla concorrenza, invece, ci si può aspettare:
– più investimenti in infrastrutture,
– reti meno colabrodo,
– riduzione dei costi energetici e idrici lungo tutta la filiera, dal rubinetto alla tavola.
L’Europa ci chiede già di andare in questa direzione: il futuro sarà quello della privatizzazione controllata e concorrenza regolata, come già avviene nell’energia.
L’unica strada è aprire il mercato alla concorrenza, con un’autorità unica che vigili: solo così avremo meno sprechi, più efficienza e bollette più leggere.
Smeralda Cappetti, legale, consulente Aduc