Botta & risposta: “𝒉𝒂𝒔𝒕𝒂𝒕𝒐𝒊𝒍𝒑𝒂𝒕𝒓𝒊𝒂𝒓𝒄𝒂𝒕𝒐”…

Mi chiedo quali contenuti dovrebbero essere inclusi nel materiale didattico di questa cosiddetta “educazione sessuale e affettiva” come disciplina scolastica.
Ci si limiterà forse a ripetere innumerevoli volte un concetto tanto ovvio quanto imprescindibile, come “non si uccidono le donne”, riempiendo pagine intere con questa esortazione? O verrà imposto agli studenti di scriverlo ripetutamente alla lavagna, come se la mera ripetizione potesse trasformarsi in consapevolezza?
No perché, in queste condizioni, sorge il dubbio che questa iniziativa diventi un’alibi per veicolare messaggi di altra natura, e diventi un mezzo di indottrinamento rivolto alle nuove generazioni.
Se l’intento è quello di affrontare problematiche sociali profonde, perché allora non si discute delle possibili conseguenze che la diffusione di ideologie woke, spesso
promosse senza una vera analisi critica, potrebbe avere sui giovani? E perché non si affronta con chiarezza, come tutto ciò influisca sul ruolo delle dinamiche familiari, sempre più disgregate e fragili?
Premesso che lui sarebbe da buttare in un pozzo, mi chiedo: dov’è finita la responsabilità genitoriale? Quale ruolo ricopre oggi la famiglia, se permette a una bambina di 14 anni di intrattenere una relazione con un ragazzo di 19 anni? In un contesto dove i giovani sembrano adulti, ma in realtà sono ancora bambini, il confine tra guida e abbandono si fa sempre più sfumato. Una famiglia, non ha forse il dovere di proteggere, di educare, e di tracciare limiti chiari. A 14 anni, il mondo affettivo di una ragazza dovrebbe essere costruito sulla scoperta di sé, non sull’illusione di legami che la espongono a dinamiche inadatte alla sua età. Se fosse vostra figlia, le permettereste di avere una relazione del genere e di uscire di casa a quelle condizioni?
E poi si torna a parlare di “patriarcato”, quasi fosse il solo concetto utile a spiegare ogni dramma. Ma forse, se ancora esistesse un senso autentico di responsabilità familiare e sociale, se vi fosse ancora quel principio di protezione e guida che un tempo garantiva equilibrio, oggi non ci troveremmo di fronte a tragedie così devastanti. E magari, dico, che se esistesse ancora un po’ di sano patriarcato forse, Martina, sarebbe ancora viva.
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Naturalmente, con il cadavere ancora caldo di Martina è partito il consueto “rosario” di sociologi, psicologi, filosofi, Massimo Cacciari in testa, che spiegano l’ennesimo femminicidio, come il prodotto di una società malata. “non è un fatto di cronaca nera è una questione culturale” stigmatizza l’Onnipresente, onnisciente e in definitiva onnipotente Cacciari dalla Gruber.
Come dargli torto: una giovinetta 14 enne, donna bambina, acerba non nel sesso ma nella mente, un diciannovenne semianalfabeta con pochi riferimenti se non quello di un machismo, frutto di una “non” cultura atavica…
Qui, francamente, la questione culturale c’entra poco e niente, così come il patriarcato. E poi basta con lo scaricare tutto sulla scuola… come se non bastasse la matematica, l’italiano, la geografia e la storia…
Adesso, per quei poveri professori, pure il peso di prendersi le responsabilità di una famiglia distratta, se non assente, salvo poi accusare i docenti se, un loro figliolo, invece del voto con lode rimedia una sonora bocciatura. Botte e insulti pure all’istruttore se gioca pochi minuti durante una gara amatoriale: succede anche questo! Basta alibi!
Che facciano i genitori con oneri e onori. Sono pessimista sulla fine dei femminicidi: non servono pene più dure né il taglio delle mani o dei genitali. Se bastassero pene severe non dovrebbero più accadere fatti di sangue, stragi di mafia ecc…:  non basta dare l’ergastolo per riportare la ragione. Purtroppo mi chiedo: d’accordo, ricominciare a educare i giovani. Ricominciare, ma da dove?