Messinesità: Libertà, bugie e galera

di Roberto Gugliotta

Al tempo della prima Repubblica dello Stretto c’erano i cosiddetti "dieci comandamenti", un foglietto di disposizioni che ispiravano, si fa per dire, i giornalisti: minimizzare tale notizia, valorizzare quest’altra, ignorare per una eventuale assunzione, magari, la bravaura di qualche cronista o personaggio della vita pubblica, perché non vicini al Sistema. In fondo era un intervento di salute pubblica: non pensare aiutava a vivere bene. Meglio non sapere, era il motto più in voga. Oggi con la rivoluzione accorintiana non si può più organizzare la censura, qualcuno dirà. Sarà poi vero? Sono sincero quando affermo che non mi piacciono i pregiudizi, le ostilità programmate, le campagne che non hanno un senso morale, e sulle quali la gente non può esprimere un meditato giudizio; ma non mi vanno neppure gli astuti espedienti coi quali si spacciano per battaglie della democrazia dei problemucci di bottega. Ci sono delle storie di cronaca che hanno tutta l’aria dell’avvertimento: attenti a quello che fate, altrimenti… Altrimenti che cosa? Ci fate finire tutti in cella? Sono umori ispirati a rabbiosa insofferenza. Umori frustrati. Ciascuno si ritiene vittima di grandi soprusi, di intollerabili torti. Per ogni problema di Messina c’è una soluzione. Semplice, facile, rapida. Ma sbagliata: tappare la bocca a chi non è omologato al Sistema. Povera Giustizia, quanti stupidi delitti si commettono in tuo nome. Ma vale proprio la pena di impegnare tanta intelligenza per sostenere cause che di nobile hanno così poco?