Arrivederci Mons. Luigi Bettazzi: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli

di ANDREA FILLORAMO

Mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, era conosciuto come il “vescovo rosso” per le sue forti prese di posizione a difesa degli sfruttati, dei poveri. E’ morto all’età di 99 anni.

E’ stato l’ultimo vescovo italiano – amato e autorevole – che prese parte ai lavori del Concilio Vaticano II e che negli anni Settanta fu protagonista di un inedito coraggioso carteggio con l’allora segretario del Pci, Berlinguer per far decollare un dialogo che potesse oltrepassare ogni confine politico e ideologico, pur di realizzare le tanto auspicate riforme nel solco della Dottrina Sociale della Chiesa.

Papa Francesco lo conosceva e lo apprezzava. Lo conoscevano e l’appezzavano i seminaristi e i preti di molte diocesi italiane che negli anni 60/70, lo invitavano spesso nei loro incontri e si sentivano trascinati verso un autentico rinnovamento della Chiesa.

Moltissimi sono stati i suoi scritti, le interviste, gli interventi che oggi è estremamente difficile persino enumerarli nella loro completezza, ma non è impossibile riassumerne il suo pensiero che è stato sempre chiaro e inequivoco.

Bettazzi, nella sua lunga vita, ha cercato in tutte le maniere di capire e di far capire, utilizzando un eloquio fluente e molto piacevole, quello che Gesù diceva con quella espressione, riportata da Matteo 5,1: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» che è sempre stata sulla bocca di tutti i cristiani ma che spesso non ne hanno capito o non ne hanno voluto capire il significato, che è quello che, attualmente, con molte difficoltà, è nelle parole e negli atti di Papa Francesco.

 Aprendo con queste parole il discorso della montagna, Gesù si ricollegava intenzionalmente ai “poveri del Signore” della tradizione biblica, gli ‘anawim, i “curvati”, quel “resto di Israele” umile e povero che confidava solo nel Signore Dio.

Gesù, con questa frase, non ha voluto – come tanti pensano – quindi, beatificare i disgraziati di questa terra dicendo: siete beati voi poveri perché andate in paradiso, ma ha voluto dire che è compito delle comunità cristiane, di quelli che sono i suoi discepoli  toglierli dalla loro condizione di povertà.

Da qui il significato del perché di essi è i «regno dei cieli», che non vuol dire mai assolutamente il regno dell’aldilà.

Ricordiamo che Matteo è un ebreo e scrive per una comunità di ebrei. Egli sta bene attento a non urtare la loro suscettibilità. Gli ebrei non solo non scrivono, ma neanche pronunziano il nome di Dio. Usano dei sostituti: uno di questi sostituti è «i cieli». Allora, di essi è il regno dei cieli non significa che andranno in paradiso, ma significa che Dio è il loro re.

Gesù dice alla sua comunità: se voi vi sentite responsabili della felicità degli altri e quindi vi occupate dei poveri, siete beati. Occuparsi dei poveri significa abbassare un po’ il tenore di vita per permettere a quelli che l’hanno troppo basso di innalzarlo, quindi non spogliarci per vestire chi è nudo. Ognuno di noi può vestire una o anche più persone senza essere costretto ad andare in giro nudo. È questa la beatitudine! Gesù dice che siamo responsabili della felicità e del benessere economico degli altri .

Nel Vangelo di Marco una delle immagini più belle che dà Gesù, è: «con la misura con la quale misurate, sarete misurati», ma «vi sarà dato in aggiunta». La misura, quelli di una certa età lo ricordano, una volta non esistevano i prodotti confezionati, tutto era sfuso. Se uno andava in un negozio di alimentari (in Sicilia erano le “putie”, che adesso stanno scomparendo ) e chiedeva mezzo chilo di farina, non c’era il pacchetto, c’era il sacco della farina e c’era un contenitore che riempito era mezzo chilo, e così per l’olio e le altre cose. Questa era la misura. Gesù dice la misura con cui voi misurate gli altri, vi viene data ma con una aggiunta. Quello che noi diamo agli altri, d’amore, di servizio, ci viene restituito da Dio, ma con una aggiunta. Se noi diamo cento, non ci viene restituito cento, ma cento e trenta. E se noi questo cento e trenta lo diamo agli altri ci viene restituito duecento. Cioè più diamo agli altri e più noi sviluppiamo la nostra capacità d’amore.

Quindi questo è il monte, è il monte delle beatitudini, è il monte nel quale la comunità si impegna a essere responsabile della felicità degli altri.